Solo il 5 per cento viene correttamente smaltito, il resto viene buttato provocando danni incalcolabili all’ambiente. Eppure, se gestita in modo corretto, la filiera degli ”esausti” può trasformarsi in opportunità come spiega un dossier curato dal web magazine Economia Circolare e da Junker app
Nelle cucine degli italiani c’è una miniera d’olio, avanzato dopo la frittura o dai barattoli delle conserve. Viene definito “esausto” ma in realtà avrebbe ancora una lunga vita davanti a sé. Mentre a essere davvero esausti sono i cittadini, che ricevono poche informazioni sul corretto conferimento e faticano a trovare punti di raccolta nel loro territorio.
Fino a poco tempo fa le amministrazioni comunali neanche si ponevano il problema di raccogliere gli oli e i grassi alimentari di provenienza domestica. E oggi, nonostante lo sforzo dei consorzi, che rigenerano tutto quanto si riesce a raccogliere, il sistema sconta ancora forti ritardi: siamo al 5% di raccolta di uno scarto che è riciclabile al 100%.
Il web magazine EconomiaCircolare.com e l’app Junker fanno il punto della situazione in Italia con un imponente dossier intitolato “Scusa, mi ricicli l’olio?”, che ha l’obiettivo di avviare una riflessione collettiva su un settore dalle grandi potenzialità ma ancora troppo “scivoloso“.
Il primo scoglio rilevato dal dossier riguarda la penuria di punti di raccolta e la scarsità di informazioni su quelli esistenti. Una mappatura ufficiale non esiste. La prima – e finora unica – l’ha condotta Junker app, che, grazie anche alla collaborazione degli utenti, ha individuato 1.500 punti di raccolta di oli esausti in tutta Italia: appena 1 ogni 39mila abitanti.
Come stupirsi quindi se questa risorsa potenzialmente molto preziosa, invece d’essere valorizzata, finisce letteralmente scaricata nel wc? I danni per l’ambiente sono incalcolabili. E anche quello economico pesa non poco: almeno 16 milioni di euro persi per la mancata raccolta, riciclo e recupero, ad esempio sotto forma di biocarburanti.
Una mancata opportunità che diventa ancora più grave in questa drammatica fase storica, in cui si cerca in ogni modo di superare la crisi energetica e ridurre la dipendenza del Paese dalle fonti fossili.
L’oro che quasi nessuno raccoglie
A differenza di altre tipologie di rifiuti, gli oli esausti si possono riciclare completamente. E così avviene, in effetti, per la quota di rifiuto che attualmente viene avviata al riciclo. «Tutto l’olio raccolto viene recuperato e riutilizzato: non se ne perde una goccia» spiega il presidente di RenOils, Ennio Fanno.
Opportunamente trattato, questo rifiuto speciale può infatti tornare a nuova vita sotto diverse forme: biodiesel, soprattutto, ma anche bio-lubrificanti per macchine agricole o nautiche, saponi, prodotti cosmetici e inchiostri. Sono solo alcuni degli usi circolari documentati dal dossier, che, riportando studi e dati dei consorzi Conoe e RenOils, sottolinea come, benché esausto, l’olio vegetale abbia ancora un grande valore: «Non a caso è giallo come l’oro».
RenOils stima che «se gli oli venissero raccolti da tutte le famiglie e tutti i ristoranti, in Italia potremmo raccogliere tra le 230 e le 240mila tonnellate annue». Invece se ne riescono a raccogliere appena 80mila tonnellate, a fronte di oltre 200mila tonnellate riutilizzate (ma il fabbisogno per produrre biocarburanti è destinato ad aumentare sensibilmente nei prossimi anni).
Ed è qui che, secondo il dossier di Economia Circolare e Junker app, cominciano a emergere le ombre di un settore ricco di paradossi e potenzialità inespresse: mentre il Paese importa oli esausti dall’estero per produrre biofuel, nelle cucine di tutta Italia l’olio avanzato continua a finire negli scarichi.
«Solo negli ultimi anni, diverse amministrazioni hanno immaginato di iniziare la raccolta con contenitori nelle isole ecologiche. Ma siamo ancora al 5% della raccolta di tutto il rifiuto prodotto» conferma il presidente di Conoe, Tommaso Campanile.
Nonostante il grande sforzo dei consorzi, la filiera pubblica degli oli e grassi alimentari esausti è ancora un colabrodo e ogni goccia d’olio fatta sparire nello scarico rappresenta una minaccia per gli ecosistemi: 1 kg di olio vegetale esausto può infatti inquinare una superficie d’acqua di 1.000 mq, per non parlare dei danni alla rete fognaria e al sistema di depurazione.
Cittadini consapevoli ma “esausti”
Ma che cosa ne pensano gli italiani? E soprattutto quanti di loro sanno come conferire correttamente gli oli esausti? A queste domande risponde un questionario realizzato da Junker app in collaborazione con la campagna Generazione Spreko di Cittadinanzattiva: l’84% degli oltre 6.800 rispondenti è ben informato su che fine dovrebbe fare l’olio di scarto della cucina.
Trattandosi di utenti della app Junker, che aiuta a effettuare una corretta raccolta differenziata, è probabile che si tratti di un campione particolarmente attento e sensibile, dunque la percentuale dei “consapevoli” potrebbe essere leggermente sovrastimata.
Lo stesso vale per l’opinione sull’adeguatezza del servizio, in termini di diffusione sul territorio e accessibilità dei punti di raccolta. Il questionario di Junker evidenzia che solo un italiano su quattro (il 26%) è pienamente soddisfatto della loro diffusione, il 35% la giudica sufficiente, mentre il 26% ritiene che il numero di punti non sia sufficiente. Un altro 13% non sa.
E in effetti, come rilevato da EconomiaCircolare.com e da Junker per la redazione di questo dossier, i punti di raccolta sono ancora pochi, sia nelle aree periferiche e di provincia sia nelle affollatissime aree metropolitane. Va meglio sul fronte dell’accessibilità: oltre il 68% dei rispondenti giudica buona o sufficiente l’accessibilità sia fisica (distanza, distribuzione dei punti) sia oraria.
L’appello: servono più informazione e più punti di raccolta
«La nostra mappatura dei punti di conferimento degli oli esausti non è certo esaustiva! – commenta Noemi De Santis, responsabile comunicazione di Junker app – ma interrogare i nostri due milioni di utenti, chiedendogli di inviarci le loro segnalazioni, è stato un modo per accendere i riflettori su un settore ‘scivoloso’, ma con un grandissimo potenziale economico e ambientale. Ripeteremo il sondaggio nei prossimi anni per monitorare i progressi fatti per rendere più capillare la rete pubblica dei punti di conferimento degli oli esausti domestici. Sarà il nostro piccolo contributo al progredire di un’economia davvero circolare nel nostro Paese, ma sarebbe utile una maggiore attenzione delle istituzioni su questo tema».
«Il dossier “Scusa, mi ricicli l’olio?” dimostra chiaramente che siamo davanti a un danno ecologico e a un danno economico entrambi inaccettabili – prosegue Raffaele Lupoli, direttore editoriale di Economiacircolare.com. C’è una macchina in moto che ha tutte le carte in regola per funzionare: basta guardare alla progressione nella raccolta degli oli esausti impressa dai consorzi.
È evidente però che serve un sostegno all’intero processo da parte del Governo e del Parlamento: innanzitutto è necessario incrementare l’informazione nei confronti dei cittadini, a tutti i livelli. Bisogna investire per diffondere una maggiore consapevolezza su come smaltire oli e grassi residui, aiutare anche i consumatori a riconoscerli.
Un esempio lampante sono i sottoli venduti sugli scaffali dei negozi alimentari: perché sull’etichetta c’è scritto dove conferire il barattolo e invece non si fa menzione di dove gettare l’eventuale residuo di olio? Il cattivo smaltimento e i diversi casi di traffici illegali mettono a rischio acqua e suolo. E scongiurare questi danni significa anche cogliere l’occasione di creare una preziosa filiera economica. Con il nostro dossier proviamo a dare un contributo costruttivo, dando voce agli addetti ai lavori e ai cittadini, in modo da individuare le criticità e le linee di azione necessarie a risolverle». Fonte: Linkiesta, Gastronomika, 11.07.2022