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Gen 21 2024

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18 MILIARDI DI ANIMALI ALLEVATI E UCCISI PER CIBO FINISCONO TRA I RIFIUTI ALIMENTARI

Un terzo del cibo prodotto a livello globale va perso o sprecato lungo l’intera filiera alimentare, dalla produzione alla distribuzione, fino al consumo finale e pare che i prodotti animali costituiscano il 12% di questa perdita.

Ma mai prima d’ora è stato calcolato quanti animali muoiono ogni anno prima di finire tra i rifiuti alimentari: 18 miliardi di animali tra bovini, capre, pecore, suini, tacchini e polli, equivalenti a 52,4 milioni di tonnellate di carne commestibile già senza ossa. Lo rivela un recente studio dell’Università di Leiden, nei Paesi Bassi (1), che ha avuto numerose citazioni nell’ultimo mese e che riflette la situazione del 2019 per evitare l’impatto della pandemia COVID-19 sul calcolo dei consumi. Desideriamo riportarvi con maggiori dettagli questi risultati davvero sconcertanti, nella speranza che, oltre ad una implementazione delle politiche pubbliche e delle pratiche aziendali, aumenti la consapevolezza collettiva nella lotta allo spreco alimentare. Questo perché ogni piccola azione fa la differenza sia a livello di costi, che di ambiente, che di vite perse.

RISULTATI

1.1 Perdita di vite animali a causa dello spreco di carne.

Nel 2019, 52.4 milioni di tonnellate di carne senza ossa, delle sei principali specie animali produttrici di carne (bovini, capre, pecore, suini, tacchini, polli) sono andate sprecate lungo la catena di approvvigionamento alimentare. Ciò equivale alla vita di circa 18 miliardi di animali, che sono stati allevati e uccisi senza essere utili per la nutrizione umana. Dei decessi stimati, 74,1 milioni (0,4%) erano bovini, 188 milioni (1,1%) capre, 195,7 milioni (1,1% pecore), 298,8 milioni (1,7% suini), 402,3 milioni (2,2%) tacchini e 16,8 miliardi (93,6%) polli. Così, per ogni cittadino si sono sprecate in media 2,4 vite animali lungo tutta la filiera, dalla produzione al consumo (FSC: food supply chain). Di tutte le perdite stimate, il 24,9% si è verificato in FSC1 (produzione agricola), il 7,8% in FSC2, (conservazione e consegna) il 20,0% in FSC3 (lavorazione e imballaggio), il 20,6% in FSC4 (distribuzione) e il 26,7% in FSC5 (consumo finale). Pertanto, nella catena di approvvigionamento, la maggior parte delle perdite di vite animali si verifica durante la produzione agricola e il consumo, mentre le perdite di vite animali durante lo stoccaggio e la movimentazione sono risultate particolarmente basse. I modelli per gruppo di regioni, tuttavia, differiscono (Figura 1).

Figura 1. Perdita di vite animali (espresse in miliardi di capi) lungo i 5 stadi (FSC) della la filiera alimentare (in nero-Produzione, in blu-Conservazione e Consegna, in verde scuro-Lavorazione e Imballaggio, in verde chiaro-Distribuzione, in giallo-Consumo).

Le perdite basate sui consumi dominano in Nord America e Oceania (N. Am & Ocean.), Europa e Asia industrializzata (Ind. Asia); le perdite dovute alla produzione sono più elevate in America Latina (Lat. Am), Nord Africa, Asia occidentale e centrale (N. Afr., W. & C. Asia) e soprattutto nell’Africa sub-sahariana (Sub-sah. Afr.). Le perdite nel Sud e Sud-Est asiatico (S&SE Asia) sono completamente diverse, essendo dominate sia dalle perdite di distribuzione che di lavorazione/imballaggio. In sintesi, le perdite durante le fasi a monte dell’FSC portano a un numero leggermente maggiore di morti inutili di animali (52,7 %) rispetto a quelle delle fasi a valle dell’FSC (47,3 %).

1.2 Perdita di vite animali in base alle zone geografiche.

I primi 10 paesi con il maggior numero di perdite (il 57% del totale) sono riportati in Tabella 1. In questa top-ten, Stati Uniti, Brasile e Sudafrica hanno il maggior numero di perdite di vita pro-capite e possono essere considerati punti caldi geografici per perdita di vite animali.

Tabella1. I primi dieci paesi per perdite di vite animali. Colori più scuri indicano maggiori perdite.

Sebbene le perdite del Sudafrica, in tonnellate pro-capite (dati non riportati), siano molto inferiore a quello degli Stati Uniti, si distingue per le sue elevate perdite di vite di polli pro-capite, come si può osservare in Figura 2,  dove si riportano le perdite pro-capite a livello globale.

Figura 2. La perdita globale di vite animali pro-capite. I paesi in bianco non rientrano nell’analisi per mancanza di dati.

Analizzando poi globalmente la distribuzione regionale, l’Asia industrializzata è stata il gruppo di regioni con il maggior numero di perdite di vite animali e l’Africa subsahariana è stato il gruppo di regioni con il minor numero di vite animali perse (Tabella 2).

 

Tabella 2. Quota di perdita di vite animali per gruppo di regioni rispetto alla quota di popolazione globale. I colori più scuri indicano valori più alti.

Tuttavia il gruppo di regioni con la più alta perdita di vite animali pro-capite, il Nord America e l’Oceania, ha una perdita media e uno spreco considerevolmente più elevati con 6,98 vite animali perse pro-capite (corrispondenti a 24,5 kg di spreco di carne commestibile) rispetto all’ Asia industrializzata con 2,07 vite animali perse pro-capite (corrispondenti a 7,71 kg di spreco di carne commestibile, Tabella 3).

 

Tabella 3. Quota di perdita di vite animali per gruppo di regioni e spreco di carne commestibile (in Kg) pro-capite. La prima colonna rappresenta la media mondiale.

Per la loro quota di popolazione, i sistemi alimentari del Nord America e dell’Oceania causano quindi in modo sproporzionato gran parte della perdita di vita animale globale. Anche l’America Latina, il Nord Africa, l’Asia occidentale e centrale e l’Europa sono state identificate come regioni le cui quote di perdita di vite animali sono sproporzionatamente elevate rispetto alla loro quota di popolazione globale. Questo modello segue all’incirca il PIL pro-capite, che tende ad essere più alto nelle regioni con una perdita di vite-pro capite più elevata.

 

1.3 Scenari di riduzione.

Le vite animali sprecate e perse lungo l’intera catena di approvvigionamento in tutti i gruppi di regioni potrebbero essere ridotte di 7.9 miliardi se venissero integrate le migliori efficienze regionali, producendo la stessa quantità di carne per il consumo umano (Figura 4). Ciò comporterebbe una riduzione di 7,3 miliardi di polli, 301,7 milioni di tacchini, 111,2 milioni di suini, 79,2 milioni di capre, 80,9 milioni di pecore e 42,9 milioni di bovini per una riduzione del 43,9% dei livelli attuali di perdite e sprechi.

Se venisse attuato l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’ONU (SDG 12.3 Dimezzare lo spreco alimentare globale pro-capite entro il 2030), 4.2 miliardi di vite animali potrebbero essere risparmiate (obiettivo minimo: riduzione del 50 % in FSC4 e FSC5) che potrebbero essere implementate fino a 8.8 miliardi di vite risparmiate se le perdite e gli sprechi fossero ridotti del 50% lungo l’intera catena di approvvigionamento (da FSC1 a FSC5).

 

Figura 4. Scenari di riduzione. Linea base: 18 miliardi di vite animali sono rappresentati dalle perdite e dagli sprechi di un anno di produzione e consumo globale di carne. Minimi Regionali: queste morti invano potrebbero essere ridotte di 7,9 miliardi se le diverse regioni del mondo raggiungessero le migliori efficienze attualmente osservate in tutto l’FSC globale. SDG 12.3: la barra superiore dell’SDG rappresenta un’implementazione minima dell’SDG di 4.2 miliardi; la barra inferiore rappresenta un’ulteriore riduzione di 4.6 miliardi in caso di un’implementazione completa e ottimistica.

CONSIDERAZIONI FINALI

“I corpi degli animali da fattoria sono modellati secondo le necessità industriali. Trascorrono la loro intera esistenza come ingranaggi di una gigantesca filiera di produzione e la lunghezza e qualità della loro vita sono determinate dalla logica del profitto” Yuval Noah Harari (2).

Il nostro il sistema alimentare, basato sullo sfruttamento di animali e il comparto zootecnico, focalizzato solo alla produzione e tutelato per esclusivi interessi economici, rappresenta una costante ed enorme perdita di vite e di risorse ambientali.

Potremmo ottenere una riduzione fino al 50 per cento di vite animali sprecate e perse solo con l’applicazione dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 12.3 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ma siamo ancora lontani da questo traguardo. Sappiamo che il 14,5% di tutte le emissioni di gas serra può essere attribuito al bestiame. La soluzione non è unica; nei Paesi in via di sviluppo si tratta di migliorare le condizioni degli animali, lo stoccaggio ed il trasporto della carne; nei Paesi occidentali invece devono essere i cambiamenti comportamentali a fare la differenza nel lungo periodo. Inoltre gli autori auspicano un ulteriore approfondimento data l’esclusione, nella presente meta-analisi, delle produzioni lattiero-casearie e di uova, nonché la pesca, che incorporerebbero altre perdite di vite animali. Infatti l’abbattimento dei pulcini maschi nella produzione di uova induce a riflettere su quanto i polli siano gravemente colpiti da uccisioni superflue così come far luce sulla perdita di pesci, che sono spesso percepiti come un gruppo meno senziente e uniforme. La gravità dello spreco alimentare, non solo contribuisce in modo rilevante all’inquinamento e ai cambiamenti climatici ma solleva anche questioni etiche facendoci riflettere sulla perdita enorme, inimmaginabile di vite animali, spesso trascurata quando parliamo di efficienza alimentare e di consumi più responsabili. E’ imperativo costruire un sistema alimentare più sostenibile, rispettoso della nostra salute, dell’ambiente e della vita animale, BUONO, PULITO e GIUSTO per TUTTI. (Mariagazia Tripodi)

FONTI

1          Klaura J, Breeman G, Scherer L. Animal lives embodied in food loss and waste: Sustainable Production and Consumption. 43 (2023) 308–318

2          Yuval Noah Harari (2014). Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani

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