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Dic 15 2009

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LE DEGUSTAZIONI DI AUTUNNO DEL SEMINARIO VERONELLI

 

 

BARBARESCO 2006

Origini e cenni storici
Nonostante il Nebbiolo sia un vitigno di “alta nobiltà” e, per questo, ne siano state ricercate le origini fin dall’antichità classica, è solo all’inizio del trecento, con la famosa opera del bolognese Pier de’ Crescenzi, che appare questo nome. È comunque vero che in quella che viene considerata la culla di questo vitigno, parte delle Langhe che arriva fino ad Alba, la coltura della vite risale a prima dell’era volgare. Solo a partire dal XIX secolo il Nebbiolo viene frequentemente citato nelle opere dei più famosi ampelografi. Il suo nome, secondo alcuni, deriverebbe da “nebbia” in quanto i suoi acini sembrano quasi annebbiati dall’abbondante pruina, mentre secondo altri sarebbe da mettere in relazione alla tardiva maturazione delle uve che obbliga sovente a vendemmiarle all’epoca delle prime nebbie autunnali. L’ipotesi forse più antica vorrebbe invece che nebbiolo derivasse da “nobile per il vino generoso e gagliardo che produce.
Ufficialmente il Barbaresco nacque nel 1894 su iniziativa del cav. Domenico Cavazza, primo direttore della Scuola di Viticoltura e Enologia di Alba, e di alcuni altri produttori. Con ogni probabilità, fu il rifiuto opposto dai produttori del vino Barolo di unificare le zone vinicole a spingere i viticoltori di Barbaresco alla creazione di un vino “autonomo”. Il cav. Cavazza acquistò il castello di Barbaresco con le proprietà nelle zone di Pora e Ovello fondando in questo modo le Cantine Sociali di Barbaresco. Codificò quindi il “metodo moderno” per la vinificazione del nebbiolo, fornendogli lustro sui mercati nazionali e affiancandolo al già famoso Barolo.

Zone di coltivazione
Il disciplinare di produzione del Barbaresco definisce Barbaresco, Treiso e Neive gli unici comuni le cui terre di pertinenza possono venire destinate alla produzione di uva utilizzabile per vinificare tale vino. A questi comuni va inoltre aggiunta la frazione di San Rocco Seno d’Elvio la quale, fino al 1957, faceva parte del comune di Barbaresco mentre oggi è aggregata al comune di Alba.
Le caratteristiche organolettiche di questo vino derivano anche dalla composizione dei suoli della sua zona di origine: il comune di Barbaresco e la parte ad esso confinante del comune di Neive sono caratterizzati da terreni originatisi nel Tortoniano, quindi piuttosto sciolti con presenza di sabbia e calcare poco cementificato, che trasmettono al vino finezza ed eleganza; i terreni della restante parte del comune di Neive e del comune di Treiso risalgono all’età Serravalliana e risultano più compatti dando origine a vini dal carattere forte ed importante.

Il vitigno
Il grappolo è medio o anche grande, di forma piramidale allungata, generalmente compatto, spesso con presenza di un’ala maggiormente pronunciata; l’acino è medio, rotondo ma con tendenza all’ellissoide, con polpa molto ricca di zucchero. La buccia è sottile ma resistente, di colore violaceo scuro, molto pruinosa da sembrare grigia. Il nebbiolo è un vitigno vigoroso, resistente alla peronospora ma vulnerabile all’oidio.
Fino a qualche anno fa nell’area del barbaresco venivano annoverate tre sottovarietà, Lampia (il più diffuso, pregiato e di produzione costante), Michet (meno diffuso, estremamente pregiato, poco produttivo) e Rosé (rarissimo). Negli ultimi anni l’analisi del DNA mediante marcatori molecolari ha ridotto la variabilità genetica del Nebbiolo a due soli diversi genotipi, il Lampia ed il Rosé. Le diversità morfologiche manifestate dal Michet sono risultate essere la conseguenza del virus GFLV (Grapevine Fanleaf Virus).

Il vino
Dai vigneti coltivati a nebbiolo delle suddette zone di produzione si ottiene un vino che, sottoposto ad un periodo di affinamento di almeno due anni, di cui uno in botte, viene denominato Barbaresco.
All’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:
colore: rosso granato con riflessi arancione; odore: profumo caratteristico, etereo, gradevole, intenso; sapore: asciutto, pieno, robusto, austero ma vellutato, armonico. Sottoposto ad un periodo di affinamento di almeno quattro anni può portare la dizione aggiuntiva “riserva”.
Nel 1966 ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata che si è evoluta in Garantita nel 1980. Il disciplinare ha subito un ultima modifica nel 2007 con la quale sono state introdotte 66 specificazioni di origine che in un primo tempo erano state classificate come sottozone e che oggi vengono classificate come “Menzioni geografiche aggiuntive” (tenendone “congelate” 6 perchè pur avendone fatto una delimitazione non sono mai state rivendicate).  Le Menzioni Geografiche Aggiuntive sono: Albesani, Asili, Ausario, Balluri, Basarin, Bernardot, Bordini, Bricco di Neive, Bricco di Treiso, Bric-Micca, Cà Grossa, Canova, Cars, Casot, Castellizzano, Cavanna, Cole, Cottà, Currà, Faset, Fausoni, Ferrere, Gaia-Principe, Gallina, Garassino, Giacone, Manzola, Marcarini, Marcorino, Martinenga, Meruzzano, Montaribaldi, Montefico, Montersino, Montestefano, Muncagota, Nervo, Ovello, Pajè, Pajorè, Pora, Rabajà, Rabaja-Bass, Rio Sordo, Rivetti, Rizzi, Roccalini, Rocche Massalupo, Rombone, Roncaglie, Roncagliette, Ronchi, San Cristoforo, San Giuliano, San Stunet, Secondine, Serraboella, Serracapelli, Serragrilli, Starderi, Tre Stelle, Trifolera, Valeirano, Vallegrande e Vicenziana.

La vendemmia 2006
L’inverno 2005/2006 ha portato buone precipitazioni nevose ma la primavera, avara di piogge, ha creato rischi di carenza idrica, colmata poi dal clima piovoso di metà giugno.
L’estate, iniziata con temporali, è tornata al clima secco con un luglio tra i più caldi che si ricordino. La parte centrale di agosto ha riportato acqua e rinfrescamento annullando la precocità maturata in luglio.
Annata dai ritmi normali che ha permesso di vendemmiare tra fine settembre e inizio ottobre.

Il risultato della degustazione
Volevamo chiudere alla grande questo ciclo di incontri del 2009 e ci siamo riusciti: ieri sera era di scena il Barbaresco 2006. Di sicura grandezza la denominazione langarola, molto discusso, per cui legittimamente dubbio, il reale valore del millesimo in degustazione. Ed è stato questo il primo degli argomenti che abbiamo trattato nel corso della serata, poiché vi sono state importanti prese di posizione da parte di qualificati produttori che hanno lanciato strali al 2006. In effetti l'andamento climatico di quest'annata è stato tutt'altro che lineare ed ha imposto ai viticoltori una costante ed attenta gestione dell'apparato fogliare delle viti; in sostanza è stato un millesimo da interpretare, più che a livello enologico, proprio a livello agronomico e, come spesso accade, non tutti l'hanno saputo fare con tempestività e precisione. Il secondo argomento affrontato ha riguardato la divisione geologica dei territori della denominazione Barbaresco: al contrario di quanto avviene per la denominazione Barolo, ove si gioca decisamente sulla contrapposizione di suoli ed ambienti differenti (si pensi quanto ha giovato alla denominazione intera la pur semplicistica ed inesatta disputa tra i Barolo della zona Tortoniana e quelli dell'area Elveziana), la denominazione Barbaresco ha sempre espresso una generica uniformità territoriale, differenziando qualitativamente i cru principalmente in base alla loro esposizione. Eppure anche la zona di produzione del Barbaresco è divisa in due aree ben distinte geologicamente, con le Marne di Sant'Agata di Barbaresco e della parte occidentale di Neive che si contrappongono alla Formazione di Lequio, la quale interessa la parte orientale di Neive e l'intero territorio di Treiso e di San Rocco Seno d'Elvio.
La scarsa presenza di cru dell'area langhiana (c'erano solo Serraboella e Bernardot) non ci ha consentito un'attendibile distinzione organolettica dei vini delle due aree, ma ci ripromettiamo di trattare adeguatamente l'argomento in una prossima degustazione ai massimi livelli qualitativi. Per contro, i dodici campioni assaggiati non ci hanno lasciato dubbio alcuno sulla grandezza del millesimo e ci hanno altresì convinto che saranno bottiglie da custodire gelosamente in cantina per diversi anni, vista la buona e complessa struttura dei tannini, poderosi ma finemente tessuti.
E la reale grandezza del Barbaresco 2006 si è misurata proprio quando si è trattato di esprimere le preferenze; la discussione tra il pubblico è, infatti, subito cresciuta di volume e di intensità, con gli uni che cercavano di convincere o spiegare agli altri la bontà della loro scelta: alla fine la palma d'oro se l'è conquistata nettamente il Barbaresco Vigneto Starderi Vursù de La Spinetta, al quale soltanto il Barbaresco Basarin di Moccagatta ha mostrato di offrire qualche resistenza. Ma è il livello complessivo che più ci ha colpito, tanto che oggi, contravvenendo alle tacite regole, non possiamo far altro che citare tutti gli altri vini presenti: Barbaresco di Prunotto, Asili di Michele Chiarlo, Bernardot di Ceretto, Brich Ronchi di Rocca Albino, Cottà di Sottimano, Martinenga di Marchesi di Gresy, Rabajà di Bruno Rocca, Roncaglie di Poderi Colla, Santo Stefano del Castello di Neive e Serraboella di Barale.
Ai vini ed ai loro produttori vanno i nostri più vivi complimenti.
A tutti vanno i migliori auguri di felici festività.
G.B.

I Soci Slow Food presenti hanno preferito:
Silvio Magni:  Rabajà di Bruno Rocca, Santo Stefano del Castello di Neive e Starderi Vorsù de La Spinetta;
Bista Astori: Starderi Vorsù de La Spinetta; Rabajà di Bruno Rocca, e Santo Stefano del Castello di Neive
Carlo Giupponi: Basarin di Moccagatta, Rabajà di Bruno Rocca, e Starderi Vorsù de La Spinetta;

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