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Mar 25 2020

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L’ORTO LA CUCINA E SCRIVERE: COME HO COMBATTUTO L’ANSIA PER IL TEMPO TROPPO VELOCE

Quello con le lancette dell’orologio è un problema molto comune. Sembra infatti che il tempo manchi sempre. Per qualcuno però non è così: c’è il tempo della natura. E quello utile per fare le cose che ci fanno stare bene. “Ho cominciato a coltivare l’orto a dieci anni e continuo a farlo. Intanto ho imparato a scrivere di argomenti come la cucina, il cibo, i prodotti della terra. È il mio modo di (soprav)vivere

Immaginiamo per un momento di fare una lista delle cose che contano per noi: l’amore, gli amici, il lavoro etc. E aggiungiamo a questa lista un valore che in qualche modo sta sopra a tutte queste cose: il tempo. Ora, molto sinceramente e senza essere autoindulgenti, proviamo a dare un voto ad ognuno di questi fattori (è un metodo che va molto di moda oggi quello di votare, anzi di votarsi, almeno in certi libri da Autogrill su come vivere meglio). Voi che voto dareste al vostro tempo? Io un voto basso, probabilmente sotto la sufficienza, ma non troppo. Non ho mai avuto un buon rapporto con il tempo. O meglio, non ho mai avuto un buon rapporto con questo tempo. E ora cerco di spiegarvi perché e soprattutto cosa ho fatto per uscirne – metaforicamente, ma neanche poi tanto – viva. Magari vi può servire.

Il mio rapporto tutt’altro che buono con il tempo non si deve tanto a delle cause esterne, tipo le cose citate nella nostra lista, che di frequente si combattono una con l’altra (più ore di lavoro, meno per i figli). La questione è differente, riguarda come percepisco da sempre una vera distanza tra i miei tempi e il modo contemporaneo di gestire il tempo, il mio e quello degli altri.

Ero quella bambina che, come molti, ha iniziato la scuola sapendo leggere, scrivere e fare le principali operazioni matematiche, senza che nessuno me lo insegnasse di proposito. Quella bambina che “detto, fatto, imparato”, e poi? Quella bambina che, insomma, ha sperimentato fin da subito la noia nel vero senso della parola.

Mi annoiava la scuola, avevo una grande fame di sapere, una grande curiosità che spesso non veniva soddisfatta.

Mi annoiavo a fare le cose che comunemente bambini e adolescenti fanno.

Mi annoiavano i lunghi pomeriggi a bighellonare a spasso per il piccolo paese in cui sono cresciuta, avevo la sensazione fosse tempo sprecato.

Scoprii invece di possedere una grande fortuna: vista la mia velocità di apprendimento, era cosa straordinaria il poter decidere come impiegare il mio tempo in più, senza sprecarlo. Con il passare degli anni mi sono accorta che in realtà non ho mai avuto la sensazione di essere “un genio”. Ho solo avuto l’innata capacità di ottimizzare il mio tempo, riducendone gli sprechi. Questo mi ha permesso di avere a disposizione più ore per pensare, per sperimentare, per analizzare e per scegliere. In una società che invece educa a rincorrere, riempire, distrarre. Forse, a non pensare.

C’era un solo modo per allontanare la grande ansia creata dal distacco tra il mio modo di impiegare il tempo a disposizione e quello che all’esterno invece la società richiedeva: la natura. La sua lentezza mi affascinava e allo stesso tempo mi affascinava la costanza della sua operosità. La natura non spreca. Allora mi avvicinai ad essa, sempre più.

Nel mio tempo libero iniziai a fare l’orto, ma i problemi c’erano, eccome. Io ho sempre vissuto in un condominio al secondo piano, che significa poco spazio per coltivare. Tuttavia la gentilezza dei vicini di casa mi portò in pochi mesi a poter lavorare i piccoli orti a disposizione. Ne curavo ben quattro, passando intere giornate estive così: avevo dieci anni.

Quando ti dedichi all’orto il tempo dell’azione è molto limitato rispetto al tempo dell’attesa e della pazienza. In questa fase solo un atteggiamento permette di raggiungere l’obiettivo di un raccolto soddisfacente: la costanza nell’avere cura. Cosa per cui, ancora una volta, la nostra società non ha tempo, perché ci rieduca in base alle proprie necessità.

Non vi nego che per me è fonte di angoscia la percezione quotidiana di una generale mancanza di tempo per avere cura. È un’assenza che riguarda le nostre relazioni interpersonali (abbiamo davvero ancora tempo per i figli? E per gli amici?). Il pianeta che ci ospita. Le azioni che siamo chiamati a fare. La convivenza con l’Altro (dimenticandoci sempre che anche noi siamo l’Altro per qualcuno).

In un pomeriggio estivo qualsiasi, mi capitò poi di andare a giocare nell’azienda agricola di un caro amico: le cose non succedono mai per caso. Ecco l’ennesima svolta, l’amore incondizionato per le vacche. Mattina e sera andavo a mungere, a dare il latte ai vitelli, e anche ad occuparmi dei lavori nei campi e così via. Fino alla produzione del formaggio in casa, che lasciavo maturare nella parte più fresca dello sgabuzzino predisposto a cantina che avevo a disposizione.

Nel mentre il tempo passava, io leggevo di caseificazione, di coltivazione, di fermentazioni, di stagionature. Mi accorgevo che tutto ciò mi stava dando delle indicazioni ulteriori rispetto alla percezione dello scorrere delle ore, dei giorni e dei mesi. Il mio punto di vista era quello della natura. L’abisso. Tutto era distante da ciò che percepivo e vedevo attorno me: solo una folle e disordinata corsa contro il tempo, senza averne una misura, senza uno standard di riferimento. Il caos. Me ne feci una ragione.

È chiaro che scegliere di frequentare la scuola agraria è stata una conseguenza ovvia. Volevo approfondire. Avevo l’ambizione di lavorare dentro quel mondo che per me è stata la vera ancora di salvezza. Uno sbocco naturale per cercare di trasformare e utilizzare al meglio i prodotti agricoli che ormai conoscevo molto bene. Da lì poi ho maturato l’attenzione al mondo della cucina (che necessariamente prevede rispetto rigoroso dei tempi, ottimizzazione). I primi ricettari storici ricevuti come regalo di compleanno, e poi il mondo dell’assaggio consapevole.

Ottimizzazione dei tempi, analisi, consapevolezza dei propri gesti e delle proprie sensazioni ritornavano più che mai a darmi conforto, come se fossero una protezione dal mondo. Ho iniziato a raccontare tutto questo attraverso la scrittura e poi la fotografia. Un altro filtro che mi ha permesso di approcciare la realtà più facilmente.

Intanto gli anni passano e l’esigenza di raccontare diventa essa stessa parte del mio modo per sopravvivere al tempo veloce, un qualcosa a cui proprio non riesco ad adattarmi. Scrivevo (e scrivo) per esigenza, non per piacere. Finito il liceo, scelsi quindi di andare a Parma per studiare Scienze Gastronomiche. A chi mi chiedeva perché avessi scelto questa strada, rispondevo: “perché voglio scrivere di agricoltura, dei suoi processi e di cibo”.

Mi rincuorava pensare che, in qualsiasi caso, nessuno mi avrebbe mai impedito di scrivere, di osservare, di conoscere: insomma di dedicare il mio tempo (o gran parte di esso) alle attività che mi fanno stare bene. Scrivo di cibo e agricoltura per necessità, per esigenza, per sopravvivenza. Conduco così la mia personale battaglia.

Prima di scrivere qualsiasi cosa, la necessità è quella di pensare e riordinare le idee. Per staccarsi da quella società che ci vuole tutti efficienti, scattanti, operativi, sempre sul pezzo e sempre a disposizione. Quella società in cui non avere tempo è la predominante. E spesso diventa la scusa per accettare situazioni confuse, azioni istintive e “di pancia” che possono essere davvero dannose per noi e per gli altri. Senza dimenticare che il tempo in cui non c’è mai tempo è la soluzione apparentemente perfetta per sottrarci a quella necessaria, ma spaventosa, autentica conoscenza di noi stessi, nel profondo.

Faccio fatica e cerco di allontanare il mio personale dissenso per dare un umile contributo a questo mondo. Ma non mi sento affine alle sue regole silenziosamente condivise da (quasi) tutti. Le rispetto, ma non le condivido.

Mi piacerebbe davvero un giorno svegliarmi in una realtà un poco diversa, più lenta e più consapevole. Di conseguenza più giusta, più sicura e meno confusa. Ma ho la certezza che questo, in fondo, non succederà. E quindi continuo ad osservare, coltivare, cucinare. Scrivere per me e per chi mi legge.

Prendo il mio tempo, nella speranza di riuscire a impiegarlo nel migliore dei modi possibili, per me e per e per tutti. Ve la ricordate la lista di cui parlavo all’inizio? Bene, cancellatela. Tenetevi il tempo, fate in modo che diventi vostro. Fonte: L’Eco di Bergamo, Eppen, Lara Abrati, foto di Lara Abrati, 25.03.2020

 

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