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Giu 30 2023

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L’EDITING GENOMICO COME RISPOSTA ALLA CURA DELLE MALATTIE, NON ALLE SFIDE AMBIENTALI DELL’UE CON LA DEREGOLAMENTAZIONE DEI NUOVI OGM

Il 5 Luglio la Commissione UE ha proposto di deregolamentare i cosiddetti “nuovi” organismi geneticamente modificati (OGM), ottenuti con l’impiego di nuove tecniche genomiche (NGT), ribattezzate in Italia come tecniche di evoluzione assistita (TEA) e che hanno come punta di diamante il sistema di editing genomico CRISPR (già da noi trattato) (1).

La proposta è quella di  considerare piante NGT di “categoria 1” quelle che “potrebbero anche essere presenti in natura o prodotte tramite riproduzione convenzionale”, e considerate “equivalenti” tutte le piante NGT ottenute con massimo 20 diverse modifiche genetiche. Queste piante potranno essere messe in commercio semplicemente con una notifica alle autorità competenti senza solida valutazione del rischio, tracciabilità o etichettatura. Le piante di “categoria 2”, cioè quelle che non avranno queste caratteristiche, saranno regolamentate in modo simile agli attuali OGM, ma comunque godranno di una procedura autorizzativa semplificata. Siamo alquanto disorientati da questa preoccupante proposta e certo non siamo i soli (2) ma, la nostra attenzione è rivolta all’utilizzo di questa metodologia nella terapia genica perché, “decine di malati gravi hanno già beneficiato di terapie sperimentali basate sulla correzione mirata del DNA, e la prima cura sta per approdare sul mercato, ma restano nodi importanti, dai costi alla durata dei benefici”, come chiarisce il seguente articolo.

CRISPR SCENDE IN CAMPO (3)

I progressi delle nuove terapie dell’era CRISPR possono essere raccontati intrecciando due storie. La prima è quella che ha per protagonisti Victoria, Carlene, Patrick, Alyssa, Terry e molti altri. Sono oltre 200 i pazienti che finora si sono sottoposti a qualche trattamento sperimentale basato sull’editing genomico, ovvero sulla correzione mirata del DNA con la tecnologia CRISPR, anziché sull’aggiunta di nuovi geni come avviene nella terapia genica classica.

Queste donne e questi uomini colpiti da gravi malattie hanno dovuto affrontare dolori e rinunce crescenti, finché non hanno deciso di affidare le proprie speranze a un nuovo tipo di terapie sperimentali, promettenti ma non prive di rischi. Per i più sfortunati questo atto di coraggio e fiducia nella scienza non è bastato, ma per molti di questi pionieri la vita è cambiata davvero. A conti fatti sono già molte decine le persone che sono riuscite a liberarsi (auspicabilmente a lungo termine) del fardello di una malattia genetica rara o, in qualche caso, di una leucemia. Insieme alle cellule geneticamente corrette (in gergo si dice «editate»), per loro è arrivata una nuova normalità, e la possibilità di pensare finalmente al futuro. Il secondo filo narrativo è quello tessuto dalle scienziate e dagli scienziati che hanno inventato, perfezionato e sperimentato gli stratagemmi biotecnologici su cui si basano le nuove terapie. Le protagoniste più note di questa avventura della conoscenza sono la statunitense Jennifer Doudna (dell’Università della California a Berkeley) e la francese Emmanuelle Charpentier (del Max-PlanckInstitut di Berlino). Sono loro che nel 2012 hanno inventato le forbici genetiche CRISPR, capaci di modificare a piacimento tratti prescelti del DNA. L’accelerazione che questo strumento ha impresso alla ricerca in biologia e medicina è valsa alle due ricercatrici il premio Nobel per la chimica. Ma nel giro di un decennio intorno a questa innovazione biotech è cresciuta una comunità scientifica così estesa e vivace che è diventato impossibile rendere omaggio a tutti coloro che, nel settore pubblico come in quello privato, stanno contribuendo a portare CRISPR dai laboratori agli ospedali. Se la saga di CRISPR in medicina fosse un film, le prime scene potrebbero essere ambientate nei laboratori delle società statunitensi CRISPR Therapeutics e Vertex Pharmaceuticals, dove è stato sviluppato il primo trattamento di successo, ormai in procinto di diventare un farmaco regolarmente autorizzato. Gli sceneggiatori però, probabilmente, come set per la scena di apertura preferirebbero un ospedale, uno dei centri che hanno aderito alla prima sperimentazione con CRISPR: il Sarah Cannon Research Institute di Nashville. Qui, nel luglio del 2019, l’ematologo Haydar Frangoul ha iniettato per la prima volta miliardi di cellule ematopoietiche (le staminali del sangue) geneticamente corrette nel corpo di una paziente con anemia falciforme, una malattia del sangue caratterizzata da emoglobina difettosa e globuli rossi a forma di falce. L’afroamericana Victoria Gray aveva 34 anni, una vita scandita dalle crisi dolorose causate dall’occlusione dei vasi sanguigni e dalla paura di non vedere i figli crescere. «Sarà come essere la prima persona che mette il piede sulla Luna. Non posso garantire che funzionerà», le aveva detto il medico illustrando il trattamento. Vale la pena notare che l’identico approccio può essere usato anche per la beta-talassemia, in cui l’emoglobina presenta un diverso difetto genetico. In effetti il primato di «primo paziente» dovrebbe spettare a un uomo talassemico arruolato poco prima per la sperimentazione in Germania, ma delle sue vicissitudini sappiamo poco. Victoria invece ha accettato di rendere pubblica la sua esperienza ed è divenuta la paziente simbolo di CRISPR. La donna avrebbe potuto ricevere un trapianto convenzionale di midollo, avendo un fratello disponibile a donare, ma per evitare il rischio di rigetto ha deciso di lasciare la via vecchia per la nuova: ha optato per un autotrapianto con cellule geneticamente corrette. Prima lo staff medico ha mobilizzato le sue cellule staminali ematopoietiche per poterle prelevare dal sangue, poi i ricercatori le hanno modificate indirizzando sul gene bersaglio le forbici genetiche, ovvero l’enzima Cas9, che costituisce l’elemento strutturale della versione standard della tecnica CRISPR. L’altra molecola chiave è quella che serve da guida: una breve sequenza di RNA che è complementare alla sequenza di DNA da correggere e può riconoscere il punto in cui occorre effettuare il taglio. Poi sarà il macchinario di riparazione che è normalmente presente in tutte le cellule a richiudere la lesione, inattivando il gene bersaglio. Per far entrare i componenti di CRISPR, o le istruzioni necessarie per costruirli, dentro a una cellula estratta dal corpo (in gergo si dice ex vivo), basta un impulso elettrico. Una volta dentro, la Cas9 scandaglia il genoma con la sua guida e quando riconosce il bersaglio entra in azione. Nel caso di Victoria il taglio del DNA è servito a rimuovere il freno che blocca la produzione dell’emoglobina fetale, in modo che questa potesse sopperire alle carenze dell’emoglobina adulta difettosa. In pratica è come se, avendo una ruota bucata (il gene adulto malfunzionante), si usasse come ruota di scorta il gene fetale, che di solito si spegne nella prima infanzia ma che CRISPR è in grado di riattivare. Per fare spazio alle cellule corrette, Victoria ha dovuto sottoporsi a un trattamento chemioterapico che l’ha lasciata debole e sofferente per settimane. Ma l’infusione di «super-cellule» è andata bene, l’emoglobina fetale ha cominciato subito a crescere, stabilizzandosi su livelli ottimali, i sintomi dell’anemia falciforme sono rapidamente scomparsi e oltre tre anni dopo Victoria sta ancora bene. Questa donna originaria del Mississippi ha finalmente un lavoro a tempo pieno, come cassiera, e di recente è volata a Londra per raccontare la sua storia di fronte ai massimi esperti del campo. Il suo intervento è stato il più atteso e il più applaudito del terzo Summit internazionale sull’editing del genoma umano che si è tenuto al Francis Crick Institute dal 6 all’8 marzo di quest’anno.

La prima terapia approvata

 La stessa sperimentazione ha dato ottimi risultati anche nei centri che hanno aderito in Canada e in Europa (in Italia ha partecipato l’Ospedale Bambino Gesù di Roma, con il gruppo diretto da Franco Locatelli). Il periodo di osservazione dei pazienti – 75 in tutto, contando insieme anemia falciforme e talassemia – è ancora limitato a pochi anni, ma non sono stati registrati effetti collaterali gravi, mentre i benefici appaiono così evidenti che le forbici CRISPR si apprestano a tagliare anche il traguardo dell’approvazione commerciale. Il trattamento ha assunto il nome Exa-cel e ci si aspetta che possa ricevere il via libera dell’Agenzia europea del farmaco (EMA) e dell’omologa autorità statunitense (FDA) entro la fine dell’anno. Quanto costerà? Nel momento in cui scriviamo la cifra esatta non è nota, ma non potrà che essere molto alta, intorno al milione di euro. Anche se CRISPR è una tecnica semplice ed economica, l’intera procedura è complessa e costosa. È vero che è un intervento one-shot, che si spera funzioni al primo colpo eliminando il bisogno di assistere il malato per tutta la vita. Ma quell’unico intervento è tutt’altro che banale: prima di iniettare le cellule editate bisogna averle estratte e modificate fuori dal corpo, e aver eseguito la mieloablazione (l’eliminazione del midollo osseo del malato) con un farmaco chemioterapico perché le nuove cellule possano attecchire dando una progenie funzionante. Ovviamente tutte le terapie geniche, anche quelle classiche che funzionano per aggiunta di un gene anziché per correzione della sequenza endogena, necessitano di una lunga fase di ricerca, sviluppo, monitoraggio. Quante terapie di questo tipo potranno essere rimborsate dai sistemi sanitari e dalle assicurazioni? Quante aziende rinunceranno a portare una nuova terapia sul mercato perché non è profittevole? Le difficoltà di commercializzazione finiranno per scoraggiare anche la ricerca? E se fatichiamo a far quadrare i conti nei paesi ricchi, che soluzioni potranno mai trovare i paesi a reddito medio e basso? «È orribile sapere che esiste qualcosa che potrebbe guarirti e non poterla ricevere», ha dichiarato Victoria Gray, che ha altri familiari affetti da questa malattia, che colpisce in prevalenza le persone originarie dell’Africa – e dunque anche gli afroamericani – ma è piuttosto diffusa anche nell’Asia meridionale, nel Medio Oriente e nel Mediterraneo. Nel mondo nascono oltre 300.000 bambini all’anno con anemia falciforme, oltre il 75 per cento dei quali nella regione subsahariana, e quasi il 90 per cento di loro muore prima del quinto compleanno. Le opzioni terapeutiche diventate via via disponibili nei paesi ad alto reddito, dai farmaci ai trapianti di midollo, possono aumentare di molti decenni le aspettative di vita ma faticano a raggiungere le aree povere del mondo. «Come pensate di portare l’editing genomico in India se da noi è difficile persino avere l’Idrossiurea, che costa poco ed esiste da quarant’anni?», ha chiesto Gautam Dongre alla platea del summit di Londra. Il farmaco citato dal rappresentante dei pazienti indiani serve proprio ad aumentare i livelli di emoglobina fetale, anche se in modo meno efficace dell’editing genomico. L’edizione precedente del summit – svoltasi a Hong Kong nel 2018 – era stata dominata dall’annuncio della nascita delle cosiddette CRISPR babies, le prime bambine con il DNA editato quando erano ancora allo stadio embrionale. Nel frattempo il responsabile di questo esperimento unanimemente condannato dalla comunità scientifica – il biofisico cinese He Jiankui – ha scontato tre anni di carcere e la Cina ha inasprito le regolamentazioni sull’editing umano. Il focus del dibattito bioetico, dunque, si è spostato dall’editing sugli embrioni all’editing somatico, ovvero alle correzioni genetiche eseguite a scopo terapeutico su cellule e tessuti dei singoli individui malati, come Victoria Gray. Nessuno dubita che questi interventi siano auspicabili; a preoccupare, semmai, è il timore che restino appannaggio di pochi fortunati.

Exploit scientifici e occasioni perdute

Neanche il timbro di validazione degli enti regolatori garantisce il lieto fine. Nel campo delle terapie avanzate gli exploit scientifici rischiano di trasformarsi in occasioni perdute se non ci sono contratti ben negoziati tra le parti, che garantiscano la sostenibilità economica di componenti e procedure tanto complesse quanto costose. Qualche segnale di impazienza dell’industria privata c’è già stato nel campo della terapia genica classica, con l’abbandono di prodotti scientificamente validi ma non abbastanza remunerativi per i produttori, e il timore è che il fenomeno possa allargarsi in futuro anche alle terapie CRISPR. Basti pensare alla terapia Strimvelis: il fiore all’occhiello dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano (SR-Tiget) è un salvavita peri bambini con l’immunodeficienza ADA-SCID, ma GlaxoSmithKline l’ha ceduto a Orchard Therapeutics che non è più interessata a produrlo. Dovrà farsene carico una fondazione no profit. Il direttore dell’Istituto, Luigi Naldini, ha fatto parte del comitato organizzativo del summit e ne condivide l’impostazione: «C’è stata una volontà molto forte di dare voce a tante parti del mondo e concentrare l’attenzione sulla bioetica dell’accessibilità e dell’equità, che a noi sta molto a cuore». È urgente lavorare sull’equità di accesso ai frutti della ricerca, e anche impegnarsi per una maggiore inclusività nel processo di costruzione delle conoscenze. «I database delle sequenze genetiche usate per validare la specificità dei reagenti per l’editing, in particolare, mostrano uno sbilanciamento etnico-geografico che penalizza l’Africa», nota Naldini. Questo squilibrio rischia di tradursi in maggiori rischi per le persone appartenenti a gruppi sottorappresentati. La geografia delle sperimentazioni cliniche, inoltre, è tutta concentrata nei paesi ad alto reddito, mentre la maggior parte dei malati vive in regioni tagliate fuori dalla ricerca. Un modo per abbassare i costi delle terapie CRISPR sarebbe quello di passare dalla strategia ex vivo a quella in vivo, ovvero far sì che la correzione genetica avvenga direttamente dentro al corpo del paziente anziché nelle cellule estratte e poi reinfuse. Secondo i calcoli presentati al summit dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, nei paesi in via di sviluppo la modalità in vivo potrebbe abbassare il costo di un intervento di editing per l’anemia falciforme da 100.000-500.000 dollari a 1000-2000 dollari nell’arco di dieci anni. Il problema della sostenibilità economica, comunque, riguarda anche i paesi avanzati. La decisione di rimborsare o meno un trattamento dipende da valutazioni relative a costi, efficacia, disponibilità delle risorse. Una spesa diluita nel tempo è più sostenibile della stessa cifra da sborsare tutta in una volta, e viene da sé che se si spende di più in un comparto si dovrà spendere meno in un altro. Fare questo tipo di analisi è il lavoro di Steve Pearson, presidente dell’Institute for Clinical and Economic Review di Boston, che al summit ha detto: «Non siamo pronti. Non so come potremo tenere il passo della scienza, creando le innovazioni necessarie in termini di prezzi, pagamenti, proprietà intellettuale, alla velocità con cui arrivano i nuovi trattamenti». Per la comunità di CRISPR, l’imminente debutto sul mercato del primo farmaco di questo tipo rappresenta uno sprone a darsi da fare per replicare questo successo per altre malattie, da quelle più comuni alle ultra-rare. Ma proprio il fatto che ci siano tante sperimentazioni cliniche in corso (una cinquantina se si sommano i vari approcci di editing, circa 40 se si restringe il campo a CRISPR) rappresenta un rompicapo per gli specialisti di economia sanitaria come Pearson: «È un bel problema da avere, certo, ma sempre un problema», dice.

Emoglobina pigliatutto

Se si analizzano nel dettaglio le sperimentazioni avviate, in realtà viene da pensare che troppi sforzi si stiano concentrando sulle stesse malattie, a cominciare dalle emoglobinopatie. Le cellule del sangue sono facili da prelevare e reinfondere, l’anemia falciforme ha una base genetica semplice, è più facile da correggere di molte altre patologie, perciò è diventata una palestra per sperimentare approcci diversi. Nella sperimentazione dell’azienda Editas Medicine, per esempio, si usa un enzima diverso (Cas12a) per tagliare il DNA e riattivare l’emoglobina fetale. Beam Therapeutics si propone lo stesso obiettivo senza recidere la doppia elica, perché usa uno strumento CRISPR di nuova generazione chiamato correttore di basi (in pratica le forbici della Cas9 sono parzialmente disattivate e associate a un altro enzima, capace di convertire le singole lettere del DNA come se fossero refusi in un testo). Invece di riattivare l’emoglobina fetale, Graphite Bio ha provato a fornire a CRISPR uno stampo per correggere il gene dell’emoglobina adulta, ma ha interrotto la sperimentazione quando un paziente ha sviluppato un grave effetto collaterale (pancitopenia). Questo episodio dimostra quanto sia necessario e difficile bilanciare le ambizioni della ricerca in una fase eccitante di transizione tecnologica, le aspettative dei pazienti in disperata attesa di cure e la cautela di fronte a rischi potenziali che potrebbero trasformarsi in incidenti di percorso. La cellula risponde alle modificazioni genetiche accendendo allarmi molecolari che vengono indicati con l’espressione DNA damage response. Lo studio di questi fenomeni è la specialità del laboratorio diretto da Raffaella Di Micco all’SR-Tiget. «La prima risposta consiste nel fermarsi; c’è un blocco proliferativo almeno finché il danno al DNA non viene riparato dai sistemi naturali della cellula. Poi può riprendere la crescita cellulare, la cellula può essere trapiantata e conservare una certa funzionalità», spiega la scienziata illustrando quanto accade con l’approccio classico, lo stesso di exa-cel. A volte però tagliare e ricucire non basta: si vuole fornire una sequenza correttiva da integrare nel sito prescelto sul genoma e per farlo si può usare un vettore virale (virus adenoassociato). «In questo caso la risposta della cellula al danno può essere molto più forte e prolungata nel tempo», avverte Di Micco. Graphite Bio ha scelto questa seconda strada e viene da chiedersi se valesse la pena di correre il rischio aggiuntivo dello stampo trasportato nei vettori virali, quando sappiamo che funzionava già bene un semplice taglio. I correttori di basi che consentono di cambiare la sequenza recidendo solo uno dei due filamenti (base-editing) sono invece tecnologie molto avanzate e potenzialmente più sicure dell’approccio classico, anche se le risposte cellulari sono ancora in buona parte da studiare. Il gruppo dell’SR-Tiget ha sviluppato strategie per mitigare gli allarmi molecolari innescati dalle modificazioni genetiche, con risultati preliminari promettenti, e la speranza è che queste conoscenze possano essere applicate in clinica nei prossimi anni, a cominciare dalle terapie per le immunodeficienze primarie, che sono al centro della missione dell’istituto milanese. CRISPR non è più una sola tecnologia ma tante, e questa ricchezza ha un valore inestimabile, ma bisognerà decidere con saggezza come e quando usare i diversi tipi di forbici molecolari trovati in natura e le diverse tipologie di correttori inventate nei laboratori. A questo proposito è doveroso un omaggio al genetista di Harvard David Liu, dal cui gruppo sono nati sia il base-editing sia l’avanzamento successivo di CRISPR, il prime-editing (una Cas9 parzialmente disattivata e collegata a una trascrittasi inversa per poter scrivere direttamente nel genoma). Volendo passare in rassegna i trial più importanti, si può iniziare dalla prima sperimentazione in vivo, condotta nel 2021 dalla statunitense Editas Medicine su pazienti con una forma congenita di cecità (amaurosi di Leber). Il trattamento a base di CRISPR (con la Cas9 trasportata da un vettore virale) è stato iniettato direttamente nell’occhio, al di sotto della retina, per correggere i fotorecettori difettosi, ma il successo è stato solo parziale: su 14 persone, soltanto tre hanno avuto miglioramenti significativi. Per il momento, dunque, non si prevede un futuro commerciale per questa terapia, la cui efficacia appare limitata a un sottogruppo di un insieme già piccolo di pazienti affetti da una malattia rara. Carlene Knight è tra i pochi che hanno potuto beneficiarne: dopo l’intervento ha conquistato la libertà di muoversi senza andare a sbattere e ha scoperto una nuova brillantezza nei colori. Questa cinquantacinquenne dell’Oregon, impiegata in un call center, ha deciso di festeggiare la sua nuova visione tingendosi i capelli di verde. La prima somministrazione in vivo e sistemica, cioè diretta a tutto il corpo anziché a un tessuto specifico, è avvenuta in un trial per una malattia che compare in età adulta e degenera in modo rapido e fatale (amiloidosi da accumulo di transtiretina). Questa volta il trattamento, sviluppato dalla società a stelle e strisce Intellia Therapeutics, ha avuto risultati superiori alle attese. I ricercatori hanno somministrato per via endovenosa la Cas9 e la guida per individuare il gene bersaglio, impacchettandole in goccioline di grasso che tendono naturalmente a confluire nel fegato. È in quest’organo, infatti, che ha luogo la produzione delle proteine anomale che poi si accumulano formando fibrille amiloidi che ricordano un po’ Alzheimer e Parkinson. A determinare gli effetti degenerativi è la proteina tossica, perciò la strategia di editing consiste nell’inattivare il gene che la produce. Il paziente simbolo di questo trial è Patrick Doherty, un irlandese che ha iniziato a manifestare gravi sintomi dopo i 60 anni, quando aveva già perso diversi familiari a causa della malattia. Era un amante del trekking e si è ritrovato, in un breve lasso di tempo, a fare con fatica persino le scale di casa; poi, grazie a CRISPR, nel 2021 ha ripreso forze e fiato. Il bello è che la stessa società ha riadattato il sistema per un’altra malattia, stavolta di tipo infiammatorio: l’angioedema ereditario. Ha usato la stessa Cas9, le stesse nanoparticelle lipidiche, la stessa procedura endovena, cambiando solo la guida, a dimostrazione del fatto che CRISPR può essere usata in clinica come una piattaforma tecnologica.

Strategie nuove

La strategia delle nanoparticelle lipidiche si è già dimostrata vincente nei vaccini a RNA per COVID-19 e molti sono convinti che rappresenti il futuro delle terapie di editing in vivo. La sfida è riuscire a indirizzarle verso i giusti bersagli una volta iniettate nel flusso sanguigno, in modo che raggiungano di volta in volta i muscoli, i polmoni o magari una massa tumorale da distruggere. Per il momento le terapie oncologiche che sfruttano CRISPR sono dirette principalmente contro i tumori del sangue come leucemie e linfomi, ma la speranza è di riuscire a fare breccia anche nei tumori solidi. L’idea è di usare l’editing per rendere più potente e versatile la strategia delle cellule CAR-T, un tipo di immunoterapia che nasce come trattamento su misura per ogni paziente: le sue cellule immunitarie di tipo T vengono prelevate, modificate per riconoscere e attaccare il tumore, moltiplicate e reinfuse nel corpo. Un processo lungo e costoso, che rischia di arrivare a compimento troppo tardi. Un salto di qualità potrebbe arrivare usando cellule già confezionate,

quindi non autologhe ma allogeniche perché provenienti da un donatore sano. Il base-editing può essere impiegato per renderle capaci di attaccare le cellule tumorali del ricevente ed evitare di essere a loro volta prese di mira dal suo sistema immunitario. Diverse società biotech (CRISPR Therapeutics, Caribou Biosciences, Bioray Laboratories) ci stanno lavorando con risultati preliminari incoraggianti, ma la storia più nota viene dall’Ospedale pediatrico Great Ormond Street Hospital di Londra. Qui nel 2022 è stata trattata Alyssa, una tredicenne affetta da una leucemia linfoblastica che non aveva risposto a nessuna terapia convenzionale. La sfida era particolarmente complicata, perché in questo caso le cellule T «buone» dovevano essere programmate per attaccare cellule tumorali anch’esse di tipo T. La correzione genetica quindi è servita anche a evitare che si autodistruggessero. Intervistata sei mesi dopo l’intervento, quando era ormai in remissione, Alyssa si è detta «felice per le sue nuove cellule e onorata di poter aiutare altre persone». Nell’aggiornamento che l’Innovative Genomics Institute pubblica ogni anno si può leggere di altri trial clinici in corso: per il diabete si sperimentano cellule pancreatiche modificate per essere tollerate dal sistema immunitario dei riceventi, per le infezioni urinarie viene testato un cocktail di fagi (i virus che attaccano i batteri) potenziato con CRISPR, per l’ipercolesterolemia familiare la strategia è correggere un gene che regola i livelli di colesterolo (PSCK9), per l’HIV-AIDS è in sperimentazione un trattamento che ripulisce il genoma dei pazienti dalle sequenze virali.

Storie che rischiano di non essere raccontate

Fra tante belle storie dobbiamo raccontarne anche una senza lieto fine, quella di Terry Horgan, un ventisettenne con distrofia muscolare di Duchenne. Per cercare di salvarlo suo fratello aveva fondato l’organizzazione no-profit Cure Rare Disease e aveva sviluppato una terapia su misura per lui. La sua morte, annunciata il 1° novembre 2022, sembra essere stata causata da una reazione avversa ai vettori virali, eventualità riscontrata in qualche raro caso anche con le terapie geniche classiche già sul mercato. Per finire ci sono le storie che rischiano di non essere raccontate, quelle che hanno per protagonisti tutti i portatori di una mutazione patogena ultra-rara che sarebbe geneticamente editabile, se solo ci fossero il tempo e le risorse. Poiché il numero dei pazienti nelle sperimentazioni è indicato con la lettera enne, Fyodor Urnov, dell’Innovative Genomics Institute, la chiama la sfida dell’N=1. Richiederebbe di dispiegare tutta la potenza di CRISPR anche se il beneficiario è una singola persona. Per vincerla servirebbero fondi pubblici e donazioni filantropiche, lo sviluppo di approcci riadattabili con cambiamenti minimi per mutazioni diverse e una conseguente semplificazione degli iter normativi. Urnov ha esposto la sua idea al summit di Londra proponendo di usare la strategia del «porto sicuro»: si tratterebbe di standardizzare ogni possibile passaggio, a cominciare dall’uso di un ben noto sito di integrazione che funziona senza creare perturbazioni nell’ambiente genomico circostante. Imponendo un promotore standard ubiquitario si perderebbe uno dei vantaggi dell’editing, che è quello di mantenere la regolazione fine dell’espressione del gene di interesse. Ma gli enti regolatori potrebbero decidere di velocizzare il percorso che porta dalle prove in vitro alla sperimentazione clinica, riducendo l’attesa da alcuni anni a pochi mesi. «È il concetto di piattaforma, ci stiamo lavorando in tanti in modi diversi. Può funzionare per le malattie della stessa classe, ma non è universale», precisa Naldini. In definitiva, quanto dobbiamo essere eccitati per l’arrivo sul mercato del primo trattamento a base di CRISPR e per l’accelerazione impressa dall’editing nella ricerca clinica? Naldini invita a non cedere alle lusinghe del sensazionalismo, perché se si sale sulla vetta delle aspettative gonfiate poi è facile precipitare nella valle del disincanto. Secondo il direttore dell’SR-Tiget «è importante dedicarsi al follow-up dei pazienti, bisogna verificare se il numero di cellule corrette resta alto a lungo termine o va perfezionato qualcosa. Siamo all’inizio, ma i risultati del trattamento in via di approvazione sono davvero buoni, condivido l’entusiasmo». Di Micco è altrettanto prudente e ottimista: «La prima volta che ho ascoltato Jennifer Doudna a New York, CRISPR era stata inventata da poco. L’emozione per la nuova stagione che cominciava era grande. Ma anche assistere al percorso verso la traslazione clinica è entusiasmante, perché capisci che quello che stai facendo oggi in laboratorio tra una decina di anni potrebbe diventare un farmaco».

CONSIDERAZIONI FINALI

Possiamo considerare l’editing genomico come la terapia genica del futuro che corregge errori genetici all’interno dell’intero genoma. La ricerca, in questo ambito, spazia dalle malattie genetiche, soprattutto quelle rare (la distrofia muscolare di Duchenne, la beta-talassemia e la fibrosi cistica), ai tumori, alle malattie neurologiche (Alzheimer e Parkinson), alle malattie infettive (HIV) fino all’ipercolesterolemia. Potrebbe in futuro essere applicata alla cura di patologie metaboliche come ipertensione e diabete, e trasformarsi in una terapia genica di massa. Quindi, per essere brevi solo alcune considerazioni di carattere etico:

-alcuni risultati clinici, se pur ottimi non interessano più all’industria farmaceutica che non trae profitti dalla cura di patologie rare

-l’accessibilità alle cure deve essere equa, senza discriminazioni sociali soprattutto economiche

-una terapia genica che potrebbe diventare preventiva per ridurre potenziali rischi futuri per la nostra salute, significa che interviene sul DNA di persone sane e, oltre a chiederci se è eticamente giusto non conosciamo ancora gli effetti collaterali.

Sappiamo che questo sistema così potente è come una forbice molecolare in grado di tagliare un DNA bersaglio, che può essere programmata per effettuare specifiche modifiche al genoma di una qualsiasi cellula, sia animale, umana o vegetale. Ed ecco che i colossi dell’agribusiness, brevettando piante NGT influenzeranno sempre di più le filiere alimentari a scapito dei diritti degli agricoltori a conservare, replicare, vendere e scambiare le proprie sementi.

La Commissione afferma che i nuovi OGM contribuiranno a ridurre l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, ma il degrado del suolo non è dovuto solo all’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, ma in gran parte alle monocolture e alla perdita di biodiversità, che questa nuova proposta sugli OGM non farà che aumentare.

Proprio come la vecchia generazione di Ogm (Organismi Geneticamente Modificati), Francesco Sottile commenta (2) : “l’immissione nell’ambiente di nuovi Ogm (come quelli ottenuti dalla tecnologia CRISPR) impoverirà ulteriormente sia la biodiversità agricola che la salute del suolo nei campi europei, poiché favorirà il perdurare delle monocolture e dell’uniformità, su cui si basa l’agricoltura industriale, portando infine a una riduzione del numero di specie e varietà di alimenti che saranno coltivati, erodendo la biodiversità essenziale per garantire la sicurezza alimentare”. Anche l’applicazione di questa metodologia ci fa riflettere perché sia sempre BUONA, PULITA e GIUSTA per TUTTI.   (Mariagrazia)

 

FONTI

1) https://www.slowfoodvalliorobiche.it/organismi-geneticamente-editati-oge-ogm-o-non-ogm

2) https://www.slowfood.com/new-gmos-the-european-commission-puts-agribusiness-interests- ahead-of-farmers-consumers-and-the-environment (6 luglio 2023)

3) Anna Meldolesi “Le Scienze”, 28 giugno 2023

 

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