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Lug 12 2022

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ORGANISMI GENETICAMENTE EDITATI (OGE) OGM O NON OGM ?

Gli Organismi Geneticamente Editati (OGE), sono il risultato di una nuova biotecnologia (Editing Genomico) capace di apportare modificazioni genetiche (definite anche con le sigle TEA, NBT, NGT), senza ricorrere alla ormai nota tecnica di miglioramento genetico transgenico.

La direttiva UE 2001/18 – grazie alla sentenza della Corte di Giustizia europea del luglio 2018 – ricomprende gli organismi ottenuti tramite le nuove tecniche di creazione varietale, considerandoli OGM a tutti gli effetti e obbligandoli a valutazione preventiva del rischio, tracciabilità ed etichettatura.

Il panorama normativo a tal proposito, è in continuo cambiamento, dal momento che lo sviluppo tecnologico e le preoccupazioni legate al cambiamento climatico spingono molti Paesi a cambiare le politiche di lunga data sull’ingegneria genetica. Inoltre lo shock causato dalla guerra tra Russia e Ucraina, da cui non arrivano più mais e grano tenero, ha improvvisamente dato la consapevolezza che non abbiamo materie prime sufficienti per soddisfare export e domanda interna. Alcuni parlamentari, con il pretesto di fronteggiare gli impatti di questa guerra sulla nostra economia, hanno chiesto al governo misure urgenti, tra cui quella di intervenire sul settore agricolo e “ricorrere alle nuove tecnologie genetiche dedicate alle piante per aumentarne, in sicurezza, la produttività”. Ci si riferisce, in particolare, agli OGE “che riproducono i risultati dell’evoluzione biologica naturale per migliorare la resistenza delle piante alle malattie e ai parassiti e ne aumentano la produttività, velocizzando i processi che avvengono comunque in modo naturale”.  

In questa nostra presentazione però, pur considerando l’aspetto politico ed eventuali interessi lobbistici, vogliamo focalizzarci soprattutto sul lato scientifico dell’argomento ed abbiamo selezionato perciò due articoli con la duplice intenzione di:

1) illustrare l’enorme potenzialità di queste nuove tecniche genetiche in campo alimentare

2) chiarire tramite cenni scientifici i pro e i contro di queste biotecnologie

1) Taglia e cuci con Crispr e i pomodori diventano fonte di vitamina D

di Priscilla Di Thiene, Fonte: La Repubblica del 26-maggio 2022

(Credit: Tobias Schwarz/GettyImages) 

 Grazie all’editing genomico arriverà sulle nostre tavole un pomodoro utile per supplire a una carenza che nel mondo affligge quasi un miliardo di persone. A giugno la produzione in campo in Gran Bretagna.

Forse non tutti sanno che la carenza di vitamina D causa molti problemi all’uomo: danni al metabolismo osseo, al sistema immunitario, può provocare patologie infiammatorie intestinali e anche neurologiche. Eppure, l’assunzione quotidiana non è semplice, anche se è contenuta in alimenti di tutti i giorni, come uova, latte, salmone, olio di fegato di merluzzo. Nella verdura però è quasi del tutto assente.

Proprio per questo l’Istituto di scienze delle produzioni alimentari del CNR, in collaborazione con il John Innes Centre di Norwich, ha progettato una nuova linea di pomodori in grado di contrastare la carenza di vitamina D. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Plants.

Sono circa un miliardo nel mondo le persone che soffrono di questa carenza, circa il 40% della popolazione europea, il 26% di quella americana e il 20% di quella orientale.

Accade per vari motivi, a cominciare da una disponibilità alimentare inadeguata, oppure per diete particolari, come quella vegana. “Molto dipende anche dall’assorbimento intestinale di ogni singola persona, molto basso soprattutto negli anziani”, spiega Angelo Santino, uno degli autori dello studio, ricercatore senior CNR ISPA (Istituto di scienze produzione alimentari).

Una volta assunta, la conversione dalla pro-vitamina D2 o D3 che si trova negli alimenti a vitamina D avviene esponendo la pelle alle radiazioni UV, che però comportano rischi gravi come i tumori della pelle.

Perché proprio il pomodoro?

Il pomodoro rappresentava quella possibilità in più di avere un’altra fonte di vitamina D. Ma perché proprio lui? “Perché a differenza di altri vegetali – prosegue il ricercatore – il pomodoro ha il macchinario biosintetico in grado di produrre la provitamina D3, in quanto genera minime quantità di colesterolo per la sintesi di alcuni composti di difesa. La provitamina viene trasformata in colesterolo dall’enzima 7-deidrocolesterolo reduttasi 2. Abbiamo pensato che silenziando questo enzima si potesse produrre una maggiore quantità di provitamina D3”. E così è stato.

La provitamina D3 e l’editing genomico.

Grazie all’editing genomico CRISPR/Cas9, i ricercatori hanno introdotto una piccola modifica nel gene di pomodoro che codifica per l’enzima 7-deidrocolesterolo reduttasi 2, coinvolto nella conversione della provitamina D3 a colesterolo, senza intaccare il resto del genoma. Fermando la conversione, hanno raggiunto un accumulo di provitamina D‎3‎ nei frutti e nelle foglie, convertibile in vitamina D mediante trattamento con luce UV-B.

Due pomodori al giorno.

“Abbiamo creato cinque linee, fatto dei reincroci per togliere tutto quello che era esterno al genoma del pomodoro. Così, alla seconda generazione, non c’è DNA estraneo a quello del vegetale”, prosegue Angelo Santino. Potrebbero bastare due pomodori biofortificati al giorno per un apporto sufficiente di vitamina D.

“Adesso cominciamo a osservare gli effetti benefici sulla salute, soprattutto sull’infiammazione intestinale, poi dovremmo passare ai trial clinici. I colleghi inglesi hanno già avuto l’approvazione per la produzione in pieno campo, che parte a giugno in Gran Bretagna”.

E questa è la nota dolente: forse, per la prima volta, toccherà all’Italia importare pomodori dalla Gran Bretagna, anche se biofortificati.

 Il 40% della popolazione europea, il 26% di quella americana e il 20% degli orientali  sarebbe a rischio di carenza di vitamina D

“L’assunzione quotidiana di questa importantissima vitamina può avvenire prevalentemente da fonti animali come latte, uova, olio di fegato di merluzzo e salmone. Gli alimenti di origine vegetale invece non ne contengono, tranne alcuni funghi. La conversione da pro-vitamina D2 o D3 a vitamina D avviene esponendo la pelle alle radiazioni UV, che però in maniera prolungata e inadeguata può comportare rischi anche gravi alla pelle. Inoltre, le persone anziane hanno spesso bassi livelli di assorbimento e di traslocazione di pro-vitamina D3/D2 a livello epidermico”, spiega Angelo Santino del Cnr-Ispa.

“Il nuovo pomodoro biofortificato – spiega Aurelia Scarano del Cnr-Ispa – rappresenta un’importante alternativa. Dai calcoli effettuati, il consumo di un paio di pomodori freschi al giorno di questa nuova linea potrebbe soddisfare in buona parte la dose giornaliera raccomandata di vitamina D. Questa nuova linea di pomodoro è stata ottenuta grazie alle emergenti tecnologie di editing del genoma che si stanno imponendo in molti dei campi delle scienze, da quelle biomediche a quelle agroalimentari. Grazie a queste tecnologie, e più precisamente all’utilizzo del sistema CRISPR/Cas9, è stato possibile introdurre in maniera estremamente specifica una piccola modifica in un gene di pomodoro, senza intaccare in alcun modo altre regioni del genoma. Dopo due generazioni successive, si sono ottenute piante che presentano solo una piccola mutazione stabile e prive di alcun tipo di transgene. Con questa tecnologia abbiamo ottenuto importanti quantitativi di pro-vitamina D3 nelle nuove linee di pomodoro. Inoltre il trattamento dei pomodori con luce UV è stato in grado di convertire la pro-vitamina D3 in vitamina D, aprendo nuove prospettive per la produzione di pomodori in grado di fornire direttamente la vitamina attiva”.

I controlli hanno confermato che non ci sono effetti sulla resa, sul gusto o su altre caratteristiche macroscopiche del nuovo pomodoro.

I controlli hanno poi confermato che non ci sono effetti sulla resa, sul gusto o su altre caratteristiche macroscopiche, mentre alcuni test hanno suggerito che la stessa tecnologia potrebbe essere applicata anche ad altre solanacee quali le melanzane, patate e peperoni, che sfruttano le stesse vie metaboliche per la sintesi di D3. Supplementi ed estratti di questo tipo potrebbero incontrare il favore di vegani e vegetariani, ed essere molto più sostenibili rispetto a quelli presenti oggi sul mercato.

Il Regno Unito, paese dove è stato creato il pomodoro alla vitamina D, e dove il problema della carenza è molto sentito, potrebbe autorizzare presto la vendita, secondo un lungo articolo della BBC, perché è svincolata dai limiti della legislazione europea: se così fosse, sarebbe il primo caso di un vegetale frutto di CRISPR introdotto in commercio. Non ci sono, a riguardo, particolari preoccupazioni, come conferma l’intenzione di approvare, nei prossimi giorni, una nuova legge decisamente più permissiva rispetto a quelle europee, che il Governo ritiene indispensabile per accelerare la lotta alle conseguenze del cambiamento climatico.

 

2) Nuovi risultati scientifici sostengono la decisione dell’Europa di classificare OGM gli organismi ottenuti con l’editing genomico

di Daniela Conti

(si rimanda a questo link per approfondimenti riguardanti tutte le citazioni di questo articolo)

 

A che punto è il confronto sulle nuove tecnologie genetiche

Con la sentenza del 25 luglio 2018 la Corte europea di giustizia ha stabilito che anche gli organismi ottenuti con le nuove tecniche di editing genomico debbano essere considerati geneticamente modificati (OGM). In quanto tali, i nuovi organismi sono regolati dalla direttiva europea 2001/18/CE sull’immissione deliberata di OGM nell’ambiente, la quale stabilisce che un OGM può essere autorizzato solo dopo un’approfondita valutazione dei rischi per l’ambiente e per la salute umana, e ne rende obbligatori la tracciabilità, l’etichettatura e il monitoraggio.

Questa decisione ha suscitato una fortissima reazione, capeggiata da Bayer/Monsanto e sostenuta da importanti istituzioni scientifiche, come il Max Planck Institute. In una lettera inviata nel luglio 2019 ai Commissari europei, un dirigente della Bayer afferma che, nel valutare i nuovi organismi e i loro prodotti, l’Europa dovrebbe attenersi a criteri incentrati su “il prodotto finale e non il processo” con cui lo si ottiene.

Questa è anche la posizione assunta dalle autorità federali americane dell’US Department of Agriculture (USDA), che hanno stabilito la totale deregulation delle piante editate (cioè modificate con l’editing genomico) e dei loro prodotti. Non sono OGM, quindi non devono sottostare alla valutazione dei rischi ambientali e della tossicità a lungo termine, ma hanno via libera per l’immissione diretta sul mercato e senza etichettatura. Negli USA ci si aspetta la messa in commercio nei prossimi anni di migliaia di prodotti derivanti da organismi editati: alimenti, farmaci, cosmetici, biocarburanti, ecc…

I fautori della commercializzazione diretta degli organismi editati sostengono che non si tratta di OGM. Secondo la definizione standard, sono OGM gli organismi nel cui DNA sono stati inseriti geni estranei (cioè di altre specie, perciò si parla di transgenesi). Nell’editing genomico l’obbiettivo è invece quello di mettere fuori uso (knock out) particolari geni bersaglio o ‘target’, mediante l’inserimento di volute mutazioni on-target (= nel bersaglio), oppure di sostituire il gene bersaglio con una differente versione genica, derivata dalla stessa specie o da una specie affine (cisgenesi). In questo modo si può in teoria ‘correggere’ (editing) la sequenza originale e modificare, insieme ad essa, il funzionamento del gene bersaglio e il prodotto proteico che ne deriva.

I sostenitori della deregulation dei prodotti dell’editing asseriscono che al termine delle procedure di laboratorio – lunghe e complesse – con cui gli organismi vengono editati, nel loro DNA non resti alcuna traccia della manipolazione. Perciò non ci sarebbe nessuna differenza – essi affermano – tra una mutazione ‘naturale’ e la mutazione introdotta con l’editing, quindi gli organismi editati e i loro prodotti non sarebbero da considerare OGM.

Cenni tecnici sull’editing genomico

Per orientarci meglio in questa discussione, ecco qualche cenno sulla tecnica dell’editing.

Il più recente strumento per l’editing, scoperto nel 2012 da due ricercatrici, è il sistema chiamato CRISPR-Cas9, con cui i batteri si difendono dalle invasioni dei loro virus tagliando in pezzetti il DNA virale a livello di specifiche sequenze di basi. Il sistema è costituito da due componenti principali: (A) un RNA guida (gRNA) derivato dalla sequenza CRISPR, il quale dirige (B) la nucleasi (= proteina) Cas9 verso una specifica sequenza di DNA; qui giunta, Cas9 taglia entrambi i filamenti del DNA. Le rotture dei due filamenti del DNA prodotte da Cas9 vengono poi riparate, con precisione variabile, da meccanismi insiti nella cellula sottoposta all’editing. (ndr questa scoperta ha valso il premio Nobel per la chimica, per l’anno 2020 alle due ricercatrici, l’americana Jennifer Doudna e la francese Emmanuelle Charpentier).

Per entrare nelle cellule e agire, le due componenti del sistema devono essere ‘montate’ su vettori, in genere molecole circolari di DNA derivate da batteri (dette plasmidi) o da virus. Il sistema CRISPR-Cas9 più usato viene isolato dallo Streptococcus pyogenes, un batterio patogeno presente anche sulla pelle.

CRISPR-Cas9 è il metodo di editing più utilizzato

Prima del 2012, altri strumenti erano già in uso per modificare le sequenze di basi nei DNA (p.e. le nucleasi Zinc Finger [ZFN] e TALEN). Poiché comportano procedure molto più lunghe e complicate – sebbene spesso più precise – di CRISPR-Cas9, l’utilizzo di tali strumenti è nettamente diminuito. Grazie a semplicità, rapidità e bassi costi, il sistema CRISPR-Cas9 ha comportato un aumento vertiginoso nel numero degli esperimenti di editing su piante e animali.

Dopo le luci… le ombre

A fronte di tanti pregi, esiste tuttavia un ‘lato oscuro’ di CRISPR-Cas9, legato alla sua sempre più discussa precisione. Sono molti, infatti, i lavori che riportano effetti non voluti di questa tecnologia.

Molte volte si tratta di mutazioni (inserzioni e/o delezioni) di poche basi, ma altre volte implicano inversioni e riarrangiamenti di lunghi tratti di cromosoma in siti del DNA definiti ‘off-target’, cioè fuori dal bersaglio. A mutare sono spesso siti con sequenze simili a quelle del target (non certo rare nel DNA, la cui struttura è ripetitiva). Di queste mutazioni si ignorano gli effetti sull’organismo, e quindi i potenziali rischi di sviluppi patogeni.

Inoltre, da dati sperimentali recenti è emerso che le alterazioni introdotte da CRISPR-Cas9 possono essere mutazioni ‘on-target’ non volute della funzione del gene bersaglio. Vedremo tra poco perché questa scoperta è importante.

Ancora, come hanno dimostrato di recente alcuni importanti lavori, nei siti di taglio di Cas9 (o nei pressi) possono inserirsi frammenti dei componenti stessi dell’editing, o anche interi vettori usati nelle procedure di laboratorio. Poiché sia vettori che componenti dell’editing sono di origine batterica, il loro inserimento (interi o in frammenti) nel DNA dell’organismo editato fa di quell’organismo un OGM secondo la definizione classica.

Prima di addentrarci nella descrizione di questi aspetti critici (validi per l’editing sia delle piante che degli animali), vediamo una fotografia di quanto è esteso l’editing di piante mediante CRISPR-Cas9.

‘Mappa sistematica’ dell’editing di piante con CRISPR-Cas9

Un’esaustiva panoramica dell’uso di CRISPR-Cas9 nell’editing di genomi vegetali è stata pubblicata a luglio 2019, sviluppata da ricercatori dell’istituto federale tedesco di Biosicurezza delle biotecnologie vegetali. Poiché, citando gli autori, “…queste nuove tecniche [di editing] non escludono, né di per se stesse né completamente, il verificarsi di effetti off-target”, lo scopo del lavoro era individuare quanti studi di editing dei genomi vegetali abbiano trovato effetti off-target e di quale tipo. Per farlo, gli autori hanno sondato con parole chiave e criteri di ricerca opportuni i maggiori database scientifici on-line.

Numero e diffusione degli esperimenti di editing delle piante.  Prendendo in considerazione tutti gli articoli sull’editing delle piante pubblicati tra gennaio 1996 e maggio 2018, gli autori hanno individuato 1328 studi rispondenti ai criteri di ricerca.

Gli studi di editing con CRISPR-Cas9 sono risultati ben 1032 su 1328 (circa il 78%). A grande distanza troviamo gli esperimenti con TALEN (128 studi, 10% circa del totale) e ZFN (73 studi, circa il 5%).

Al primo posto per numero di esperimenti sulle piante mediante CRISPR troviamo la Cina (40%; con gli altri paesi asiatici si arriva al 53%), seguita dagli USA (33%; tutto il Nord America arriva al 34%) e dall’Europa (13%). Gli altri continenti sono al di sotto dell’1%.

Delle 51 specie di piante sottoposte all’editing, la più studiata è il riso (45% degli studi), seguita dalla pianta modello Arabidopsis (16%), quindi da tabacco, pomodoro (6%), mais, grano, soia, patata e molte orticole.

Effetti off-target dell’editing

Come si è detto, molti lavori hanno messo in luce il verificarsi di mutazioni off-target nei DNA editati, più spesso in esperimenti su cellule animali, ma anche nelle piante. In questi lavori tali effetti sono definiti un problema molto comune, attenuabile ma non del tutto eliminabile, dell’editing mediante CRISPR-Cas9. Soprattutto questi articoli sottolineano l’insufficienza degli attuali metodi di sequenziamento per identificare su interi genomi (e non solo su sequenze preindividuate da algoritmi) gli effetti off-target, che spesso – affermano gli autori – sarebbero passati inosservati.

Il lavoro della ‘mappa sistematica’ sopra citato, oltre a mettere anch’esso in evidenza i limiti dei metodi attuali per l’individuazione delle mutazioni off-target, rileva un ulteriore dato molto importante: solo in 228 sui 1032 (22%) studi di editing di piante con CRISPR-Cas9 (e in 9 su 128 = 7% studi con TALEN) si è proceduto a una valutazione degli effetti off-target. Cioè in meno di un quarto degli studi di editing delle piante si è condotta un’approfondita analisi delle possibili mutazioni fuori bersaglio, non volute, nel DNA editato. Ovvio concludere che, se non le si cerca, di certo poi di queste mutazioni non si trova traccia.

Effetti on-target non voluti dell’editing

Un lavoro pubblicato alla fine del 2019 su Nature Methods riporta i risultati di uno studio al quale hanno collaborato ricercatori del Laboratorio europeo di biologia molecolare e della GlaxoSmithKline – entrambi a Heidelberg, Germania – insieme a ricercatori dell’università di Stanford, California. Scopo del lavoro era valutare se il gene bersaglio dell’editing con CRISPR-Cas9 viene davvero messo fuori uso dalla manipolazione genetica, come vorrebbero i ricercatori. In altre parole, si è valutato se davvero il gene bersaglio dell’editing cessa di produrre la sua proteina.

Lavorando su cellule umane coltivate, gli autori di questo lavoro hanno trovato che in circa un terzo dei siti bersaglio editati con CRISPR-Cas9 la produzione e l’attività della rispettiva proteina si manteneva, in certi casi a livelli praticamente normali. Inoltre i processi cellulari di riparazione del DNA, attivati dal taglio di Cas, avevano dato origine a sequenze mutate che portavano alla sintesi di proteine anomale, i cui effetti a breve e a lungo termine restano ignoti. Come sottolineano gli autori: “Mentre l’efficienza dell’editing viene verificata tramite metodi di sequenziamento del DNA, manca finora una ricerca sistematica dell’efficienza con cui viene eliminata la proteina [derivante dal gene editato]”.

Anche se la ricerca di Heidelberg-Stanford è stata condotta su cellule umane, questi risultati, del tutto inattesi, assumono speciale importanza anche per l’editing delle piante. Alla luce del fatto che, come emerge dalla mappa sistematica sopra descritta, ben l’87% degli studi di editing delle piante (1154 su 1328) ha come scopo il knock-out di un particolare gene della pianta, è essenziale che anche negli esperimenti di editing dei genomi vegetali venga eseguita la verifica dell’eventuale funzionalità residua della proteina bersaglio, verifica che finora non è mai stata fatta.

Con l’editing genetico si sono ottenuti vitelli senza corna

Inserimenti non voluti di DNA estraneo: OGM creati dall’editing

Sorprese dai vitelli senza corna. Nati senza corna dopo che nel 2013 un loro progenitore era stato editato con TALEN da una startup del Minnesota, questi vitelli si erano guadagnati prime pagine e titoli cubitali. Propagandati come la dimostrazione vivente dei prodigi dell’editing, erano uno degli assi in mano ai fautori della deregulation.

Ma nel 2019 la FDA (Food and Drug Administration, che negli USA autorizza i nuovi farmaci e alimenti) esaminando il DNA di questi vitelli con analisi più approfondite di quelle standard, ha trovato qualcosa sfuggito a tutti fino a quel momento. Nel DNA di questi vitelli c’era sì la versione editata del gene per la mancata produzione di corna, ma c’era anche il DNA dell’intero vettore (un plasmide batterico) con cui le componenti dell’editing erano state trasferite al genoma bovino, vettore che oltretutto si era trasmesso dal bovino inizialmente editato a tutta la sua discendenza. Essendo il plasmide composto da DNA di varie specie batteriche, compresi anche geni per la resistenza ad antibiotici (di cui sarebbe anche opportuno limitare la possibile diffusione), questi vitelli ricadono palesemente nella definizione di OGM.

Ne è nato un grande scandalo. La FDA era stata fino a quel momento accusata di bloccare lo sviluppo di un settore industriale dal grande futuro, poiché, a differenza di quanto aveva fatto il Dipartimento dell’Agricoltura con i vegetali, non aveva mai dato il via libera agli animali editati e ai loro prodotti, regolandoli alla stregua dei nuovi farmaci. I fatti hanno dato ragione alla sua prudenza.

Le piante di riso non sono da meno Un gruppo di agronomi dell’Iowa State University a Ames riferisce, in un articolo pubblicato da Nature alla fine del 2019, i risultati di un esperimento in cui è stato editato un gene del riso, applicando il sistema CRISPR-Cas9 con tre diverse metodiche. Due metodi (detti biolistici) implicavano di bombardare le cellule del riso con particelle d’oro rivestite dai componenti dell’editing + i vettori. Il terzo metodo utilizzava il T-DNA di Agrobacterium (un batterio che infetta le piante e trasferisce geni nel loro DNA, mediante il tratto detto T-DNA del suo plasmide che induce tumori nei vegetali). Tutte e tre le metodiche comportano la costruzione di complicati vettori, a partire da plasmidi batterici. Su alcuni vettori vengono montati i componenti dell’editing; su altri si inseriscono geni batterici di resistenza ad antibiotici o a erbicidi, usati per la selezione delle cellule modificate; altri vettori ancora servono a trasferire i costrutti precedenti al DNA delle cellule da editare. Anche se la struttura portante del vettore è di origine batterica, ogni costrutto è un mosaico di elementi genetici da diverse specie, non solo batteriche.

Con entrambi i metodi biolistici gli autori hanno trovato nei siti bersaglio di Cas9 inserimenti inattesi di DNA di origine batterica e di DNA cromosomico del riso frammentato e riarrangiato. In precedenti esperimenti gli stessi autori avevano dimostrato che anche l’editing con CRISPR e T-DNA porta a inserti non voluti di DNA plasmidico. Essi attribuiscono il non avere osservato gli stessi effetti in questo esperimento al numero non significativo di piante trasformate dal T-DNA.

Un aspetto più volte sottolineato in questo lavoro è, da un lato, l’insufficienza dei metodi di routine per identificare sull’intero genoma delle piante tutte le mutazioni non volute, compresi i frammenti di DNA estraneo. Dall’altro, gli autori enfatizzano il fatto che “la letteratura specializzata spesso non riporta la presenza di questi inserti non voluti, o non fornisce dati dettagliati”.

Conclusioni

Da questi studi emergono con chiarezza alcuni punti fondamentali:

  • I metodi standard di analisi del DNA editato sono adatti a verificare nei genomi editati – sia animali che vegetali – la presenza di mutazioni prevedibili e brevi, non quella di mutazioni imprevedibili, e in particolare non di lunghi tratti cromosomici riarrangiati né di DNA estraneo. È necessario applicare metodi di analisi capaci d’indagare l’intero genoma, cosa che finora è stata fatta raramente (meno dello 0,1% degli studi di editing delle piante). Molti studiosi ritengono che le mutazioni non volute introdotte da CRISPR-Cas9 sfuggano spesso alla rilevazione, e che siano in realtà molto più frequenti di quanto riportato nelle pubblicazioni. Occorre uscire dal circolo vizioso che porta a trovare solo le mutazioni che ci si aspetta di trovare.
  • La verifica (soggetta ai limiti metodologici sopra descritti) della presenza di effetti ‘off-target’ non voluti è stata eseguita solo in meno del 23% degli studi di editing delle piante, una quota davvero insufficiente per sostenere l’affermazione che l’editing non lascia tracce nel DNA. E ancora meno è sufficiente, quindi, a giustificare la deregulation degli organismi editati – animali e piante.
  • La ricerca sugli effetti on-target non voluti mette in luce, di nuovo, la mancata verifica di aspetti cruciali dell’editing e delle sue conseguenze. Se le tecniche di knock-out non mettono sempre fuori uso i geni editati, ma questi spesso producono proteine di cui ignoriamo – perché non le cerchiamo – gli eventuali effetti allergenici o tossici, è chiaro che i prodotti dell’editing devono essere sottoposti a controlli pre-mercato e pre-consumo molto accurati e severi.
  • Infine, ma non certo di minore importanza, le nuove tecniche di editing non sfuggono neppure alla definizione classica di OGM. Il fatto che anche le nuove tecniche causino l’inserimento nei DNA animali e vegetali sottoposti all’editing di geni batterici provenienti dai costrutti artificiali necessari alle procedure di laboratorio, significa che l’editing comporta un rischio reale di creare vecchi OGM. Ciò rafforza la necessità di mettere in atto tutte le misure necessarie a prevenire possibili danni alle persone e all’ambiente.

L’importante sentenza della Corte europea di giustizia ha il grande merito di avere esteso la definizione di OGM al di là della concezione standard di “DNA con geni estranei inseriti artificialmente”. E correttamente ha messo in evidenza l’importanza del processo con cui si ottengono gli organismi editati. Infatti, le reazioni chimiche dell’editing implicano costrutti ingegneristici (vettori e complessi proteine-acidi nucleici) del tutto equiparabili – nel funzionamento e negli esiti – a quelli utilizzati nell’ingegneria genetica precedente. Questo dato e, aggiungo, le ancora inesplorate interazioni fra DNA, costrutti ingegneristici e la complessa rete del funzionamento cellulare, rendono gli organismi editati del tutto equiparabili ai vecchi OGM per imprevedibilità e possibili rischi.

Inoltre, come si legge nel Comunicato stampa della Corte, le nuove tecniche di modifica genetica avvengono “a un ritmo e in quantità non paragonabili a quelli risultanti dall’applicazione di metodi tradizionali di mutagenesi. Tenuto conto di tali rischi comuni, escludere dall’ambito di applicazione della direttiva sugli OGM gli organismi ottenuti mediante le nuove tecniche di mutagenesi pregiudicherebbe l’obiettivo di tale direttiva consistente nell’evitare gli effetti negativi sulla salute umana e l’ambiente e violerebbe il principio di precauzione che la direttiva mira ad attuare. Ne consegue che la direttiva sugli OGM si applica anche agli organismi ottenuti mediante tecniche di mutagenesi emerse successivamente alla sua adozione.”

(ndr) Aggiungiamo un ultimo personale commento: la nostra esperienza lavorativa nel campo della ricerca e delle biotecnologie ci porta ad essere decisamente favorevoli al progresso scientifico e all’utilizzo di questa straordinaria tecnica di ingegneria genetica. E proprio per questo pretendiamo che si mantenga il diritto all’informazione del consumatore, per poter scegliere liberamente il nostro cibo (sia che si tratti di un OGM oppure un OGE) e tutelare la nostra salute. E come sempre chiediamo che sia BUONO, PULITO e GIUSTO per tutti.

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