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Mar 25 2013

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IL PULCINO BIO E LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO

Ma cos’è il biologico?

Un corpus di norme e leggi e circolari applicative o una attitudine virtuosa?

E’ ormai palese (in realtà nei prodotti alimentari lo è da almeno un decennio) che la tendenza (invocando una vacua tutela del consumatore) sia quella di normare il bio con un corpus di leggi, quindi spingerlo verso una standardizzazione tecnico/legale del prodotto.

In realtà la situazione è più complicata (come tutte le dinamiche umane) e semplificando all’osso (ma non buttatelo che serve per il brodo) mi pare di vedere due anime che si agitano sul fondo, talora melmoso, del biologico.

Quello promosso dal basso che ha una connotazione virtuosa e quello cavalcato dall’agroindustria che scorge più che altro nuove aperture del mercato alimentare in crisi di saturazione da iperofferta.

Il primo, con i suoi chiaroscuri, abbraccia una concezione etica della terra, del cibo, del lavoro.

Il secondo clona, per lo più, i modelli produttivi dell’agricoltura chimico convenzionale e la certificazione diventa un valore aggiunto da spendere sul mercato. Per cui ci troviamo di fronte a produzioni intensive, monocolture con cultivar di nuova generazione in cui l’unica vera differenza è nei prodotti permessi per i trattamenti fitosanitari. Io non credo in questo modo di fare il “biologico” e penso che sia una “doccia verde” catartica, tesa a “ripulire” dei modelli agronomici che ci hanno portato all’attuale crisi alimentare, occupazionale e ambientale .

La gente vuole altro chiede dei ripensamenti più profondi su come produrre il proprio cibo nel rispetto della natura.

Io stesso aborro la concezione mercantile del bioindustriale che cade negli stessi errori dell’agroindustria di sottovalutazione dei costi sociali e nello sovrasfruttamento degli ecosistemi e nell’utilizzo di materie prime non rinnovabili.

Mi preme inoltre spendere due parole sugli aspetti legali (legati a filo doppio con il bioindustriale) che stanno anch’essi venendo fuori adesso (è di pochi giorni fa la rettifica del testo accompagnatorio del ViVit 2013 con l’eliminazione delle diciture “naturale” e “biologico”). Le richieste degli enti certificatori sono legittime, non tutti i partecipanti sono “certificati” e la dizione “naturale” a detta dei prof di Diritto tende a mettere in cattiva luce i vini esclusi da questa categoria che potrebbero essere visti dal consumatore come “innaturali” e quindi si configura una sorta di informazione asimmetrica. Altro tema caro agli avvocati è che senza leggi e norme si scatena l’abuso e si ampliano le zone grigie delle sofisticazioni. Anche se in Italia, si può notare facilmente, il proliferare di leggi e circolari e sanzioni non ha per nulla fermato le attività illecite, ahimè! Ha solo complicato la vita di tutti noi “moderatamente onesti”.

A mio avviso, con intenzioni strumentali, la questione è stata spostata dal terreno del fare e delle relazioni fiduciarie a quello formale delle norme e del commercio (non c’è nulla di male nel vendere ma come ho detto più volte esistono molti tipi di mercati).

Le norme, le certificazioni sono degli atti burocratici che non certificano la qualità del prodotto o l’eticità di un approccio agronomico ma solamente l’aderenza a protocolli che a loro volta sono definiti in sede legislativa.

Un processo che tende a svuotare di senso un movimento nato dalle persone e rivolto alle persone che ponevano in primo piano la loro/nostra esistenza sulla Terra e la loro/nostra sussistenza dalla terra.

Gli stessi enti certificatori vedono una buona opportunità economica nella crescita delle certificazioni e ne difendono con forza il valore “legale” e di tutela del consumatore.

Siamo di fronte ad uno scontro fra visioni, retoriche del mondo ed io con sconcerto vedo che l’obbiettivo di cambiare i modelli produttivi e commerciali, intrinseco al mondo del bio, è stato masticato e digerito dal complesso burocratico e commerciale che vede nei rapporti umani, fiduciari una imperfezione tecnica dei mercati.

Speravo ardentemente che da questa profonda crisi scatenata dalla finanza si potesse rinascere come araba fenice per costruire nuove relazioni e nuovi modelli. fonte: gli amici del bar, 18.03.2013

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