«

»

Mar 15 2023

Print this Articolo

DAL SANGIOVESE ALLA GLERA, LA CALABRIA RIVELA LE ORIGINI DEL VINO

La vite era coltivata prima dei Greci, come dimostrano studi scientifici, e molti vitigni autoctoni locali sono antenati di note varietà italiane. Giovani vignaioli hanno ripreso i terreni di famiglia e stanno riscoprendo antiche uve 

Il vigneto Mancuso della cantina Ippolito 1845 nel Cirò 

Ci sono luoghi in cui il vino rivela segreti atavici. Succede quando la vite affonda le radici in un passato lontano che torna a vivere nei calici e nella passione di chi, quelle antiche verità, l’ha scoperte e riscritte con impegno e fatica. Si svela così, a piccoli sorsi, la Calabria del vino. 

Siamo nella terra degli Enotri, popolo che conosceva e coltivava la vite ancor prima dell’arrivo dei Greci, e che ha “scelto” questa regione per fondarvi quella che è poi diventata la Magna Grecia. Culla di civiltà e terra madre del vino, che da lì si è diffuso, in Italia e non solo, attraverso mille diversi percorsi e incroci. Un’area considerata dagli studiosi “zona di convergenza genetica”, cioè il più importante centro di diffusione della viticoltura nel bacino del Mediterraneo occidentale. Miniera d’oro di biodiversità e di vitigni che si sono rivelati chiave per lo sviluppo delle altre varietà autoctone dell’Italia del Sud, ma anche del centro e del Nord, seguendo i flussi migratori. L’esempio più clamoroso, che emerge dagli studi genealogici a cui ha preso parte la ricercatrice del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) Manna Crespan, è quello del Sangiovese, figlio della Calabria, che “con il Mantonico ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo delle altre varietà autoctone della Italia meridionale”.

Ma non finisce qui. “Un altro caso è l’uva Visparola – spiega l’esperta – che troviamo in Sicilia, Toscana ed Emilia-Romagna con nomi diversi, e che persino i tedeschi hanno rilevato in un vecchio vigneto vicino a Lipsia, ribattezzandola Mehlweiss. Un vitigno, presente anche nella collezione di viti dell’istituto tedesco di ricerca Geisenheim, forse nato in Grecia e poi portato in Europa tramite la Calabria, che ha fatto da ponte fra le varietà greche, dei Balcani e dell’Italia del Sud. La Visparola ha dato origine anche alla Vulpea che a sua volta è uno dei genitori della Glera (l’uva del Prosecco, ndr)”. 

Il parco della Sila 

Tante varietà autoctone che tutt’oggi sopravvivono grazie ai numerosi produttori che lavorano per promuovere il territorio. Ed è così che nel Cosentino è stato rilanciato il Magliocco Dolce (ne parlava già Plinio); il Greco di Bianco (una delle più antiche Malvasie che si conoscano) è stato riproposto in versione secca da Mariolina Baccellieri e Antonella Lombardo, già recuperato da Ceratti; lo Zibibbo di Pizzo è diventato la bandiera del giovane Giovanni Benvenuto; il vino Moscato di Saracena (blend di Moscatello di Saracena, Guarnaccia Bianca e Malvasia) è stato recuperato da cantine Viola e il Magliocco Canino riportato in vita da Casa Comerci. Senza dimenticare Pecorello e Mantonico (in purezza), a cui molti produttori si stanno avvicinando. Insomma, un grande potenziale, per molti versi ancora inespresso.  

Cantine Giovanni Benvenuto 

Con l’Aspromonte che degrada verso i due mari, Tirreno e Ionio, la Calabria ha la peculiarità più unica che rara di offrire tutte le sfumature del terroir, dalla montagna all’alta, mezza e bassa collina. E mentre nel Cirò a dominare è il Gaglioppo (Ippolito 1845 è una delle principali aziende che portano avanti quest’uva), alle pendici di Pollino e Sila sono collocati i vigneti delle sottozone della Dop Terre di Cosenza, dove il re è il Magliocco: “La ricchezza dell’orografia, le piccole produzioni, sempre più cercate dai consumatori, e la biodiversità, unite agli investimenti, stanno determinando una rinascita del vigneto Cosenza, oggi rappresentato da circa 60, anche piccolissime, realtà”, spiega Gennaro Convertini, presidente dell’enoteca regionale Casa dei vini di Calabria.  

Le vigne di Serragiumenta ad  Altomonte (Cosenza) 

 “Negli ultimi 15 anni in Calabria, grazie a una forte presa di coscienza, giovani laureati figli di vignaioli hanno contribuito al recupero e alla valorizzazione di antichi vitigni risalenti a prima del 300 avanti Cristo – dice Michele Ruperto, miglior sommelier di Calabria Ais 2022, ceo di Calabria Gourmet, con cui ha vinto il premio per il miglior storytelling dell’enogastronomia calabrese del beverage online all’E-Commerce Food Conference 2023 – Alcuni di questi sono all’apice dell’albero genealogico, come dimostrato anche dal professor Attilio Scienza. Un patrimonio unico che la regione sta cercando di comunicare a tutti i livelli”.

Obiettivi resi possibili anche grazie all’impegno delle istituzioni. “La storia del vino affonda le sue radici in Calabria, dove già circa 2.000 anni fa veniva praticata la coltivazione della vite – spiega l’assessore regionale all’Agricoltura, Gianluca Gallo – Ai tempi della Magna Graecia, poi, il culto di Dioniso, protettore della vite, si espanse rapidamente, dando vita a produzioni che sono arrivate fino a noi, come accaduto ad esempio nel Cirotano. Oggi la nostra terra può contare su produttori di eccellenza e vini di qualità, come certificato dai successi nell’ultima edizione del Concours Mondial de Bruxelles, svoltosi proprio in Calabria. Da qui l’impegno per far crescere sempre più la qualità del prodotto e la competitività delle aziende, e sostenere la valorizzazione dei vini pregiati, perché il mondo non dimentichi una storia nobile e possa conoscere e apprezzare sempre più i vini calabresi”.   Fonte: laRepubblica, IL GUSTO, Lara Loreti, 15.03.2023

 

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/dal-sangiovese-alla-glera-la-calabria-rivela-le-origini-del-vino/