Intervista al fondatore di Slow Food e Terra Madre che, partendo dal suo libro “Terrafutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale”, racconta come il mescolarsi di tradizioni abbia permesso alla curiosità delle persone di assorbire elementi da altri popoli e portarli avanti con mediazioni e trasformazioni. Così oggi tanti piatti che consideriamo identitari hanno origini in altri Paesi, come la pasta
«In Argentina, soprattutto nella zona di Cordoba e Rafaela, la bagna cauda si fa ancora molto spesso. Portata dalle comunità piemontesi, ha messo radici ed è diventata autoctona, è considerata un piatto tradizionale anche da chi non ha ascendenze italiane. Ma si trova anche a Buenos Aires», racconta Papa Francesco a Carlo Petrini in uno dei dialoghi contenuti in “Terrafutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale” di Carlo Petrini (Giunti Slow Food editore).
È un ricordo che ci mostra un’immagine che a noi appare incongrua, ma che, in realtà, dimostra ancora una volta come la storia dell’alimentazione e dell’antropologia siano fatte di continui scambi, e ciò che chiamiamo tradizione è molto più recente e molto meno “tradizionale” di quanto vorremmo credere.
Questo, naturalmente, è solo uno spunto, più umano, dei tanti contenuti in un libro costruito soprattutto attorno al tema dell’ecologia che il Papa – dall’enciclica del 2015, Laudato si’, in poi – ha molto a cuore. «Non una questione, ma LA questione», la definisce Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e di Terra Madre, con cui ne parliamo.
Durante la prima ondata ci dicevamo che ne saremmo usciti migliori. Poi abbiamo avuto l’illusione di uscirne, anche se non migliori. E adesso scopriamo che non solo non siamo migliori, ma non ne siamo usciti proprio. È una visione pessimista?
No, è una visione realista. Perché il virus non lascia scampo e i nostri atteggiamenti, ancorché virtuosi, non sono sufficienti. Attraversiamo un momento difficile e bisogna fare di necessità virtù. Adesso è estremamente importante lavorare per una coesione sociale perché la minaccia di una deriva violenta è seria.
Le proteste violente di questi giorni hanno coperto un disagio comprensibile.
Distruggere le vetrine dei commercianti rivela un’insensibilità alle sofferenze degli stessi commercianti. È una degenerazione che va fermata perché è come farsi del male da soli in un momento già drammatico.
Il lockdown e adesso il semi-lockdown hanno spinto molte persone a concentrarsi di più sul cibo. Pensa abbia aiutato a ottenere la consapevolezza di cui lei parla da sempre?
Chiusi in casa, le buone pratiche di cucinare sono state quasi obbligate: è uno dei pochi effetti positivi in questa situazione negativa. Ma dal punto di vista dei cambiamenti profondi andrebbe misurato nel tempo. Ciò che, invece, purtroppo è già certo è che tutto quel sistema di relazioni tra agricoltura locale, distribuzione locale, botteghe e mercati contadini è saltato perché, affidandoci tutti ai supermercati, chi va in sofferenza è la piccola distribuzione e i contadini del territorio. La politica dei supermercati non rispetta il prezzo equo e i contadini. Anzi. E da questo punto di vista la situazione è drammatica. È obbligatorio pensare che, appena usciremo da questa contingenza, vada implementata la distribuzione diretta e il rapporto tra contadini e cittadini, in particolare, nei borghi dove ha ancora anche una funziona sociale.
Il suo messaggio e quello di Papa Francesco sono strettamente correlati. Lei, però, arriva da una tradizione politica direi quasi opposta. Sembravano due rette che non si sarebbero mai incontrate. Poi cosa è successo?
Primo, non possiamo pensare che il messaggio di questo Papa sia più consenziente verso una parte piuttosto che per l’altra. Anzi dobbiamo riconoscere che il suo messaggio evangelico supera le nostre divisioni schematiche. Il secondo elemento, invece, è che la fase storica che stiamo attraversando pone al centro di tutto la salute del pianeta, la difesa dell’ambiente e la salvaguardia degli ecosistemi. Per cui il ragionamento partito dall’enciclica “Laudato si’” ha consentito di trovare momenti di sintonia con tutti coloro che hanno a cuore Il problema. E il fatto che una moltitudine di giovani, ispirati da Greta Thunberg, ci solleciti a non perdere tempo lo conferma. Perché i dati scientifici dicono che, se continuiamo con queste emissioni di co2, arriveremo, nel 2100, a 5 gradi di temperatura in più: un disastro di proporzioni bibliche. E, se non cambiamo le cose, questa realtà la vivranno i bambini che in questo momento fanno le elementari e le medie.
Per molti già la pandemia è strettamente legata alla devastazione degli ecosistemi.
Noi siamo concentrati sulla situazione pandemica: ma siamo in presenza di tre crisi epocali irrisolte: crisi pandemica, crisi economica e crisi climatica. E dal punto di vista dei rischi per le persone la crisi climatica è la più terribile. In questa situazione, se vogliamo essere responsabili, dobbiamo capire che alcuni paradigmi debbono cambiare: l’economia non può essere basata solo sullo sfruttamento, sul profitto, sul consumo e sulla produzione intensiva, come se la terra avesse risorse infinite, che non ha. È una grande sfida che, purtroppo, a livello politico non coglie nessuno.
Nel libro il Papa parla moltissimo di Amazzonia. Quest’anno gli incendi sono stati perfino peggiori di quelli dell’anno scorso di cui si era parlato moltissimo, ma la pandemia ha assorbito ogni attenzione.
Il Brasile adesso è in mano a un irresponsabile e quello che sta avvenendo laggiù è incredibile. Intere popolazioni indigene vengono annientate senza tutele, schiacciate dagli interessi delle multinazionali. È un disastro umanitario dalle proporzioni incredibili. Noi, come Terra Madre, abbiamo reti indigene in Amazzonia e le notizie che ci giungono sono tremende. Perfino sul fronte pandemico Jair Bolsonaro ha sostenuto tesi irrazionali, come, del resto Trump o Boris Johhson agli inizi. Spero che la gente cominci a riflettere meglio sui suoi rappresentanti.
Durante un dialogo, il Papa racconta di come, in Argentina, fosse abituato a mangiare la bagna cauda.
Una famiglia di origine piemontese emigrata in Argentina, negli anni ’40, si portava dietro i riti gastronomici degli agnolotti e della bagna cauda, perché erano il legame con la terra natale. Ma il senso di quella chiacchierata – oltre a mettere in luce le comuni origini piemontesi – era soprattutto evidenziare come tutti i migranti portino con sé la memoria della loro alimentazione. Accade lo stesso con le comunità che emigrano in Italia. A Torino, nel mercato di Porta Palazzo, si serve la comunità rumena che conta 50mila persone e si alimenta con cibi preparati coi gusti della Romania, e nelle campagne di Torino si piantano cavoli cinesi per la comunità cinese.
Diceva delle radici comuni e della saggezza contadina delle vostre nonne… loro avrebbero trovato così insopportabili le nostre privazioni?
I nostri vecchi ne hanno viste tantissime: la spagnola che, dalle nostre parti, ha realizzato una vera e propria decimazione. E poi due guerre mondiali con tutte le inevitabili ricadute. Bisogna rispettare le sofferenze che hanno subito i nostri vecchi per capire le sofferenze di oggi. Ma, a ben vedere, erano società profondamente diverse, perché è vero che le economie della sussistenza di allora erano in grado di produrre cibo anche nei periodi di estrema crisi, ma era un cibo poverissimo. Era una situazione di miseria imparagonabile al tipo di sostegno che il governo è in grado di offrire oggi.
Lei dice che il cibo è “meticciato”.
Non capire questo significa non capire nulla dell’antropologia umana. La storia dell’alimentazione è fatta di scambi. Perché noi italiani abbiamo come piatto nazionale la pasta al pomodoro quando né la pasta né il pomodoro sono originari dell’Italia? O piatti identitari come il baccalà alla vicentina… ma il baccalà non è mai esistito dalle nostre parti! È il meticciato che ha permesso alla curiosità delle persone di assorbire elementi da altre culture e portarli avanti con mediazioni e trasformazioni. Per fare un altro esempio, oggi, in America del Nord, esiste una cucina italo-americana che ha dei ricordi di italianità ma non è italiana. E questa è la bellezza del meticciato.
Ho controllato e nel libro non c’è mai la parola “gola” che per la Chiesa è uno dei vizi capitali. Posso chiederle se è un caso?
Ho sollevato questo problema in un dialogo col Papa parlando di “piacere”. Forse andando perfino più in là.
Il Papa, in quel punto, difende il “piacere”. Sostiene sia consentito dalla morale cristiana. Anzi, perfino, incitato.
Lui sostiene che questa è la posizione della Chiesa, ma non c’è dubbio che in tempi passati la posizione sul “piacere” fosse diversa.
Entrambi avete molta fiducia nel singolo. Ma i singoli possono bastare? Non serve anche una visione politica?
I singoli sono determinanti per la politica. E la politica, spesso, non incide proprio perché non c’è la solidarietà della moltitudine dei singoli. La Commissione Europea ha promosso il Green New Deal che sarebbe un passo avanti enorme, ma gli Stati nazionali se lo stanno rimangiando, nell’indifferenza sostanziale degli europei. Vuol dire che se non c’è una mobilitazione dei singoli non si creano le premesse per la mobilitazione politica. Per fare un altro esempio, oggi, buona parte della produzione si sta orientando verso il termine “sostenibile”, ma le aziende non lo usano perché è caduto dal cielo. Lo usano perché le persone hanno cambiato i propri consumi e non vogliono consumare in maniera irresponsabile.
Quindi anche per l’ambiente.
Siamo davanti a una situazione drammatica: la produzione eccessiva di co2, perciò è arrivato il momento di pensare a forme di contenimento di co2, partendo dai nostri comportamenti individuali. A quel punto lì diventerà evidente che anche la politica deve fare i suoi passi. L’atteggiamento individuale non è irrilevante, può, anzi, produrre un effetto valanga.
Visto che gli unici Premi Nobel di cui si può discutere sono Letteratura e Pace e nessuno si sogna mai di dare un giudizio negativo ai Nobel per chimica o fisica: cosa pensa del Nobel per la Pace al programma alimentare della Fao? È una buona notizia?
Sì. Ma la considerazione amara che bisogna fare è come su questo fronte l’umanità non sia ancora riuscita a risolvere il problema, perché è un problema che richiederebbe pochi investimenti, assolutamente incomparabili agli investimenti che vengono realizzati sul fronte delle armi. Un’umanità che preferisce armarsi piuttosto che aiutare chi muore di fame non è saggia.
Mi consenta di chiudere citando una battuta che gira su internet: cosa possiamo rispondere a chi pensa che tutta la pandemia sia colpa di un tizio che voleva mangiare zuppa di pipistrello?
Le origini di fenomeni come questo non sono, per fortuna, riconducibili a un atto individuale. La battuta è molto riduttiva. Se invece vogliamo fare un’analisi storica l’umanità ha sempre subito le pandemie. Nei 70 anni della mia vita ci saranno state una ventina di pandemie. Ma avvenivano in luoghi diversi, in Africa o Asia, non toccavano i nostri ospedali e sono state anche pandemie tremende, come ebola. È nella natura delle cose che, a un certo punto, l’equilibrio venga messo a repentaglio. Fonte: Linkiesta.it, Arnaldo Greco, 31.10.2020