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Set 06 2022

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ERMETISMI DI STAGIONE: IL POTERE RASSICURANTE DELLE CONSERVE

Chiudere l’estate in un barattolo è una vera magia. A settembre finisce il tempo della preparazione e inizia quello in cui si gode del frutto di tanto lavoro

I fichi bruniti. I pomodori – accartocciati, spremuti, appesi. Le albicocche – ma anche le pesche, le fragole e le prugne – essiccate o trasformate in confettura. I sottoli e le fermentazioni. L’affumicatura e la conservazione del pesce sotto sale, come avviene a Cetara. La giardiniera. Ed ecco la dispensa, trasformata in album fotografico “in barattolo” della bella stagione appena trascorsa. L’arte del conservare ha radici storiche antichissime. Il rito che sfrutta la potenza del sole – altro che essiccatori! – per immortalare e concentrare i gusti estivi si ripete ogni anno, su ogni scala di grandezza, da quella singola a quella del clan. In tempi incerti come questi, fare scorta non è più solo un vezzo, ma anche un modo per affrontare inverni incerti con le spalle coperte e il conforto di qualcosa di buono sempre pronto a portata di mano.

Un gesto che viene da lontano

Le radici storiche dell’arte di conservare sono profonde. Se ne rintraccia la diffusione già ai tempi degli antichi romani, grazie alla testimonianza del De re coquinaria di Apicio. Nel celebre ricettario vengono citati miele, sale e aceto come ingredienti di preservazione, sono forniti consigli su come distinguere un alimento cattivo da uno buono e su come conservare la carne.

Nel 1796 Nicolas Appert, pasticcere in rue de Quincampoix a Parigi, realizza le prime conserve in vasi di vetro. Le due fasi fondamentali diventano il riscaldamento in acqua bollente e la chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Ma non si tratta di innovazioni tout court, dato che già l’abate Lazzaro Spallanzani, in Italia, ne scriveva nei suoi Opuscoli di Fisica Animale e Vegetabile.

Nel 1973 Luigi Veronelli pubblica Il libro delle conserve: frutta, verdura, cacciagione, pesce, carni, realizzato con la moglie Maria Teresa. Interessante la sua considerazione: «Di sottrarti al condizionamento della civiltà industriale (…) libro per uomini e donne di buona volontà che vogliono – finalmente con serio e determinato proposito – cibi e vini puliti, e quindi buoni, proprio come vogliono cielo, mare, monti, boschi, fiumi, colli, campagne puliti. Per la vita; o forse per la possibilità di sopravvivenza». In tempi non sospetti, Veronelli aveva tracciato il collegamento con uno dei fattori che rendono la conserva rassicurante.

Salsa d’estate

Ognuno di noi ha un ricordo legato all’arte di conservare. C’è chi si rifugia nell’ipnotico vortice della cucchiaio di legno nella grande pentola con la frutta in poltiglia. C’è chi invece rivive nella memoria e poi rimette in pratica la titanica impresa del fare la salsa con la famiglia. Se si vive al Sud – da Napoli in giù, per intenderci – questo atto prevede che il nucleo si arricchisca di particelle essenziali. La zia “project manager”, che custodisce gli antichi saperi, compreso quelli scaramantici per la buona riuscita dell’intera operazione. Infatti, le donne afflitte dalle mestruazioni possono presenziare solo se sul tavolo si dispongono delle forbici aperte “per tagliare il dolore”, pena la vanificazione dell’intera operazione. I piccoli, che scorazzano tra le spianatoie ricoperte di pomodori bolliti e le pentole infervorate, desiderosi di fare qualcosa. E poi ci sono tutti gli altri, smistati tra lavaggio, bollitura, passa-salsa, imbottigliamento e chiusura con tappi a corona. Dopo una sveglia assassina, puntata attorno alle quattro del mattino, la creazione della salsa da conservare per l’inverno si conclude a tarda notte (almeno stando alle quantità necessarie ai diversi nuclei familiari riuniti per l’operazione). I pentoloni infervorati ribollono con cautela, a fiamma bassa, con dentro le bottiglie protette da sacchi di iuta per evitare che si rompano durante il processo di sterilizzazione. Tutto questo avviene in un periodo di tempo compreso tra agosto e inizio settembre, a seconda di quale prezzo si è disposti a pagare i pomodori.

Questo è il mio ricordo di bambina. Perché, da adulta, l’arte conserviera del mio nucleo familiare è cambiata. Venendo meno la generazione della “grande impresa estiva”, i quantitativi si sono ridotti a poche bottiglie preparate in solitaria dalla mamma. A questo, si è aggiunta la voglia di diversificare. Ho così scoperto che da maggio a settembre si deve correre per poter conservare tutto il buono che l’estate ci dà. Ed ecco le confetture, seguite dal profumatissimo origano che mio nonno ha piantato più di cento anni fa. In coda alle erbe aromatiche, arrivano i fichi che, secchi, ritroverò a tavola a Natale e farcirò con noci e scorzetta di limone, ricoprendoli di cioccolato.

Per chi ha un fazzoletto di terra con qualche albero o con un generoso orto, è impossibile riuscire a consumare tutto ciò che ogni pianta è in grado di produrre. Così si finisce per buttare o far marcire ai piedi dell’albero ciò che è in eccesso. Barattoli e pazienza ci vengono in aiuto per mettere in pratica uno dei più antichi gesti sostenibili della storia gastronomica umana.

L’arte di conservare può diventare un momento di riflessione – sul tempo che passa, sui profumi e su quel senso di rassicurazione che ci dà l’idea di autoprodurci il cibo. Ci è successo col pane durante il primo, feroce lockdown. E ora, alla fine di una caldissima estate, con un autunno pieno di insidie alle porte, guardare i barattoli colorati, impilati e ben ordinati nelle scansie di cucina o sui ripiani di un ripostiglio, ci fa sentire al sicuro. Da mangiare, ce n’è.

Conservare, il cuore della sostenibilità alimentare

«Il primo ricordo delle conserve non è legato a una nonna, ma a un libro neozelandese, The Edmonds Cookery Book – racconta Kylee Newton, scrittrice neozelandese appassionata di conserve – Ogni casalinga ce l’ha e, grazie a questo libro, ho iniziato creando una chutney di pomodoro e mela. Questo succedeva 12 anni fa: fare conserve è stata una scoperta dell’età adulta».

Anche da questa prima esperienza Newton, oggi londinese di adozione, ha preso spunto per firmare il libro “Cucina conserviera moderna” (Guido Tommasi Editore). Non è solo un libro di ricette, ma anche un inno al preservare ciò che amiamo mettere in tavola durante l’estate e un racconto di sostenibilità. Infatti, chutney e sottaceti, marmellate e confetture, fermentati, ma anche i classici pomodori, fichi e peperoncini secchi ci possono dare da mangiare per tutto l’anno, senza insultare la stagionalità e limitando gli sprechi.

Sul ritorno alla voglia di mettere le stagioni in barattolo, Newton sostiene che conservare sia anche un atto morale. «Per me tutto è iniziato quando vendevo torte al mercato, circa 10 anni fa. Se non le avessi vendute tutte, avrei dovuto buttarle via. Questo era un grande problema morale per me. L’arte conserviera ne era l’antidoto: al posto delle torte, dovevo creare prodotti da vendere che avessero longevità. Perché conservare è il cuore della sostenibilità alimentare. Per questo è diventato un atto popolare negli ultimi anni».

Sentitevi rassicurati, dunque: la voglia di conservare non è figlia solo della golosità e della ricerca di un senso di protezione. Come spiegava Veronelli, ci aiuta anche a fare del bene al pianeta.   Fonte: Linkiesta, Gastronomika, Stefania Leo, 06.09.2022

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