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Gen 20 2023

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ECCO PERCHÉ I LEGUMI CI SALVERANNO

Diffusi o quasi dimenticati, tra lenticchie e fave, lupini e roveja, ceci e cicerchie si nasconde un patrimonio 

Cari lettrici e lettori,

Si continua a parlare, tra le polemiche, degli insetti come alimento per gli umani (da tempo invece sono diffusi anche da noi nel becchime per gli allevamenti avicoli e nel cibo per pesci), argomento di cui deGusto ha parlato più volte e che tiene banco in rete.

Che piaccia o meno, la Ue li sta facendo entrare a poco a poco, dopo tutti i controlli del caso, nel mercato alimentare, dove li annoveriamo tra i cosiddetti “novel food”.

Sono/saranno e comunque si candidano a essere una nuova importante fonte di proteine.
Ma non mancano ottime fonti di proteine nella categoria che potremmo chiamare dell’ancient food.

Sì, quello antico, quello che è sempre stato sotto i nostri occhi, un po’ bistrattato e infatti, per alcune varietà, a volte dimenticato: i legumi.

La Fao da anni si batte per la rivalorizzazione delle coltivazioni che col tempo sono passate nel dimenticatoio e di recente non mancano iniziative e studi per tornare a dare la giusta importanza al mondo dei legumi (che peraltro è molto più vasto di quanto di primo acchito valuta il nostro pensiero).

A lottare per la valorizzazione dei legumi c’è per esempio Slow Food. L’organizzazione fondata da Carlo Petrini ha di recente dato la certificazione di Presidio Slow Food al lupino di Anterivo, un paese di quattrocento abitanti a sud di Bolzano, sui cui terreni sabbiosi e leggermente acidi, si coltivava tradizionalmente per farne un succedaneo del caffè, già citato nel 1897 nella biografia del principe vescovo Johann Baptist Zwerge.

Il prelato parlava della pianta del lupino (nella foto qui sopra) “dai fiori blu, noto nella zona come Caffè di Anterivo, che permette persino ai più poveri di realizzare un piccolo guadagno”.

A metà Ottocento ogni famiglia, in ogni orto, ne aveva qualche pianta, che era considerata un toccasana, sia perché capace di risolvere i problemi di digestione del bestiame, sia perché dai semi tostati e macinati si otteneva e ancora oggi si ottiene un particolare “caffè”. Ma verso gli anni Cinquanta, spiega Angelo Carrillo, responsabile del presidio, “con la diffusione del caffè e con la progressiva industrializzazione, la coltivazione del lupino è andata perdendosi, Ad Anterivo erano rimaste solo un paio di anziane contadine a riprodurne i semi e a coltivarli nei rispettivi orti”. La svolta all’inizio del 2000, grazie a un progetto europeo per lo sviluppo rurale e al lavoro di ricerca del centro di sperimentazione Agraria Laimburg, si è formato un gruppo di persone che hanno ricominciato ad appassionarsi al lupino.

Ma anche Oltremanica ci si occupa di legumi, dove un gruppo di ricercatori dell’Università di Reading, sta cercando di spingere alla riscoperta delle fave.

In particolare, secondo uno studio coordinato dalla professoressa Julie Lovegrove, l’uso della farina di fave, potrebbe rappresentare uno dei più grandi cambiamenti nel cibo del Regno Unito in una generazione.

La Gran Bretagna dovrebbe passare a mangiare pane fatto con fave, hanno detto i ricercatori, perché sarebbe più sostenibile e fornirebbe facilmente i nutrienti chiave. Lovegrove, afferma che così, oltre al gusto del pane si migliorerebbe la qualità nutrizionale, l’impatto ambientale (coltivare legumi richiede meno acque che il grano).

 “Il novantasei per cento delle persone nel Regno Unito – spiega la prof. – mangia pane, e il 90% è pane bianco, che nella maggior parte dei casi contiene soia. Abbiamo già effettuato alcuni esperimenti e scoperto che la farina di fave può sostituire direttamente la farina di soia importata e parte della farina di frumento, che è povera di sostanze nutritive. Qui non solo possiamo coltivare le fave, ma anche produrre e testare il pane ricco di fave, con una migliore qualità nutrizionale”.

Il progetto è sostenuto da 2 milioni di sterline di finanziamenti governativi e riunisce ricercatori, agricoltori e responsabili politici per incoraggiare i consumatori britannici a mangiare più fave, che al momento sono destinate principalmente all’alimentazione animale. I ricercatori troveranno anche modi per ottimizzare la sostenibilità e la qualità nutrizionale dei fagioli coltivati nel Regno Unito, anche coltivando varietà ad alto rendimento e collaborando con gli agricoltori per incoraggiarli a convertire i terreni di produzione del grano in fave, ricche di proteine, fibre e ferro, sostanze nutritive più scarse nelle diete del Regno Unito.

In Italia ci sono moltissimi legumi, parte della ricchissima biodiversità del Paese, che non vengono apprezzati quanto meriterebbero: si pensi appunto ai lupini (non solo quelli da caffè), alle carrube, alle cicerchie e alla roveja, oltre ai più noti fagioli, fave, lenticchie.

Ho mangiato pochi giorni fa la roveja in una zuppa con la zucca, cucinata per un pranzo privato dall’ex concorrente di Masterchef Irene.

Sono stata contenta che una ragazza così giovane stia riscoprendo nei suoi piatti un ingrediente antico che rischiava quasi l’estinzione. L’avete mai mangiata? La roveja, (Pisum Arvense) è stata protagonista in passato dell’alimentazione dei pastori del Centro Italia, insieme agli altri legumi poveri come lenticchie, cicerchie e fave. È un pisello selvatico, dal seme di colore marroncino tendente al giallo, il cui sapore ricorda quello della fava e del cece, e si consuma ancora, anche se sporadicamente, sul versante marchigiano degli Appennini. In tavola si può gustare con la pasta, ma è soprattutto utilizzato macinato. Dalla sua farina si ottiene una polenta dal gusto marcato, vera passione per chi ama i sapori tendenti all’amarognolo. Un po’ come il macco di fave, specialità siciliana che sotto forma di Polenta di fave si gusta anche in Puglia, accompagnata da cicoria.  

I legumi sono stati sostentamento per generazioni e generazioni. Essiccati, non solo si mantenevano a lungo, ma diventavano farina, base per le polente povere e nutrienti, la “puls” degli antichi latini. E non è un caso che oggi anche in inglese, i legumi, oltre che legumes, si chiamino pulses. Appetitosi specie se usati nelle zuppe di verdure o abbinati a pasta e riso.
Si, perché le qualità nutritive dei legumi vengono completate dai cereali e insieme regalano all’organismo una miscela proteica di altissimo valore biologico: Ceci, piselli, fave, lenticchie e fagioli, cicerchie, lupini &Co. non sono altro che i semi commestibili di piante della famiglia delle leguminose (sottofamiglia papilionee) contenuti nei baccelli.

Sono i vegetali più ricchi di proteine e hanno un alto contenuto di carboidrati. Ottima fonte di energia perché di elevato valore calorico, sono poveri di grassi (circa il 2-4%). Tra i loro pregi, l’apporto di calcio, magnesio, potassio e zinco, fosforo, ferro, vitamine del gruppo B e il contenuto in fibra alimentare.

Se si aggiunge che costano poco, che sono facili da conservare e durano a lungo, che rendono più fertili i terreni dove vengono coltivati arricchendoli di azoto e che possono essere una buona alternativa alle carni (per produrre un chilo di lenticchie bastano 50 litri di acqua contro i 4.325 di un chilo di pollame) e si capisce perché l’Onu abbia scelto di promuoverne la diffusione.

Eppure, secondo i dati Fao, il loro consumo va diminuendo: nonostante negli ultimi dieci anni la produzione mondiale sia salita del 20%, il consumo complessivo di legumi è andato lentamente e costantemente calando. La produzione (il principale produttore è l’India, seguita da Canada, Myanmar, Cina e Nigeria) non tiene il passo dell’incremento demografico e le popolazioni di tutto il mondo tendono a sostituirli con la carne. Nei Paesi in via di sviluppo i legumi rappresentano il 75% della dieta, in quelli industrializzati solo il 25%.

Peccato, perché in tutto il mondo si potrebbe fare un giro gastronomico a base di legumi, dai falafel e hummus mediorientali al Gigandes plaki, fagioli giganti al forno, cotti in una salsa di pomodoro, tipici della Grecia (nella foto qui sopra); dal Tagine di piselli e carciofi con carne, uno dei piatti più tipici in Algeria al Erwtensoep, zuppa di piselli secchi tipica dei Paesi Bassi e della Germania, con porri e pancetta o salsiccia affumicata; dal Githeri, piatto del Kenya preparato con mais e fagioli, secchi o freschi, cotti insieme nella “sufuria” (pentola) fino ad avere una consistenza morbida, al Chili con carne, piatto famoso del Messico, della cucina tex-mex e diffuso anche nelle Filippine, a base di manzo tagliato a tocchetti con i fagioli rossi, cotti insieme a peperoni, cipolle, aglio, spezie e pomodoro; dal Boiled Peanuts, arachidi bollite, la merenda tradizionale più tipica del sud degli Usa, Georgia, Mississippi, Alabama, Carolina al Nasi Lemak, è la colazione nazionale in Malesia. Un piatto di riso cotto in latte di cocco, servito con arachidi bollite, acciughine secche, uova sode, agnello o pollo al curry, cetriolo e pasta tradizionale al peperoncino.

L’elenco potrebbe continuare per ogni Paese del mondo: non ne esiste uno senza un piatto tradizionale di legumi, che da noi sposano la pasta in celestiali pasta e fagioli, pasta e ceci, pasta e piselli, pasta e lenticchie, il modo più goloso per mangiare sano.     Fonte: laRepubblica, deGusto, Eleonora Cozzella, 20.01.2023

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