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Mag 03 2022

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CARLO PETRINI: “ANDATE A CONOSCRE GLI EROI DELL’OLIO, SOLO COSÍ I PIATTI AVRANNO SAPORE”

L’Italia ha il primato per il numero delle varietà coltivate: sono oltre 500. Nella nuova Guida agli Extravergini 2022 di Slow Food le storie di chi ogni giorno dà valore alla tavola coltivando l’albero che di più rappresenta il paesaggio agrario nel nostro Paese

(foto  @collietruschi) 

La storia dell’ulivo (o olivo, che dir si voglia) è tanto affascinante quanto le sue stesse fattezze. Infatti, forte dei suoi tratti fortemente caratterizzanti, questo albero rappresenta egregiamente, alla stregua della vite e di alcuni cereali, il paesaggio agrario e la cultura gastronomica della nostra Penisola. Dunque, è bene addentrarsi in profondità nella conoscenza di questa pianta, delle olive che produce e dell’olio. Quest’ultimo un bene – frutto della lavorazione dell’uomo – davvero prezioso che merita di essere considerato e valorizzato al meglio.

Con oltre 500 varietà coltivate (dette anche cultivar) di olivo, a oggi l’Italia è primo Paese per biodiversità olivicola. Nemmeno la Spagna, che per la quantità di litri è primo produttore a livello mondiale, può vantare una tale ricchezza. Queste cultivar sono il frutto di millenni di osservazione e sperimentazioni agricole e sono state selezionate dai contadini a seconda delle loro caratteristiche di resistenza (alle malattie e alle avversità climatiche) e in relazione al territorio in cui venivano coltivate.

Questo aspetto fa già ben intendere come usanze e saperi legati alla coltivazione delle olive e alla produzione dell’olio abbiano segnato una civiltà – rimasta quasi inalterata fino ai giorni nostri – e sviluppato un’economia fatta da complessi rapporti tra olivicoltori, frantoiani e mercanti. La filiera dell’olio infatti – per molti casi – rimane ancora un modello di produzione virtuoso perché assicura la tutela del paesaggio e dell’ambiente e garantisce produzioni di pregio qualitativo non riproducibili nelle dimensioni industriali.

Proprio per promuovere e salvaguardare questa coltivazione, giusto ieri, sabato 30 aprile, a Firenze, è stata presentata (in collaborazione con BioDea e Ricrea) la nuova edizione della Guida agli Extravergini 2022, redatta da Slow Food. Anche quest’anno infatti abbiamo voluto raccogliere in questo particolare progetto editoriale (giunto alla sua ventitreesima edizione) gli olivicoltori locali che – non privi di difficoltà – perseverano nel mantenere in vita l’immenso patrimonio olivicolo nazionale nelle aree più vocate della nostra Penisola.

Vorrei quindi riportare alcuni esempi di questi eroi contemporanei che potete trovare tra gli altri nelle pagine della guida.

(foto  @diodoros) 

Una menzione va sicuramente fatta al progetto di recupero Diodoros del Parco Archeologico della Valle dei Templi (Agrigento). Da alcuni anni infatti, grazie alla cooperazione di enti pubblici e privati, in questo sito che tutto il mondo ci invidia, è in atto una vera e propria valorizzazione del patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e anche agricolo. Oltre a mandorli, pistacchi e altre varietà tradizionali di frutta si può trovare il Presidio Slow Food dell’extravergine italiano con l’olio Diodoros. Non è un semplice extravergine, è il prodotto della raccolta da olivi secolari di una varietà siciliana rara, la Piricuddara. Se franta con attenzione, questa cultivar può dare risultati notevoli, sempre delicati e caratterizzati da sentori e intensità leggeri.

Parlando sempre di Presidio dell’extravergine – ovvero del progetto che mira a salvaguardare e promuovere quella cultura basata su oliveti secolari di cultivar locali e portata avanti con tecniche produttive sostenibili ma che risulta a forte rischio estinzione – mi piace ricordare l’esempio della cooperativa agricola Terre di Molinara, che costudisce un paesaggio unico di bellezza e di biodiversità nel beneventano, formato da un uliveto secolare costituito interamente dalla cultivar Ortice. Oltre 1300 le piante di questa varietà locale recuperate dall’abbandono. Un lavoro straordinario, non solo perché ci consegna un olio che è un’esperienza di emozioni, ma anche perché ha salvato l’identità di un territorio. Ci spostiamo un po’ più a nord, nel Lazio, dove troviamo la cooperativa agricola Colli Etruschi che, grazie all’attività di ben 330 soci, distribuiti in 800 ettari nella Tuscia, fornisce ottimi oli. Uno dei quali derivante dalla Caninese, preziosa cultivar autoctona.

(foto  @collietruschi) 

Altra varietà antica del Lazio, più precisamente della zona dei Castelli Romani e della Ciociaria, è la Rosciola. Negli ultimi anni è in atto un graduale recupero della sua coltivazione che sta iniziando a offrire interessanti monovarietali, delicati e dalla spiccata dolcezza ed eleganza. Tra questi, l’olio, giunto fino alla selezione finale nazionale, dell’azienda Oro delle Donne di Marino (Roma).

Spostandosi nuovamente verso sud, questa volta in Puglia, la guida quest’anno ha voluto dare una menzione speciale a un’opera di resistenza. I fratelli Caliandro, dell’omonima azienda, infatti sono alle prese con una lotta quotidiana per proteggere dalla Xylella il loro oliveto secolare, utilizzando esclusivamente metodi biologici. Da due anni ormai il batterio si è manifestato nei pressi della loro masseria, il che richiede drastiche potature e tanta pazienza. Pazienza che però viene ripagata dai sentori di frutti di bosco, macchia mediterranea e erbe aromatiche che si possono apprezzare degustando Lavra, il loro monovarietale di Cellina di Nardò (cultivar salentina).

Tutto questo e molto altro ancora si nasconde dietro a quello che troppo spesso – erroneamente – tendiamo a considerare come un semplice condimento. Ecco che vi invito di andare a conoscere direttamente queste realtà, perché solo sviluppando una conoscenza e un alto livello di consapevolezza sulla storia, la cultura e i processi che caratterizzano una particolare filiera potremo davvero insaporire i nostri piatti.  Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Carlo Petrini, 01.05.2022

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