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Ott 11 2020

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IL 70% MINIMO DI UVE PROPRIE, NIENTE CHIMICA DI SINTESI IN VIGNA E NON SOLO: IL MANIFESTO DI SLOW FOOD

Il nuovo “decalogo” per il vino “buono, pulito e giusto”. Che guarda al mondo, e all’interazione dei vignaioli con le comunità dei territori

Il vino deve essere prodotto da almeno il 70% di uve coltivate direttamente dalla cantina (salvo rare eccezioni dove il commercio di uve è questione storica), senza l’utilizzo di prodotti chimici di sintesi in vigna, utilizzando l’ambiente in maniera “cosciente e sostenibile”, limitando al minimo indispensabile l’irrigazione. Ed ancora, anche gli edifici devono essere costruiti e ristrutturati guardando alla sostenibilità, mentre i vini devono essere il più possibile specchio dei territori, anche nell’utilizzo dei lieviti indigeni, per esempio, ma senza difetti che non valorizzano le differenze, ma le appiattiscono, e il contenuto di solforosa non deve essere superiore a quelli previsti dal regolamento Ue per il vino bio. Ancora, il vignaiolo deve collaborare con tutta la comunità agricola in cui opera, incoraggiando la biodiversità, con azioni concrete e specifiche. Ecco, in estrema sintesi, i principi da seguire, fissati uno ad uno, nel “Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto”, presentato oggi a Bologna nel Sana Restart, ed in streaming su www.terramadre.it, che segna il nuovo approccio al mondo del vino secondo l’organizzazione fondata da Carlin Petrini.
Il nuovo Manifesto è frutto di un lavoro iniziato a Montpellier nel 2007, che aveva dato origine a “Vigneron d’Europe”. E che ora si allarga a tutto il mondo, aumentando i punti presi in considerazione, e annoverando tutto il complesso di relazioni che genera il lavoro del vigneron. Si tratterà di un punto di partenza per la creazione di una grande comunità internazionale che unisca produttori e appassionati che si riconoscono nei dieci principi enunciati dalla Carta”. A presentarlo, oggi, a Bologna, Maurizio Gily (agronomo, giornalista e direttore di Millevigne), Saverio Petrilli (vignaiolo, enologo e fondatore e consigliere della Fivi – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), Francesca Rapisarda (architetto del paesaggio), Paolo Fontana (presidente della World Biodiversity Association), Maria Grazia Mammuccini ( vignaiola e presidente di FederBio) ed i due curatori della guida Slow Wine Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni.

Focus – Il Manifesto Slow Food per il vino buono, pulito e giusto

1 – Le cantine devono coltivare direttamente almeno il 70% delle uve utilizzate per la produzione dei vini (con deroghe per alcune zone che per tradizione hanno un ampio commercio di uve, tipo Madeira, Napa Valley, Spagna del Sud …).

2 – Le cantine non devono usare concimi, diserbanti e antibotritici provenienti dalla chimica di sintesi.

3 – L’uso delle risorse ambientali per la produzione di vino deve essere cosciente e sostenibile. Il ricorso a sistemi d’irrigazione deve essere limitato il più possibile e finalizzato ad evitare casi di stress idrico severo.

4 – Gli edifici aziendali, se da costruire, devono rispettare il paesaggio. Qualora le costruzioni siano già esistenti, la loro eventuale ristrutturazione e conduzione deve tenere conto della sostenibilità ambientale.

5 – Le cantine non devono utilizzare l’osmosi inversa e metodi fisici di concentrazione del mosto. Inoltre, se non per gli spumanti o i vini che lo prevedano per tradizione, non deve essere impiegato MCR (Mosto Concentrato Rettificato) o zucchero (a seconda dei Paesi dove si opera). Non è previsto l’uso di trucioli per aromatizzare i vini.

6 – La quantità di solforosa nel vino non deve oltrepassare i limiti indicati nella certificazione del vino biologico dell’Unione Europea.

7 – I vini devono essere specchio del terroir di provenienza, per questo motivo vediamo con favore l’utilizzo di lieviti indigeni così come la ricerca scientifica tesa a isolare lieviti autoctoni che poi possono essere replicati e utilizzati dall’azienda oppure da più vignaioli della stessa zona e denominazione.

8 – I vini devono essere privi dei principali difetti enologici, perché questi tendono a rendere omogenei i vini e appiattire le differenze territoriali.

9 – È auspicabile che la cantina collabori attivamente con l’intera comunità agricola ai fini di valorizzare il sistema agricolo dell’area territoriale dove opera. A questo proposito è assolutamente necessario che la cantina mantenga un rapporto virtuoso con i propri collaboratori e i propri dipendenti, incoraggiandone la crescita personale e professionale, ed è altrettanto necessario che la cantina collabori e condivida conoscenze con gli altri viticoltori del territorio, evitando azioni di concorrenza sleale.

10 – Il vignaiolo sostenibile incoraggia la biodiversità attraverso pratiche quali: l’alternanza del vigneto con siepi e aree boscate; una gestione del suolo che preveda inerbimenti e sovesci e che escluda, in ogni caso, il suolo nudo, se non per brevi periodi stagionali; la tutela degli insetti pronubi e della fauna utile utilizzando di preferenza insetticidi ammessi in agricoltura biologica qualora tali interventi si rendano necessari, e comunque evitando di utilizzarli durante la fioritura della vite e di altre specie erbacee presenti nel vigneto; l’allevamento di animali nel rispetto del loro benessere e la produzione in azienda di letame; la produzione aziendale di compost da residui di potatura e altri materiali organici. Fonte: WineNews, 11.10.2020

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