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Nov 29 2019

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IL CAMBIAMENTO CLIMATICO SPINGE IL PIANETA IN UN PUNTO DI NON RITORNO

Gli scienziati avvertono che molte persone non hanno ancora preso coscienza di quanto poco tempo rimane per fermare i cambiamenti irreversibili e disastrosi nel sistema climatico della Terra. Ma c’è speranza

Un gruppo di climatologi di fama mondiale avverte che i cambiamenti irreversibili in atto nel sistema climatico della Terra indicano che siamo in uno stato di emergenza planetaria. Il superamento di una serie di punti critici (tipping points) potrebbe a sua volta determinare il superamento di un punto critico globale, dove numerosi sistemi della Terra oltrepassano un punto di non ritorno, dicono gli scienziati.

Questa possibilità è “una minaccia esistenziale alla civiltà” sostengono Tim Lenton e colleghi in un recente articolo pubblicato sulla rivista Nature. Un tale collasso dei sistemi terrestri potrebbe portare alle condizioni di un “Pianeta-serra”, con un aumento delle temperature medie globali di 5° C rispetto all’epoca preindustriale, un aumento del livello medio del mare tra i 6 e 9 metri, la perdita di tutte le barriere coralline e della foresta amazzonica, e con grandi parti del pianeta che diverrebbero inabitabili. Gli scienziati avvertono che per limitare il riscaldamento a 1,5°

C è necessaria una risposta di emergenza globale. “La stabilità e la resilienza del nostro pianeta sono in pericolo” dicono.

 “È una brutta sorpresa accorgersi che il superamento dei punti di non ritorno che pensavamo sarebbe accaduto nel futuro sta accadendo già adesso” afferma Lenton in un’intervista. Per esempio, nell’Antartide occidentale la calotta glaciale sta lentamente collassando.
Gli ultimi dati mostrano che la stessa cosa potrebbe accadere anche in alcune parti della calotta glaciale nell’Antartide Orientale dice Lenton, climatologo all’Università di Exeter, in Inghilterra. Se entrambi le calotte si sciogliessero il livello del mare potrebbe salire di 7 metri nelle prossime poche centinaia di anni. “Exeter, dove mi trovo, è stata fondata dai romani 1900 anni fa. E probabilmente sarà sotto il livello del mare tra 1500 anni” dice. “Non dovremmo ignorare quali condizioni ambientali lasciamo in eredità alle generazioni future, non importa quanto siano lontane in futuro.”
Le calotte glaciali in Antartide occidentale e orientale sono solo due dei nove punti di non ritorno – o giganti del sistema climatico – che mostrano chiari segni che stanno raggiungendo il punto critico. (Guarda un’animazione dei nove punti di ribaltamento).

Una volta solo delle ipotesi, adesso fatti reali

L’idea dei punti critici o punti di non ritorno è stata introdotta 20 anni fa dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). La perdita della calotta glaciale nell’Antartide occidentale e della foresta pluviale amazzonica, o lo scioglimento estensivo del permafrost, così come altri componenti chiave del sistema climatico sono considerati punti di non ritorno perché possono oltrepassare delle soglie limite, e quindi cambiare bruscamente e irreversibilmente. Proprio come un albero di 200 anni in una foresta che può resistere a 20 colpi di un’ascia molto affilata, e poi con il 21 cadere improvvisamente.

Una volta si pensava che i punti critici sarebbero stati raggiunti solo quando il riscaldamento terrestre avrebbe oltrepassato i 5° C sopra i valori medi dell’era pre-industriale. Ma i rapporti IPCC degli ultimi anni ci hanno avvertito che alcuni punti critici possono essere raggiunti con un riscaldamento di 1° C e 2° C. Ogni aumento incrementale di temperatura fa aumentare il rischio di oltrepassare uno dei 30 maggiori punti di non ritorno. Con solo 1° C di aumento di temperatura attuale pensiamo che 9 di questi stiano cominciando a muoversi. Così come la metafora dell’albero di 200 anni, nessuno sa quando il prossimo colpo di ascia – o aumento di temperatura – lo farà crollare. Anche se i paesi rispetteranno gli impegni di riduzione delle emissioni presi nell’Accordo di Parigi sul clima, il riscaldamento sarà superiore ai 3°C.

Le emissioni globali di CO2 sono aumentate anno dopo anno, ma secondo l’Emission Gap Report pubblicato il 26 novembre dalle Nazioni Unite, devono diminuire del 7,6% all’anno da qui al 2030 per riuscire a contenere il riscaldamento entro 1,5° C. Il sistema climatico della Terra e i sistemi ecologici sono profondamente interconnessi. Il sole fornisce energia all’atmosfera, agli oceani, alle calotte glaciali e agli organismi viventi come le foreste e i suoli, e tutti questi elementi fisici e biologici influenzano, in maniera più o meno importante, il movimento del calore sulla superficie terrestre. Le interazioni tra gli elementi del nostro sistema climatico globale fanno sì che un cambiamento importante in uno degli elementi ha degli effetti anche sugli altri elementi. Come quell’albero di 200 anni che cadendo sotto il ventunesimo colpo d’ascia, può cadere sopra altri alberi, abbattendoli e creando un effetto domino.

Quello che succede nell’Artico non resta lì confinato

Gli scienziati avvertono che l’effetto domino potrebbe essere già in atto nel sistema climatico. Per esempio la perdita del ghiaccio marino estivo nell”Artico negli ultimi 40 anni corrisponde a una maggiore superficie d’acqua libera di assorbire il calore dei raggi solari.
La superficie di ghiaccio marino, che grazie all’albedo riflette i raggi solari, è diminuita del 40%. Questo fa aumentare il riscaldamento regionale dell’Artico, determinando un aumento dello scioglimento del permafrost, che a sua volta rilascia una quantità maggiore di anidride carbonica e di metano nell’atmosfera, un effetto domino che contribuisce al riscaldamento globale.
Un Artico più caldo ha già determinato dei cambiamenti su larga scala nella distribuzione degli insetti e un aumento del numero di incendi, i quali determinano la diminuzione dell’estensione delle foreste boreali nel Nord America. Queste foreste adesso rilasciano più anidride carbonica di quanta ne assorbono. Sistemi strettamente interconnessi possono avere degli impatti su scala planetaria. Il riscaldamento dell’Artico, assieme allo scioglimento della calotta della Groenlandia, fa arrivare acqua dolce nell’Oceano Atlantico settentrionale, il che potrebbe avere contribuito al rallentamento del 15% percento dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (AMOC). Queste correnti oceaniche trasportano il calore che si trova ai tropici verso i poli e sono responsabili delle temperature relativamente miti che ci sono nell’emisfero settentrionale.

Ci sono eventi che accadranno lentamente, come il collasso della calotta antartica che avverrà nell’arco di centinaia o anche migliaia di anni, dice Glen Peter, direttore delle attività di ricerca al Center for International Climate in Norvegia. “Non è chiaro quando la maggior parte dei punti critici sarà raggiunta” dice il ricercatore, che non è tra gli autore dello studio su Nature.

Dichiarare un’emergenza climatica planetaria

È importante sapere che la temperatura globale della Terra non dipende solo dalle emissioni di gas serra, dice Katherine Richardson, co-autrice del rapporto e professoressa in oceanografia biologica all’Università di Copenaghen. Anche i sistemi naturali del pianeta, come le foreste, le regioni polari e gli oceani hanno un ruolo importante. “Dobbiamo prestare attenzione ai sistemi naturali” ha detto la ricercatrice in un’intervista.

È già troppo tardi per prevenire alcuni punti di non ritorno, perché i dati mostrano che almeno nove sono già stati raggiunti, spiega la ricercatrice. Il rischio è che questi possano determinare un effetto domino che porti a un punto critico globale irreversibile, il quale avrebbe come conseguenza un tremendo impatto sulla civilizzazione umana. Questo fa sì che sia necessario dichiarare uno stato di emergenza planetario. Minimizzare il rischio richiede di contenere il riscaldamento globale quanto più possibile vicino a 1,5° C riducendo le emissioni di gas serra a zero. Ci vorranno circa 30 anni per arrivare alla neutralità delle emissioni di gas serra, dice Richardson. “Questa è la nostra stima più ottimistica del tempo necessario”.

 “Non credo che le persone abbiano compreso quanto poco tempo ci rimane” ha detto Owen Gaffney, un analista in sostenibilità globale al Resilience Center all’Università di Stoccolma. “Arriveremo a 1,5°C tra 10 o 20 anni, e con solo 30 anni a disposizione per decarbonizzare siamo chiaramente in una situazione di emergenza” dice Gaffney, anche lui autore dello studio su Nature.  “Senza un’azione urgente probabilmente lasceremo in eredità ai nostri figli un pianeta pericolosamente destabilizzato” ha detto in un’intervista.

Gli interessi economici prevalgono

Allo stesso tempo, un recente rapporto delle Nazioni Unite ha rivelato che Stati Uniti, Cina, Russia, Arabia Saudita, India, Canada, Australia e altri paesi hanno in programma di produrre il 120 percento in più di combustibili fossili da qui al 2030. Questi stessi governi hanno sottoscritto l’Accordo di Parigi e si sono impegnati a contenere la temperatura della Terra sotto 1,5° C, ma sembrano più preoccupati dalla loro crescita economica che dalla lotta al cambiamento climatico.
Nessuna analisi di tipo costi-benefici ci aiuterà adesso che ci troviamo ad affrontare un rischio esistenziale per la nostra civilizzazione, dicono Gaffney e colleghi. I governi si basano molto sulle opinioni degli economisti, ma con poche eccezioni questa categoria ha fatto un grande disservizio all’umanità ignorando il cambiamento climatico nelle sue ricerche, dice Gaffney. Solo una frazione degli articoli nei giornali di economia discute di cambiamento climatico, denuncia il ricercatore.
I rischi che derivano dal superamento dei punti di non ritorno del sistema climatico non sono parte di nessuna analisi economica delle politiche climatiche, spiega Geoffrey Heal, economista alla Columbia Business School di New York. “Se fossero inclusi farebbero una differenza enorme … suggerirebbero infatti di potenziare fortemente le politiche climatiche” dice Heal in una email.
Oltrepassare i punti di non ritorno comporta dei rischi enormi per le attività finanziarie, la stabilità economica e la vita come la conosciamo” dice Stephanie Pfeifer, CEO dell’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), un gruppo di investimento che gestisce oltre 30 miliardi di dollari in attività finanziarie. È molto più economico prevenire un ulteriore riscaldamento climatico che far fronte ai suoi impatti, scrive Pfeifer in un’email.  “Abbiamo bisogno di azioni molto più ambiziose e urgenti per affrontare i cambiamenti climatici” dice Pfeifer. 
C’è un lato positivo

Dal 2010 in poi il processo di decarbonizzazione globale ha accelerato e può essere sufficiente a limitare il riscaldamento sotto i 2° C, sostiene un nuovo report che sarà pubblicato il 2 dicembre su Environmental Research Letters. Mentre le emissioni globali di gas serra sono aumentate, il processo di decarbonizzazione ha limitato questi incrementi e può portare alla loro riduzione. 
Dei sistemi energetici più efficienti e la produzione di energia da fonti rinnovabili moderne, assieme all’utilizzazione dell’energia solare ed eolica, hanno fatto fare grandi passi in avanti nel processo di decarbonizzazione e rendono possibile raggiungere gli obiettivi climatici di Parigi “se intraprendiamo azioni aggressive in tutti i settori dell’economia“, afferma in un comunicato Daniel Kammen, coautore dello studio e professore di energia all’Università della California a Berkeley.
Ci sono poi anche punti critici sociali, dice Gaffney, incluso un punto di non ritorno economico in cui il prezzo dell’energia rinnovabile sta scendendo al di sotto del costo dei combustibili fossili in vari mercati, uno dopo l’altro. “I prezzi delle energie rinnovabili continuano a scendere e le prestazioni stanno migliorando. Questa è una combinazione imbattibile.”

Sempre più paesi, come il Regno Unito, hanno raggiunto un punto critico politico e adottato l’obiettivo zero emissioni nette di gas serra al 2050. E il Parlamento europeo, in una risoluzione non legislativa del 28 novembre, ha dichiarato l’emergenza climatica e ha chiesto all’UE di ridurre le emissioni del 55% al 2030 e raggiungere zero emissioni nette al 2050. “Ora c’è la fiducia che tutto sia realizzabile e conveniente“, dice il ricercatore.  E negli Stati Uniti, i candidati alle elezioni presidenziali del 2020 stanno preparando dei piani d’azione per il clima ambiziosi.
Negli ultimi 12 mesi sembra che sia stato raggiunto un punto critico per un’ampia consapevolezza della società – l’effetto Greta Thunberg – con milioni di giovani scioperanti e molti altri che chiedono un’azione urgente sul clima, dice Gaffney. Allo stesso tempo, sempre più società finanziarie, aziende e città stanno adottando obiettivi climatici ambiziosi. “Questi punti di svolta stanno convergendo e potrebbero far sì che dal 2020 in poi si osservi la transizione economica più rapida della storia“, afferma Gaffney. Fonte: National Geographic, di Stephen Leahy, 29.11.2019

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