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Ago 16 2013

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“VIVO DI VENTO E DI PESCA”

Il regno di Danilo, ultimo pescatore del Sebino

Di Costa Volpino, è l’unico professionista sulla sponda bergamasca, ed è uno dei dure pescatori che producono la Sardina essicata del Lago d’Iseo, Prewsìdio Slow Food.

Fa ancora buio, nemmeno i gabbiani sono svegli alle 5 del mattino. Quando Danilo Baiguini sbuca dalla riva, senti il rumore dell’acqua tagliata dalla sua barca. Ovunque, sul lago e intorno, c’è silenzio. Fa il pescatore di mestiere. D’estate, d’inverno, solo la domenica si ferma o quando comanda il tempo. E non lo dice una volta, ma almeno cinque o sei, sul punto ci tiene moltissimo: è l’unico a vivere di sola pesca sulla sponda bergamasca, come faceva suo padre e prima di lui il padre di suo padre, e anche a Brescia i professionisti non sono mica in tanti. La maggior parte arrotonda con i mercati, che non è esattamente la stessa cosa di dedicare tutta una vita al lago: dall’alba, per tirare le reti, al tramonto, per posizionarle. Finisse lì: nelle ore di mezzo, il pesce va pulito, a volte sfilettato, poi consegnato ai ristoratori, che non sono solo quelli della costa. La fama di Danilo, re del Sebino, arriva fino in Presolana.

L’appuntamento è al porto di Costa Volpino. Baiguini abita in una casa grande, in mezzo alla natura. Ha 44 anni, una figlia di 11 e un capanno che usa per la caccia, la sua passione. Pure quello sul lago. Non c’è anima viva, solo un posto di blocco per i ragazzi che tornano dai locali. Lui, invece, parte. Posteggia il furgone e ci mette un secondo a puntare verso la prima tappa del primo turno del suo orario di lavoro. La foce dell’Oglio, dove dragano la sabbia. Sardine. «Di solito all’inizio di luglio è già finito il periodo – dice – ma quest’anno siamo partiti con due settimane di ritardo. Ha fatto molto freddo, le uova non si schiudevano». Baiguini, autorità in materia, fa parte della Consulta provinciale per la pesca. «Questo – spiega – è il punto più sporco del lago, perché il fiume ci porta tutto quello che raccoglie lungo il suo corso. Negli ultimi anni, però, la situazione è migliorata. C’è stato un cambiamento di mentalità nella gente e sono aumentati i depuratori. La differenza si è vista, l’acqua è più pulita». Eppure, per assicurarsi il ricercatissimo salmerino, «che vive in acque profonde e ha sofferto molto l’inquinamento», bisogna fare quasi cento chilometri, scavalcare due valli e arrivare fino a Branzi, dove d’inverno le uova vengono trasferite in un incubatoio speciale, per farle schiudere. «Ho imparato osservando mio padre e mio nonno – ricorda Baiguini -. Allora i pescatori di professione erano sette o otto. Quando è stato il momento di decidere cosa fare dopo la scuola, ho capito che non volevo chiudermi in una fabbrica a farmi comandare. Sul lago sono libero, all’aria aperta. L’ho lasciato solo quando sono andato a fare il militare a Roma». E, destino, quell’anno l’ha passato in cucina. Così il pesce, ora, lo sa pure portare in tavola.

Il cielo è lilla, la natura comincia a svegliarsi. I gabbiani a pretendere la loro colazione. Sono i primi (e più affezionati) clienti di Danilo. A lui non dispiace. Tirate a bordo le sardine, le pulisce e getta i resti in acqua. La colazione, appunto. Nella rete c’è finito anche un siluro. Un bestione baffuto da qualche chilo, «ma è meno pregiato, si fa fatica a venderlo e non puoi ributtarlo, questi mangiano tutto». D’estate, il bottino di una giornata normale è di una ventina di chili ed è distribuito a una decina di locali: Lovere, Castro, Riva di Solto, persino Castione della Presolana. Sei, sette euro al chilo, 15 se il pesce va sfilettato nel laboratorio che ha realizzato apposta. D’inverno, cala il pescato e calano i ristoranti da servire. Allora, quello che non piazza, Baiguini lo sistema in un altro modo: 24 ore sotto sale, essiccatoio e poi almeno tre mesi nell’olio di oliva (presìdio Slow Food, n.d.r.). Risultato: quando è la stagione delle sagre, i suoi vasetti sono super richiesti. «Con la crisi – va avanti – vendo un pò meno ai locali, ma sono aumentati i privati, che invece di andare in pescheria, comprano da me».

Seconda tappa. In mezzo al lago, di fronte a Castro, dove soffia un vento freddo anche se sono i giorni più caldi dell’anno. È la rete, da 600 metri, per il coregone. Il pescatore la tira a sé una bracciata alla volta, senza pause. Tira, afferra il pesce e lo lancia nel contenitore. Alla fine sono circa 15 chili. «Nelle notti buone, quando fa un temporale forte dopo un pò che non ha piovuto, se ne pescano anche 70», assicura. Capita poi qualche trota, mentre per le anguille si aspetta il mese di maggio e la tecnica è quella della palamite. Tanta fatica. Ultima rete, di nuovo verso la foce dell’Oglio. Solo qualche sardina. Sono le 8, ormai, il sole inizia a scaldare e i gabbiani sono sempre più scatenati. Solo uno, senza una zampa, si azzardava le estati scorse ad atterrare in barca. Non è più l’ora del silenzio, le auto sfrecciano e alla Lucchini i motori vanno a mille. Ma sul lago i rumori arrivano ovattati e Danilo si gode la terraferma da lontano. Niente traffico, niente cuffie da operaio.

Fonte:  Corriede della Sera, 11 agosto 2013 (modifica il 14 agosto 2013), Maddalena Berbenni

 

 

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