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Ago 01 2019

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PETRINI: «LA SOSTENIBILITÀ NON SIA UNA PARLO VUOTA»

Il fondatore di Slow Food interverrà a Rimini il 20 agosto: «Sbaglia chi riduce la Laudato si’ a una logica ecologista, perché è un esercizio di nuovo umanesimo»

Fondatore e presidente di Slow Food, tra i promotori della prima università di Scienze gastronomiche al mondo, Carlo Petrini ha manifestato grande apprezzamento, da subito, per l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, di cui ha scritto, per la San Paolo, un’appassionata introduzione. Al Meeting di Rimini interverrà (il 20 agosto alle 17) sul tema “Sostenibile è… umano”.

Petrini, “sostenibilità” è un termine di successo, ma forse ormai logoro. Come l’interpreta lei?
Preferisco parlare di “durabilità”. Il paradigma oggi vincente teorizza la produzione di beni che deperiscano nel più breve tempo possibile. Questo appartiene ad un’economia che uccide, come dice papa Francesco, perché lascia spazio allo spreco e allo scarto. Ora: le risorse del pianeta non sono finite e noi stiamo andando in sofferenza. Per questo la società civile comincia a chiedere risposte alla politica e all’economia Ma vedo un rischio all’orizzonte…
Quale?
Che la risposta sia dettata dal desiderio di cavalcare una moda o una tendenza (che fa anche fatturato) piuttosto che dal ripensare il modello in auge fin dalle fondamenta. Un esempio? Il rifiuto dell’utilizzo della plastica monouso: un passo importante, ma ovviamente non basta. La situazione complessiva è molto, molto seria.
Da dove si comincia, allora, per cambiare strada?
D
opo la pubblicazione della Laudato si’, il prossimo appuntamento importante è l’incontro sull’Economia di Francesco, in programma ad Assisi a marzo 2020. Quello sarà il luogo in cui – spero – il nuovo paradigma economico prenderà consistenza. Se così non sarà, ho l’impressione che “sostenibilità” diventerà una parola vuota.
Parlando della Laudato si’ lei ha detto che «sbaglia chi la riduce a una logica ecologista, perché è un esercizio di nuovo umanesimo».
Dopo la pubblicazione della Laudato si’, un appuntamento importante sarà, in ottobre, il Sinodo sull’Amazzonia. In quella zona l’economia estrattiva, portata a livelli estremi, sta distruggendo un ecosistema vitale per l’intero pianeta. Il modello economico vincente, ancora una volta, si connota là per lo scarso rispetto per l’ambiente e per le popolazioni indigene
Lei cita due eventi ecclesiali, pur non essendo cattolico…
Lo faccio perché non vedo altro! Ho l’impressione, però, che una parte della Chiesa, a differenza del Papa, non ritenga che le tematiche inerenti al creato siano così dirimenti in questo momento storico.
Può essere «la cura della casa comune» un terreno di incontro tra credenti e non?
Io sono un agnostico, non da ieri attento al mondo cattolico. Il dialogo, come metodo, è l’unico strumento che abbiamo per superare visioni troppo ristrette rispetto alle grandi tematiche, a partire proprio dall’ambiente.
Tutela dell’ambiente e diritti sociali, sottolinea papa Francesco, vanno a braccetto perché «tutto è connesso». Ma c’è ancora molto da fare. Un esempio: la definizione di finanza sostenibile che di recente il Parlamento europeo ha approvato dimentica la dimensione sociale.
Nella ricerca di un nuovo paradigma economico una delle punte di avanguardia è la scuola italiana dell’economia civile che è espressione, nella quasi totalità, del mondo cattolico. Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Alessandra Smerilli e Leonardo Becchetti sono, a livello internazionale, portatori di una diversità che dovrebbe essere più conosciuta e più diffusa. Non vedo altre strade: se, infatti, da sinistra, la proposta è una versione un po’ più democratica del neoliberismo, non cambierà niente! Abbiamo bisogno di un’economia di comunità, che abbia come interesse principale il riconoscimento della prossimità e la valorizzazione dei territori.
Cosa pensa del movimento lanciato da Greta Thumberg: un fuoco di paglia o l’inizio di una rivoluzione culturale?
Propendo per la seconda ipotesi: queste tematiche sono all’ordine del giorno anche dal punto di vista esistenziale. Noi adulti, anziché osservare passivamente se i giovani ce la faranno o meno, dobbiamo metterci al loro fianco per dare il nostro contributo. Con una metafora gastronomica: noi dovremmo essere quelli che portano il sugo rispetto alla pasta che i giovani stanno cucinando. Anche perché buona parte della responsabilità del disastro attuale è delle generazioni adulte.
Gli adulti hanno anche il compito di educare ai consumi. Una parte del mondo finanziario sta proponendo prodotti (come i “ green bond”) volti a premiare le aziende che riducono il loro impatto ambientale, ma occorre farli conoscere, proporre ai consumatori le alternative possibili.
Questo lavoro è fondamentale. Se vogliamo che la tendenza ‘verde’ delle aziende continui e non rimanga mero “ greenwashing” (ossia un’operazione di immagine), occorre andare oltre. Anziché il consumatore, bisogna mettere al centro il cittadino responsabile, il quale, proprio perché ha una sua consapevolezza ambientale, può diventare “co-produttore”, contribuendo a orientare le tecniche di produzione delle aziende.
L’affermazione dei Verdi alle recenti Europee è il segnale di una nuova consapevolezza dell’emergenza ambientale in atto?
Il tema ambientale sarà l’elemento centrale nei prossimi anni, non v’è dubbio. Chi aspetta a recepirlo è destinato a sparire dalla scena politica. In Germania, alle ultime elezioni, la popolazione sotto il 24 anni si è espressa per il 49% in favore dei Verdi. Attenzione: non ha ancora votato la “generazione- Greta”! La prossima volta sarà una valanga annunciata. Più la politica tradizionale ci metterà del tempo a comprendere questo, più è destinata a scomparire.
Petrini, lei è un gastronomo-sociologo: come si declina la sostenibilità a tavola?
Il sistema alimentare è centrale in questo momento storico più che mai, poiché pesa sulla produzione dei gas serra per il 34% contro il 17% della mobilità. L’elemento del piacere gastronomico si deve, quindi, conciliare con la salute degli ecosistemi e con la giustizia sociale: senza questi tre elementi non c’è qualità alimentare. Il cibo deve essere buono, pulito e giusto. Fonte: Avvenire, Gerolamo Fazzini, 1.08.2019.

 

 

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