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Nov 03 2023

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L’URLO DELLA NATURA

I ritardi nei raccolti sono un nuovo segnale d’allarme per la crisi del cambiamento climatico

Vittima e carnefice, questo il rapporto duale che lega l’agricoltura ad una crisi climatica che intensifica i suoi effetti di anno in anno. Come spesso mi capita di ripetere, il comparto agroalimentare impatta sulle emissioni di gas serra più di qualsiasi altro settore produttivo. Dalla coltivazione e l’allevamento, fino ad arrivare alla trasformazione e al trasporto, il nostro sistema alimentare compromette seriamente la situazione ambientale del pianeta in cui viviamo. Allo stesso tempo, gli ultimi raccolti stanno evidenziando dei profondi cali di produzione in tutto il bacino del Mediterraneo.

Quella che da secoli è considerata una delle zone più fertili della Terra sta iniziando a scontrarsi con la concreta possibilità di non riuscire nemmeno ad autosostentarsi. La scorsa primavera è stato il turno delle ciliegie e di molti altri alberi da frutto. Oggi si parla di crisi dell’olio e delle castagne. Nelle zone collinari la raccolta delle olive sta tardando come non mai, in attesa che qualche millimetro di pioggia possa rinvigorire dei frutti estremamente secchi. La storia non cambia di molto nelle zone alpine e appenniniche, dove nei castagneti, sempre a causa di un’estate estremamente siccitosa, si vedono scendere a terra molte foglie ma meno del 50% delle castagne rispetto all’anno scorso.

Le preoccupazioni per il domani più prossimo riguardano mele, pere e soprattutto gli agrumi, per i quali già si prevede un ritardo di almeno 2 settimane della prossima raccolta. Lo stato di sconforto e incertezza tra i produttori è sempre più alto e sempre più diffuso. I cali registrati per il frumento generano grandi punti interrogativi anche nell’allevamento. E nelle mie Langhe il pensiero comune tra i viticoltori è: “nonostante grandine, peronospora e caldo torrido, anche per quest’anno l’abbiamo sfangata, ma ogni vendemmia è soggetta a una sempre più preoccupante precarietà”.

Lo scenario si presenta davvero allarmante e complesso. Ormai l’unica certezza è che qualsiasi dilazione significa dichiararsi complici del disastro.

Nonostante questo, ad innalzare il livello di sconforto tra i produttori, ma anche tra chiunque abbia a cuore il futuro del nostro Pianeta, è proprio il chiaro segnale di allontanamento che l’Europa ha dato in tema di sistemi alimentari. Infatti, in vista delle prossime elezioni europee, nel programma di lavoro del 2024 le proposte rivolte a un comparto agroalimentare più sano e sostenibile sono visibilmente assenti. Questa é una grave omissione, sia perché ribadisce ancora una volta la cieca lontananza tra la politica e chi produce il cibo che portiamo in tavola, sia perché la funzione che i sistemi alimentari possono svolgere nel rimediare l’attuale crisi é davvero determinante.

La sfida è epocale e chi tocca quotidianamente la terra con le proprie mani ne è sempre più consapevole. Non esiste nemmeno un valido motivo nel lasciare soli i produttori ad affrontare qualcosa di mai visto prima.

Se non fosse ancora chiaro, dal cibo passa la nostra stessa sussistenza e il futuro della nostra specie. É proprio il caso di dirlo, continuare a far finta di non vedere il problema, e magari lamentarsi dell’incremento del prezzo dell’olio, è un comportamento che lascia davvero il tempo che trova. E se il tempo – meteorologicamente parlando – sta riversando sulle colture tutta la sofferenza che con i nostri modi di produrre e consumare generiamo nei confronti del pianeta, il tempo che abbiamo a disposizione per attenuare gli effetti della crisi climatica è sempre meno. Averne coscienza non basta più, è ora di agire in favore della natura.   Fonte: laRepubblica, Carlo Petrini,  02.11.2023

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