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Mar 17 2023

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TAPPO DI SUGHERO VS TAPPO A VITE? IN ITALIA, A PRO DI QUEST’ULTIMO, ECCO GLI “SVITATI”

La sfida dell’associazione fondata da Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, pionieri del tappo a vite in Italia

La sfida dell’associazione fondata da Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, pionieri del tappo a vite in Italia, convinti sostenitori della superiore affidabilità di questo tipo di chiusura, rispetto al tappo tradizionale, per la conservazione e la gestione dell’invecchiamento del vino. E già oggi, nel mondo, 4 bottiglie di vino su 10 hanno il tappo a vite, che conquista mercato.

Il tappo a vite: la rivoluzionaria tradizione de “Gli Svitati”

Gli Svitati. Da sinistra: Silvio Jermann, Maria Luisa Manna, Walter Massa, Graziano Prà, Franz Haas e Mario Pojer

Quando si parla di vino spesso si sottovaluta l’importanza della chiusura scelta, ancora troppi i preconcetti da parte di certi consumatori e a volte anche dei produttori, che non sempre “osano” e spesso si adeguano solo ad alcune regole imposte dal mercato. Ad ogni modo va anche detto che i momenti di studio, confronto e discussione sul tema, in particolare sulla questione del tappo a vite, stanno iniziando a prendere spazio, come nel caso dell’incontro che si è svolto lo scorso 6 marzo 2023 a a Villa Sorio a Gambellara, una giornata didattica e di confronto organizzata e voluta da un gruppo di produttori amici, cinque aziende del nord Italia, che hanno scelto il nome di “Gli Svitati”; un nome emblematico che vuole evidenziare il tema prevalente di questo “movimento”.

Franz Haas, Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Vigneti Massa, cinque aziende d’eccellenza e pioniere del tappo a vite in Italia, si sono riunite per raccontare il loro modo di “fare vino” e, soprattutto, di tapparne le bottiglie, contro i pregiudizi che hanno spesso accompagnato questa tipologia di chiusura.
La scelta del tappo, del resto, è una decisione etica, complessa e articolata che prevede un’attenta valutazione di molte variabili. Dal tappo infatti dipendono invecchiamento, valore e persino l’impatto sull’ambiente e oggi il mercato offre una grande varietà di tipologie, ma non sempre è facile orientarsi. Del resto, come ha evidenziato Davide Rampello: ”Una parola ricorrente da parte dei produttori protagonisti e della stampa intervenuta, è stata quella di tradizione, la gente è abituata alla tradizione. Questi cinque “Svitati”, insieme anche a tanti altri produttori, sono stati i protagonisti della rivoluzione del vino in Italia dagli anni ’80 del 1900 e in certo modo stanno continuando una tradizione proprio nel senso più profondo del termine. Infatti, “Tradizione”, ha il significato di un patrimonio culturale attraverso il tempo e le generazioni e viene dal latino: tradere, ossia trasmettere oltre, ossia la volontà di raggiungere e mantenere questo patto nella ricerca costante della qualità della precisione, per cui sono totalmente nella tradizione”.

La degustazione comparata

Una ricerca continua e costante che ha visto porre le basi di questo gruppo, quasi quattro decenni fa, quando le cinque cantine hanno iniziato a riflettere sul possibile utilizzo di altre tipologie di chiusure. Il loro sguardo avanguardista si è inevitabilmente spostato verso le nuove frontiere del vino, che in quel momento già si stavano facendo largo negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda. Anni di viaggi, degustazioni, confronti e giri di vite, ognuno con la propria esperienza, da Mario Pojer che aveva pensato di “sigillare la bottiglia con la fusione del vetro come fosse una fiala per non lasciar passare l’ossigeno” a Graziano Prà che durante un viaggio in Colorado, ad Aspen, aveva avuto una rivelazione assaggiando un Sauvignon Blanc imbottigliato con tappo a vite e venduto a 30 dollari, il primo segnale che il pregiudizio stesse iniziando a tramontare.

Quello che ha portato i cinque “Svitati” alla scelta di usare questa tipologia di tappatura per le loro etichette è l’obiettivo che sta dietro al suo utilizzo, ossia il perfetto mantenimento di quelle qualità organolettiche del vino tanto ricercate e valorizzate dal lavoro in vigneto e in cantina. Grazie alle sue caratteristiche questa tipologia di tappo permette infatti una micro-ossigenazione costante, preservando il vino e permettendo un’omogeneità qualitativa anche nel caso di vecchie annate, oltre ad una corretta evoluzione.

Il Prof. Fulvio Mattivi 

Interessante e ricco di spunti l’intervento del professore Fulvio Mattivi, ricercatore della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, che ha riportato le analisi dell’Australian Wine Research Institute che già nel 1999 ha condotto le prime interessanti sperimentazioni su quattordici diverse tipologie di chiusure del vino compreso il tappo a vite. Quest’ultimo presenta una permeabilità all’ossigeno molto più bassa e variabile a seconda del rivestimento utilizzato all’interno del tappo e si è dimostrato che ha una minor necessità di solforosa in bottiglia. “Nelle bottiglie con questa chiusura, a distanza di anni, il vino dimostrava un colore ancora brillante e presentava delle caratteristiche organolettiche ideali. Sia per i vini rossi che per quelli bianchi, in queste degustazioni, le bottiglie con tappo a vite erano uguali alle migliori bottiglie con tappo di sughero.”
Stimolante ascoltare i punti di vista dei cinque protagonisti del gruppo a partire da Maria Luisa Manna, moglie del compianto Franz Haas, che ha iniziato il tour degli interventi sottolineando innanzitutto l’importanza del primo incontro in pubblico da parte degli stessi “Svitati”, i quali, al di là della battuta, nascondono invece carisma, perspicacia e lungimiranza. Secondo lei, la buona divulgazione è stata fondamentale soprattutto nei confronti del cliente finale: “le nostre prove in cantina sono iniziate nel 2005/2006 e nel 2012 eravamo già sul mercato a comunicare questo”. E poi “non è tanto il tappo netto che crea il problema, ma è quando il sughero tralascia sentori che ti rovinano il vino”.

A prendere la parola è stato poi Silvio Jermann, riconosciuto dalla stessa Maria Luisa come il precursore in Italia del tappo a vite senza alcuna ombra di dubbio, “esempio per Franz e per noi tutti in cantina”. Silvio parte dagli albori, circa vent’anni fa: “ho cominciato la tappatura a vite con un tappatore manuale, perché erano poche al tempo le macchine imbottigliatrici che avevano l’esperienza sufficiente e qualitativa soprattutto per piccole cantine e piccole produzioni. Nel 2007 poi abbiamo comprato un bel gruppo di imbottigliamento all’altezza con una bella testa dedicata al tappo a vite, perché all’epoca il problema era il costo di investimento e non si riusciva ad ammortizzare le spese. In più il mercato pensava che tale pratica fosse dovuta al risparmio e non alla qualità. Ho cominciato quindi, in controtendenza, a metterlo nei vini più importanti: piccole produzioni, solo tappo a vite, perché non volevo rovinare tutto quel lavoro fatto in vigna e in cantina con un qualcosa che noi non produciamo”. Il tappo a vite assicura quindi, secondo Silvio, una chiusura molto valida per l’ossigeno, ma soprattutto neutra: non “imbalsama” il vino, “perché l’evoluzione avviene sempre più lenta ed è garantita”.

Il fil rouge è proseguito poi con Graziano Prà, il quale ha messo subito in evidenza la sua folgorazione per il tappo a vite: “ero negli Stati Uniti, in Colorado ed ero molto deluso dal trovare spesso e volentieri bottiglie che non solo sapevano di tappo, ma che avevano le deviazioni noiose che ben conosciamo, dando sempre la colpa al produttore. Una bottiglia di Cloudy Bay a 30 $ con il tappo a vite mi ha fatto capire che il pregiudizio era passato. C’era però un altro pregiudizio, sempre nei primi anni duemila, ed era quello della burocrazia, ovvero il nostro Soave non si poteva tappare in questo modo”. La sua prima bottiglia viene tappata così nel 2010 e il suo giudizio non fa alcuno sconto rispetto al sughero: “c’è un abisso!”.

La chiacchierata si è fatta spumeggiante quando è salito sul palco Walter Massa, il quale ha stupito (forse) il pubblico presente leggendo uno scritto di Adam Smith della fine del 1700, anziché adottare la sua, comunque, proverbiale e mai banale loquacità: “sebbene questi vigneti siano coltivati con più cura degli altri, l’alto prezzo del vino non sembra essere l’effetto, ma la causa di queste cure. Con un prodotto di così alto valore, le perdite causate dalla negligenza sono tanto grandi da costringere anche i più trascurati a fare attenzione”. Come dire, stavolta secondo Walter, che “il vino è talmente immenso, talmente immaginifico che ci ha portato qua, cinque ragazzi degli anni cinquanta, cinque enologi, cinque imprenditori, cinque che si sono sempre divertiti nella loro vita e nella loro vigna a trasmettere un passo perché il vino è importantissimo per l’umanità, in quanto ci ha accompagnato nella gioia e nel dolore da quando l’uomo esiste”. Concludendo, senza trascurare l’argomento centrale: “Il mondo del vino è umanità e il tappo a vite ce la porta”.

L’ultimo degli “Svitati” inserito nel percorso, come lui stesso ci ha tenuto a sottolineare, è stato Mario Pojer: “Sono solo tre anni che imbottigliamo con il tappo a vite e ciò è dovuto sostanzialmente a due motivi in realtà: uno perché, come diceva Silvio, le macchine costano parecchio e l’altro, problema molto più grosso, è quello di vendere all’80% in Italia a un mercato che non è pronto, o almeno, non ancora, ma che fortunatamente si sta avvicinando piano piano, perché vuole ancora il momento rituale dell’apertura con il sughero”. L’esperienza non manca certamente a Mario che, quarant’anni fa in Svizzera, beveva i primi vini con il tappo a vite: “il mio sogno era infatti quello di imbottigliare il vino, fondere il vetro e farne una fiala. Cioè noi dobbiamo mantenere nel tempo quello che abbiamo prodotto in vigna. E per mantenere questo potenziale, occorre che l’ossigeno venga tenuto un po’ da parte. Se con il tappo a vite possiamo tarare con la scienza e la tecnica l’entrata di ossigeno, allora possiamo pensare a una non ossidazione del vino oppure, ancora meglio, a una maturazione lenta.”

L’appuntamento dei cinque produttori è stato anche occasione per analizzare come il mercato globale, in particolare negli ultimi otto anni, stia dimostrando un’attenzione sempre maggiore a questa chiusura. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021 (con un 22% in Italia).
A dimostrazione di quanto detto, durante la giornata a Villa Sorio si è svolta insieme ai cinque “svitati” una degustazione comparata di alcuni loro vini della stessa annata, chiusi con tappi in sughero e tappo a vite (Tunina 2013 di Jermann, Alto Adige Pinot Nero DOC “Schweizer” 2015 di Franz Haas, Soave Classico di Prà, “Monleale” 2016 di Vigneti Massa e il “Sauvignon” 2007 di Pojer & Sandri). Un momento tangibile per capire e apprezzare le effettive differenze.

In conclusione, il tappo a vite viene visto non solo come segno di attenzione verso coloro che se ne verseranno un calice, ma anche verso tutti i professionisti coinvolti in questo ambito, non fosse altro anche per la sua sostenibilità; infatti, questo tipo di chiusura viene realizzata in alluminio, un materiale rispettoso anche verso l’ambiente.    Fonte: Lavinium, Fosca Tortorelli e Lele Gobbi, 17.03.2023

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