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Set 06 2022

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TAVOLA VUOTA: COME LA CRISI CLIMATICA SCONVOLGERÀ IL NOSTRO RAPPORTO COL CIBO

Le fragilità del nostro sistema alimentare – basato sull’uniformità e sull’abbondanza – stanno emergendo bruscamente a causa del “climate change”. Siamo a un punto di rottura, e la scienza non può fare miracoli

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Il cambiamento climatico ha un impatto così concreto e pervasivo che possiamo letteralmente assaporarlo. Secondo uno studio australiano, pubblicato dal Melbourne sustainable society institute, in collaborazione con il Wwf, l’aumento delle temperature dovuto alle emissioni di gas serra sta cambiando – e cambierà per sempre – il gusto e i valori nutrizionali degli alimenti di cui ci nutriamo, specialmente di alcune varietà di frutta e verdura. 

Per fare alcuni esempi, le carote perderanno parte della loro consistenza e del loro sapore; cavoli e cavolfiori diventeranno più amari; le melanzane, i pomodori e le arance potrebbero deformarsi e l’olio perderà circa un quarto del suo valore nutritivo. Molte altre colture subiranno rese inferiori o una fioritura ridotta, incluse quelle di lamponi, limoni, barbabietole, patate, lenticchie e ceci.

Anche carne e pesce sono colpiti dalla crisi climatica. L’aumento delle temperature causa la produzione di carne di manzo di qualità inferiore e lo stress da caldo è estremamente pericoloso anche per maiali e polli. Le temperature più elevate negli oceani portano a un calo di alcune specie di pesci, provocandone la scomparsa dai nostri piatti.

E non si parla di un futuro lontano, distopico. Già oggi gli eventi meteorologici estremi e il crollo climatico che stiamo vivendo mettono a rischio i nostri cibi preferiti. Tutti i sistemi alimentari – agricoltura, allevamento, pesca e acquacoltura – stanno cedendo sotto lo stress dell’aumento delle temperature, degli incendi, della siccità e delle inondazioni.

Le risaie asiatiche vengono inondate di acqua salata; i cicloni hanno spazzato via i raccolti di vaniglia in Madagascar; in America Centrale le temperature più elevate fanno maturare il caffè troppo velocemente; la siccità nell’Africa subsahariana fa appassire i raccolti di ceci. E l’aumento dell’acidità delle acque oceaniche sta uccidendo ostriche e capesante in America. 

Il cambiamento climatico causato dall’uomo è il comune denominatore: innesca disastri ambientali e peggiora condizioni già disastrose. Molti dei nostri sistemi alimentari sono a un punto di rottura. Questo, a sua volta, va a inficiare negativamente sulla disponibilità e la qualità del cibo, e di conseguenza sulla salute umana. Ne è una riprova il fatto che, secondo l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), in alcune parti del mondo le improvvise perdite di produzione alimentare dovute ai disastri climatici hanno già causato un aumento di malnutrizione nella popolazione.

In breve, il cambiamento climatico sta mettendo a rischio l’intera produzione alimentare: gli scienziati affermano che gli impatti di questa crisi minacciano di mettere a repentaglio la sicurezza alimentare globale. 

Facciamo l’ennesimo esempio. La mietitura di grano, mais e altri raccolti è diminuita in molti Paesi a causa del caldo estremo, del maltempo e della siccità. Secondo alcune stime, in assenza di azioni efficaci, i raccolti globali potrebbero diminuire fino al 30% entro il 2050. Come se non bastasse, conflitti, inquinamento e deforestazione non fanno che aumentare il danno. Anche nella migliore delle ipotesi, e con il raggiungimento degli obiettivi comuni in fatto di clima, il riscaldamento globale sta già rendendo la nostra terra meno adatta alle colture che ci forniscono la maggior parte delle calorie. Se non si intraprendono significative azioni per mitigare gli effetti della crisi climatica, le perdite di raccolto e i problemi che ne derivano saranno devastanti.

Come fare? Prendiamo spunto dalla natura, che ha un modo semplice, tutto suo, per adattarsi ai diversi cambiamenti: la diversità genetica. Questo termine sta a significare che, anche se alcune piante reagiscono male a temperature più elevate o a inferiori precipitazioni, altre varietà non solo possono sopravvivere, ma prosperare, offrendo a noi esseri umani un maggior numero di opzioni su cosa coltivare e mangiare.

La potente industria alimentare globale ha però sempre avuto altri obiettivi, e nel secolo scorso ha fatto costante affidamento su un numero sempre minore di varietà di colture che possono essere prodotte in serie e spedite in tutto il mondo. Sono stati ottimizzati rese e profitti, ma sacrificata la diversità.

Come la crisi climatica, la crisi della diversità è provocata dalle attività antropiche. Eppure, in fatto di cibo, la diversità aumenta la resilienza complessiva dei nostri sistemi alimentari contro gli effetti del cambiamento climatico e ambientale, che possono rovinare i raccolti e guidare l’emergere di agenti patogeni nuovi o più aggressivi. È ciò che ha permesso agli esseri umani, per esempio, di produrre cibo e prosperare in alta quota e nel deserto. A voler ben guardare, allora, la storia ci aveva messo in guardia, ma noi siamo stati compiacenti e ora il nostro stesso appetito ci ha confinato in uno stretto angolo genetico.

«Il confine tra abbondanza e disastro sta diventando sempre più sottile e il pubblico è inconsapevole e indifferente al problema», scrive Dan Saladino nel suo libro “Eating to Extinction”. Questo, come conferma lo stesso Saladino in un’intervista al Guardian, ha in parte a che fare con l’abbondanza di cibo a buon mercato degli ultimi tempi, che di conseguenza non ci ha fatto interrogare su ciò che invece è andato perso. Questo tipo di diversità non è importante solo per la sicurezza alimentare, ma anche per la nostra salute, per la salute del pianeta e per le economie locali.

«Parliamo di tradizioni alimentari e abilità perdute, ma non colleghiamo questi ricordi del cibo a quelle che sono storie di sopravvivenza: come le persone hanno usato la natura e le varietà di cibo che in essa trovavano per sopravvivere. Abbiamo respinto questa ingegnosità e questa complessità che hanno impiegato millenni per evolversi, etichettandoli come sistemi alimentari obsoleti perché crediamo che la scienza risolverà tutto. Ma ci sono dei limiti, e la scienza, che di per sé è riduzionista, non può fare miracoli». 

Abbiamo creato un sistema alimentare basato sull’uniformità e ne stiamo pagando il prezzo, cadendo vittime della sua fragilità. Abbiamo investito così tanto in una gamma davvero ristretta di prodotti, per massimizzare la resa e l’efficienza, trascurando altri tratti fondamentali. E ora ci sono prove schiaccianti che questo sistema è problematico. E la colpa è (ancora una volta) solo nostra. 

Ora che il tempo per agire stringe, il settore privato sta provando a portare avanti lo sviluppo di soluzioni biotecnologiche come l’editing genetico e la transgenica. Al contrario, gli esperti in agroecologia e agricoltura rigenerativa sostengono che i sistemi alimentari più efficienti e sostenibili sono quelli che utilizzano tecniche che imitano la natura, piuttosto che tecniche artificiali che cercano di dominarla.

Indipendentemente dall’approccio, valorizzare la diversità e salvare cibi in via di estinzione è la chiave per migliorare la qualità nutrizionale delle nostre diete, per assicurarsi un’agricoltura più sostenibile e in grado di far fronte ai cambiamenti climatici. 

Come dice Dan Saladino: «Non si tratta di tornare indietro, ma di guardare con un po’ di umiltà il passato, la diversità e i sistemi alimentari che hanno tenuto in vita gli esseri umani per migliaia di anni in maggiore armonia con la natura – e capire cosa può essere applicato nel sistema alimentare del 21° secolo».    Fonte: Linkiesta, Greenkiesta, Miriam Tagini, 06.09.2022

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