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Set 24 2018

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LA SFIDA DI SLOW FOOD

Salvare i borghi dallo spopolamento puntando su botteghe e filiere agricole

In Cina il modello di Wen Tie-Jun riconnette aree rurali e città, con il Governo che dal 2005 ha stanziato 2.000 miliardi di dollari nelle campagne

Connesso alla valenza ambientale e politica nel suo senso più profondo, il tema di Terra Madre Salone del Gusto (fino al 24 settembre a Torino) #FoodForChange, porta dentro di sé un altro fondamentale pilastro delle lotte che Slow Food si troverà ad affrontare negli anni a venire: lo spopolamento dei borghi, cuore pulsante delle produzioni agricole non solo del Belpaese, che continuano a pagare il conto di quel processo di urbanizzazione iniziato oltre un secolo fa e mai arrestatosi. Che ha portato al costante invecchiamento della popolazione di paesi e villaggi, ma anche alla loro perdita di identità ed unicità, troppo spesso sacrificate sull’altare di un turismo massificato che, alla resa dei conti, non porta quasi mai la ricchezza sperata, finendo per escludere dai meccanismi economici altri settori produttivi, dall’artigianato alla stessa agricoltura, abbandonati e dimenticati.

“Stiamo parlando della nuova frontiera su cui Slow Food deve intervenire a livello mondiale – ha esordito dal convegno “Borghi, pievi, paesi e villaggi: resistere allo spopolamento” il presidente Slow Food Internazionale Carlo Petrini – perché abbiamo un problema, diverso in ogni Paese, ma che si sostanzia nello stesso modo ovunque, ossia nella perdita di villaggi e luoghi della produzione agricola e di un fenomeno massiccio di inurbamento e perdita di identità, e secondariamente di una dimensione rurale. In Italia la perdita di socialità nei nostri borghi storici è determinata da un depauperamento di quelli che erano i pilastri della comunità, almeno una volta: il parroco, guida della Chiesa nei piccoli paesi, elemento di coesione sociale capace di tenere insieme la comunità, e poi le botteghe, dove ci si trovava quotidianamente per fare la spesa, e l’osteria, luogo di socialità e discussione. I nostri borghi – continua Petrinisono diventati luoghi dormitorio, da cui si parte per andare in città a lavorare, svuotandoli della vita. Incomincia a diventare un problema grave per l’immagine e la bellezza del nostro Paese, di cui la vitalità dei nostri borghi è un aspetto essenziale: non c’è più il profumo del pane, le chiese, con i loro gioielli storici e artistici, sono spesso chiuse. C’è bisogno di nuove botteghe, dove in maniera multifunzionale si possano creare posti di lavoro per i giovani e ridare vita ai borghi. Vendendo i prodotti della terra, ma anche pensando alle necessità di chi vi abita, penso alle parafarmacie, o alla digitalizzazione al servizio dei più anziani, dobbiamo tornare ad aprire le chiese, rigenerare l’economia. Costerebbe pochissimo e porterebbe vantaggi enormi, specie a livello turistico. In questo senso, però, il turismo non può avere il focus solo su come spillare soldi a chi viene da fuori, il primo elemento deve diventare la felicità della comunità, che genera empatia ed arricchisce il turista stesso, in un’ottica esperienziale ben distante dal turismo massificato e vicina al turismo esperienziale”.

Come detto, però, se la situazione italiana è sotto gli occhi, per quanto molto poco dibattuta, specie a livello politico, proprio a causa della sua marginalità in termini di peso specifico, eccezion fatta per la legge Salva Borghi del 2017, che stanzia le prime risorse europee per provare a salvare e rilanciare le piccole comunità, la dinamica allargando l’analisi riguarda tutto il mondo. Anche la Cina, il Paese che cresce più velocemente e che, senza grandi dubbi, vive la più frenetica delle urbanizzazioni che il mondo abbia mai visto. Con la capacità, però, di dare risposte serie, concrete e pratiche, come racconta ancora Petrini. “In Cina ho conosciuto una persona straordinariamente importante, Wen Tie-Jun, che ha messo in movimento una vera e propria ri-ruralizzazione della Cina, riconnettendo le comunità contadine con le città, capendo che la questione dell’inurbamento passivo è ormai un problema. Chengdu, che ha ospitato l’ultimo Congresso di Slow Food, cresce di mezzo milione di abitanti all’anno: non è una dinamica sostenibile, né a livello agricolo né abitativo, specie da un punto di vista filosofico. Ecco perché Slow Food China ha cominciato a promuovere gli Slow Village, e siccome i cinesi sono gente seria, 4 mesi dopo sono tornato, e mi hanno fatto incontrare 700 contadini che entro il 2025 daranno vita a 1.000 villaggi Slow. Come? Portando all’attenzione della società civile il problema, in un processo in cui le idee sono la base di tutto. Si tratta di dar vita ad una nuova economia ed una nuova filosofia, che non sia al servizio della tecnologia, ma anzi ribaltando il rapporto. In questo senso – aggiunge Petrini allargando il concetto all’aspetto sociologico – i luoghi della socialità e dell’empatia fisica devono essere garantiti. Ormai viviamo in una realtà di reti sociali, ma a me queste reti sociali sembra che si reggano sulla mancanza di empatia e fisicità, tirando fuori spesso il peggio dalla gente. Siamo homo sapiens, abbiamo bisogno di restituire fisicità alle nostre relazioni, e la socialità si deve esprimere nei luoghi deputati, e questa è la grande sfida degli anni futuri”.

È lo stesso Wen Tie-Jun ad approfondire il modello di ri-ruralizzazione che ha iniziato a teorizzare già negli anni Novanta, proprio nel bel mezzo della globalizzazione dell’economia che ha portato in anni più recenti alla Cina di oggi. “Nel nostro Paese – dice Tie-Jun – 600 milioni di persone vivono nelle campagne, in un modello agricolo ben diverso da quello anglosassone, che caratterizza il settore in Paesi come Stati Uniti, Canada Gran Bretagna, Australia o Sudafrica, in cui le terre sono in mano per lo più alle multinazionali. In Cina ed in tutta l’Asia Orientale, al contrario, la distribuzione delle superfici agricole è ben diversa, non ci sono gli estremamente poveri, ogni famiglia ha il proprio terreno con cui sostenersi, e quanto prodotto è sufficiente anche per sostenere le città, ed è per questo che la politica cinese sta tornando a restituire qualcosa alle comunità agricole: dal 2005 sono stati investiti ben 2.000 miliardi di dollari, la metà del budget statale, ed il risultato è un vero e proprio boom di giovani che tornano alla terra. Merito – ricorda Tie-Jun – di quello che è un caposaldo del mio modello, ossia la riconnessione tra campagna e città, con infrastrutture adeguate e tecnologie all’avanguardia anche nei campi, così che la campagna sia una scelta libera e remunerativa”.
Proprio quello economico, come emerso dal convegno, è un tema particolarmente delicato, perché troppo spesso nelle comunità rurali, specie di montagna, vengono a mancare servizi essenziali, come le poste, gli ospedali o le scuole, oltre al lavoro, senza il quale non può esistere, né resistere, alcun tipo di comunità. Un esempio virtuoso, ma bisogna guardare di nuovo fuori dai confini nazionali, è quello che arriva dalla Carinzia, Regione al sud dell’Austria, che, come spiega Christian Kresse, responsabile per il turismo in Carinzia, ha dato vita al progetto “Slow Food Travelling, che mette a sistema le esperienze di diversi borghi del territorio, legati da un’idea comune, che si traduce in un percorso gastronomico attraverso i 24 programmi turistici diversi. Alla base, però, non ci sono solo alberghi e ristoranti, ma anche le filiere delle nostre tipicità che si mettono in mostra, supportate da una sensibilità che coinvolge l’intera cittadinanza, e che nasce già tra i banchi di scuola”. Fonte: WineNews, 23.09.2018

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