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Apr 03 2022

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L’ALLEVAMENTO DEI SALMONI È INSOSTENIBILE: TROPPO PESCE DESTINATO AI MANGIMI INVECE CHE ALL’ALIMENTAZIONE UMANA

La produzione di salmoni da allevamento, letteralmente esplosa negli ultimi anni, è ormai insostenibile.

Questo perché a essa è destinata una parte significativa del pesce pescato considerato di minor pregio, con un enorme spreco di risorse. Se ciò che viene destinato a nutrire i salmoni allevati fosse semplicemente mangiato, si potrebbe dare respiro al mare, avendo al tempo stesso a disposizione quantitativi molto maggiori di proteine, acidi grassi insaturi e altri nutrienti nobili.

L’industria del salmone allevato è cresciuta del 270% dal 1998 a oggi, e muove ormai un giro di affari che nel 2018 valeva 23 miliardi di dollari. Tuttavia, nell’allevamento dei salmoni il 72% delle proteine e più della metà dei minerali e degli acidi grassi essenziali (tra il 51 e il 99%) presenti nei mangimi a base di pesce va perso, anche se sono all’origine del 90% dell’impronta ambientale della filiera. Anche solo da questi numeri, contenuti nello studio dei ricercatori di quattro università britanniche pubblicato su PLoS Sustainability and Transformation risulta evidente come qualcosa non torni. Se poi si tiene conto del fatto che parte del pesce utilizzato per l’alimentazione dei salmoni proviene da zone dove le popolazioni si sostentano in gran parte con il pescato, così come del fatto che i mangimi alternativi a base di alghe, insetti o batteri hanno effetti sulla qualità del salmone e non è detto che riescano a sostituire le farine e gli oli di pesce, ben si capisce come sia necessario invertire al più presto la rotta.

La produzione di mangimi rappresenta il 90% dell’impronta ambientale dell’allevamento di salmoni

Questa la conclusione dello studio, che ha valutato tre tipi di scenari alternativi per quanto l’allevamento del salmone atlantico scozzese, particolarmente dipendente dal pesce pescato come fonte di nutrimento. Per esempio, nel 2014 sono state utilizzate 460mila tonnellate di pescato (il 76% del quale sfruttabile direttamente per l’alimentazione umana) per produrre 179mila tonnellate di salmone scozzese: un’assurdità del tutto evidente anche a livello commerciale considerando le quantità di nutrienti (in primo luogo acidi grassi nobili e proteine) assorbite dagli allevamenti, e poi ‘emesse’ come carne di salmone.

Se si lasciasse che il pesce selvatico fosse destinato direttamente all’alimentazione umana, una quantità compresa tra il 66 e l’82% di quel pesce, pari a 3,7 milioni di tonnellate, potrebbe rimanere in mare e la produzione globale di pesce alimentare aumenterebbe di 6,1 milioni di tonnellate, perché l’utilizzo sarebbe estremamente più efficiente.

Oggi il salmone allevato, che costituisce il 4,5% di tutte le acquacolture, consuma il 60% dell’olio di pesce totale presente sul mercato, e il 23% della farina. Tutto ciò è fortemente sostenuto dalle campagne martellanti per l’assunzione di omega 3, il cui utilizzo, in realtà, dovrebbe essere limitato a situazioni molto specifiche. Cercando di non cadere nelle trappole del marketing, e non sostenendo quindi un mercato distorto, si potrebbero consumare più spesso acciughe, sardine e altro pesce ottimo per l’alimentazione. Si otterrebbero così due risultati, la spesa costerebbe di meno e si ridurrebbe lo sfruttamento marino modificando il mercato.  Fonte: Il Fatto Quotidiano, Agnese Codignola, 09.03.2022

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