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Giu 16 2015

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L’ITALIA DEL VINO A VINEXPO

punta sulle “grandi bellezze” ed i suoi legami con cultura, arte e natura, affascinando il pubblico di Bordeaux, con uno sguardo ammaliante all’Asia.

Attilio Scienza: le nostre peculiarità, contro una visione frammentata, tra vino e arte c’è un rapporto sinestetico: un simbolo deve richiamare un vino, ed il vino deve richiamare un simbolo, perché ogni volta che un consumatore berrà un vino italiano di un certo territorio istintivamente dovranno venire alla sua mente le caratteristiche strutturali ed artistiche di quel territorio, così come tutte le volte che penserà a Venezia o a Roma, a un mosaico, un affresco o ad un vulcano, dovrà pensare anche ai vini prodotti vicino ai loro monumenti o alle bellezze naturali italiane

La pensa così il professor Attilio Scienza, uno dei massimi esperti di viticoltura al mondo che da Vinexpo spiega a WineNews come l’Italia del vino al salone di Bordeaux punti sulle “grandi bellezze”, affascinando il pubblico raccontandosi attraverso i suoi legami con la cultura, le arti e la natura. “Gran parte del pubblico che assiste ai seminari – spiega Scienza – è di origine orientale, dai cinesi ai coreani, passando per i giapponesi, che conoscono poco o male il nostro Paese, magari alcuni vini e qualche simbolo della nostra Penisola, ma non riescono a configurare che rapporto hanno. L’Italia del vino non ha altri strumenti per penetrare i loro mercati se non quello di utilizzare il valore evocativo di questi elementi. Evocando quello che nessun altro Paese ha, dobbiamo per forza associare alle nostre vocazioni paesaggistiche o artistiche il vino. Solo così possiamo farci conoscere da questi consumatori. I cinesi hanno una visione molto frammentaria dell’Italia, non sanno bene com’è fatta, quali sono i territori ricchi di vino e di storia. E invece questa è la nostra unica strada per far conoscere il nostro vino. Seminari, corsi, in Italia come in Cina, è un percorso necessario per incuriosirli, non solo attraverso il profilo sensoriale di un vino che non fa parte della loro storia, di cui non sono antichi bevitori, di cui non hanno la capacità di percepire le differenze, ma devono educarsi. Ma sono facilmente conquistabili attraverso la nostra grande bellezza”.

È quello che, in questi giorni a Bordeaux, l’Italia del vino cerca di fare al Vinexpo: il ciclo di seminari, promosso dall’Ice, ha come filo conduttore proprio il rapporto tra la grande bellezza dell’Italia, nelle sue espressioni culturali, artistiche e naturali ed il vino. Un argomento molto amato dal pubblico straniero in particolare, perché forse nessuna nazione ha una tale ricchezza come l’Italia di luoghi e testimonianze di arte legati al vino. Ma c’è anche un altro aspetto importante da tenere in considerazione, il consumatore che si avvicina al vino italiano non può farlo come al vino francese, a quello americano o argentino: lo fa attraverso un percorso che non è fatto solo di vitigni o tecnica enologica, ma che è soprattutto un percorso alle origini di come è nato, chi sono stati i primi a produrlo, quali gli elementi ispiratori, come si è mantenuto nei millenni fino a noi.

Vinexpo è notoriamente un luogo privilegiato di incontro per chi produce vino, e per chi deve assaggiarlo e poi rivenderlo. Quest’anno però si nota una certa stanchezza: un padiglione intero è stato chiuso per mancanza di espositori. È un sintomo importante da non sottovalutare. Probabilmente le fiere fatte come fino ad ora non raggiungono più i risultati economici che le aziende sperano. Un po’ perchè i costi sono molto elevati e le piccole aziende non possono sostenerli, e solo le grandi aziende ed i complessi produttivi riescono a farlo. Ma anche perché il consumatore non ha più tanto bisogno di essere informato come in passato, vuoi grazie ad internet, vuoi grazie al passaparola, non si accontenta più di andare da stand a stand ad assaggiare qualche vino o a conoscere il produttore. Ha bisogno di più, e questi eventi dovrebbero essere un’occasione di cultura, momenti in cui territori e produttori raccontano la loro storia: c’è una bellissima parola inglese che dà la dimensione di questo fenomeno, che è lo storitelling, strumento comunicativo più efficace per raccontare il vino, la sua storia, il terroir, ciò che c’è dietro, la formazione e la filosofia del produttore. Come si fa della “gastrolatria” in tv, dove ormai si parla di vino e di cucina ma senza che nessuno possa assaggiarli, una sorta di “pornografia” dell’alimentazione, anche il consumatore di vino si accontenta più delle storie che non dell’assaggiarlo direttamente. È un fenomeno importante da valutare, anche per l’Italia, per svillupare una comunicazione diversa rispetto al passato.

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