Le riflessioni di Luciana Castellina, intellettuale e fondatrice de “Il Manifesto”, e non solo, da Terra Madre Salone del Gusto by Slow Food
Luciana Castellina, fondatrice de “Il Manifesto”, con Carlin Petrini, fondatore Slow Food
Serve un cambio di paradigma, un nuovo equilibrio tra campagna e città, una “rinobilitazione” reale del mestiere del contadino, “oggi il pioniere della vita del futuro”, con motivazioni concrete, che possono andare dal “reddito di contadinanza”, fondamentale perché oggi “molti piccoli produttori lavorano al di sotto dei costi di produzione, mentre l’agroindustria macina profitti miliardari”, al miglioramento della qualità della vita nelle aree rurali, ma anche simboliche, come la concessione del titolo di “Cavaliere del Lavoro” a tutti i giovani che tornano a coltivare la terra. Frammenti di riflessione, e suggestioni, che arrivano da Terra Madre Salone del Gusto 2024 by Slow Food, a Torino (26-30 settembre), e sulle quali si sono confrontate Luciana Castellina, giornalista, scrittrice, politica e fondatrice de “Il Manifesto”, Famiano Crucianelli, presidente del biodistretto della Via Amerina e delle Forre, ex parlamentare ed ex sottosegretario agli Affari Esteri e autore del libro “Reddito di contadinanza”, e Barbara Nappini, presidente Slow Food Italia.
Tutto parte da una riflessione, da una presa d’atto, ha detto Luciana Castellina: “il modello industriale non funziona perché non coinvolge il mondo. Due terzi dell’umanità non partecipano del nostro sistema di vivere, siamo una minoranza di occidentali arroganti. Io faccio autocritica, da noi c’è democrazia, viviamo meglio, è vero, abbiamo fatto tante rivoluzioni che però il nostro colonialismo non ha consentito ad altri di fare. Oggi si consuma troppo, tutto. La parola “decrescita” è importante, anche se dalle nostre parti c’è paura di pronunciarla. Ma c’è speranza, le cose stanno cambiando. In Giappone, Kohei Saito, un professore all’Università di Tokyo, ha pubblicato il libro “Slow Down – How Degrowth Communism Can Save The Earth” (Come il comunismo della decrescita può salvare la Terra), che ha venduto 500.000 copie, un numero altissimo. E dalle statistiche è emerso che l’85% dei lettori è under 35. Vuol dire che con i giovani si può parlare di decrescita, che è necessaria – ha detto Castellina – non per vivere peggio, ma perché bisogna selezionare i piaceri. Oggi abbiamo una gerarchia dei piaceri fatta da chi ci vuole vendere i prodotti, a migliaia. Abbiamo tante cose superflue, poi, però, se nonno si ammala non sappiamo dove metterlo, le cose fondamentali non ci sono perché magari abbiamo 150 prodotti per fare una cosa di cui 149 inutili. Selezionando, possiamo fare a meno di tante cose. Ma la cosa principale a cui non possiamo rinunciare è il cibo, che nasce dall’agricoltura, che ha una centralità assoluta. E quella che si sta rovinando, diventando sterile, è la terra, perché viene rapinata delle sue risorse, che si stanno rapidamente esaurendo. È un battaglia che ha priorità su tutto, perché di tutto si può fare a meno, ma non di mangiare. E dobbiamo affermare con forza, soprattutto parlando ai giovani, che il contadino oggi è il mestiere più moderno del mondo, dobbiamo farlo capire, è il più importante e vitale per la nostra sopravvivenza. Ma vuol dire anche che fare il contadino va reso possibile nella società moderna. I territori vanno connessi, altrimenti ai giovani come fai a dire di fare il contadino. O come si fa a dire ai giovani che non possono fare un weekend fuori, nel mondo di oggi? E allora, servono le tecnologie moderne, la vita del contadino va messa in linea con la nostra epoca. Il contadino moderno è il tema centrale, ma serve anche una rivoluzione nella catena del valore, perché oggi è il contadino quello che guadagna meno lungo la filiera del cibo”, ha detto Castellina, che introducendo Famiano Crucianelli ha aggiunto: “il libro “Reddito di contadinanza”, vuol dire che i giovani devono fare i contadini con un buon reddito e con l’ammodernamento di tutto il contesto in cui vivono la ruralità. Serve un appello alla “contadinanza”, contadino viene da Contea, e dentro c’è anche il tema della comunità”.
Ma “prima di dire che alla terra si deve tornare – ha detto Crucianelli – si devono capire le difficoltà della terra. Noi come biodistretto abbiamo avuto sempre un contenzioso forte con la maggioranza degli altri agricoltori, dove siamo noi c’è molta monocoltura della nocciola. Proprio in questi giorni molti, però, si sono avvicinati, perché la situazione è diventata critica, perché i prezzi che l’industria sta facendo alla nocciola, che è richiesta moltissimo sul mercato, sono tali che sono inferiori ai costi. Bisogna fare qualcosa. La situazione nelle campagne è molto complicata, e non è semplice spiegare ad un giovane perché dovrebbe andare in campagna, o ad un agricoltore perché oggi, non dovrebbe lasciare la terra. Quando ho pensato al titolo del libro – ha spiegato ancora Crucianelli – a molti agricoltori, il termine contadino non piaceva, ma ho ricordato loro che il contadino è “l’alfa”, il fondamento della civiltà umana, che non sarebbe esistita senza agricoltura e senza l’insediamento umano legata all’agricoltura. Ma quello che sostengo è che oggi più di ieri il contadino è l’elemento di nobiltà per il futuro della nostra civiltà. Ci sono due missioni che devono essere parte della storia: la sicurezza alimentare, che è la disponibilità di cibo per poter vivere, e che 60 anni fa è stata chiamata “rivoluzione verde”, che, però, è stata una rivoluzione chimica, con 190 milioni di tonnellate di fertilizzanti chimici che ogni anno finiscono sui nostri terreni. Si diceva che sarebbe stato utile per sconfiggere la fame, non è andata così. Ed inoltre questo ha innescato processi di desertificazione, abbiamo il 33% di terre che vanno verso la sterilità, in Europa siamo oltre il 20%, la Pianura Padana rischia di diventare sterile. La “rivoluzione verde” non ha prodotto risultato. E poi oltre alla sicurezza, c’è il tema della qualità dell’alimentazione, che non c’è nel mondo. Ci sono 800 milioni di persone mal nutrite, 600 milioni di ipernutriti o obesi, con tutto quello che ne consegue. Poi ci sono i servizi ecosistemici: in pochi anni sono stati compromessi sistemi che si sono costruiti in migliaia di anni. Del suolo non si parla mai, ma nei primi 70 centimetri c’è la vita, se sterilizziamo quello finisce la vita, non del suolo, ma di tutti. Oggi chi fa il contadino è il pioniere della vita del futuro, è un mestiere a cui vanno date grandi motivazioni. E per questo è inaccettabile che non ci sia un reddito giusto e garantito, per un lavoro fondamentale. E le risorse ci sono. Due settori come energia e agroindustria hanno fatto affari incredibili in questi anni. Inoltre, secondo la Fao, ogni anno è di 12.400 miliardi il costo a livello mondiale sulla salute e sull’ambiente, che con un’agricoltura e un’alimentazione diversa si potrebbero risparmiare. Serve far crescere la qualità della vita nelle campagne, serve un nuovo equilibrio tra città e campagna, che è un problema di tutti: tra 20-30 anni l’80% delle persone vivrà in città, sarà una cosa aberrante”.
Serve concretezza, dunque, ma anche bellezza, come ha spiegato, con la metafora del “pane e le rose”, la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini. “Il tema della bellezza è fondamentale, porta al tema della qualità, non è una bellezza estetizzante, ma che enfatizza la parte etica dell’estetica, che tocca lo spirito e la coscienza. Nel caso specifico del diritto alla bellezza, che riprende il diritto al piacere di uno dei primi slogan di Slow Food, rivendicare il diritto alla bellezza è una forma di rispetto verso se stessi. E poi c’è la bellezza collettiva, che parte dalla dimensione individuale, e poi arriva alla collettività. La modernità spinge alla privatizzazione, mentre lo spazio pubblico, che è considerato spazio di nessuno, è uno spazio di tutti, e rivendicare spazi di partecipazioni per fare orti, biblioteche, mercati, o altro, afferisce alla bellezza e alla qualità del ben vivere che va oltre il benessere fisico, è molto di più, è una combinazione che accoglie tanti aspetti dell’essere: corpo, spirito, qualità delle relazioni che abbiamo con persone, animali ed ecosistemi. Il bello si fa anche attraverso una committenza artistica pubblica, che non c’è più. E che servirebbe non per l’arte come scambio di merce, ma come strumento di rivendicazione politica, di ciò che riguarda tutti. E niente, più del cibo, riguarda tutti”.
Cibo che, ovviamente, parte dal lavoro dei contadini, che va riconosciuto, in concreto, con un reddito dignitoso e giusto, ma anche in maniera simbolica. Per questo, “sarebbe bello chiedere al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, da Terra Madre, di nominare “Cavalieri del Lavoro” tutti i giovani che si mettono a fare i contadini”, ha concluso, lanciando un’idea provocatoria, Luciana Castellina. Fonte: WineNews, 29.09.2024