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Feb 08 2021

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CACOFONIA ACQUATICA: L’INQUINAMENTO INVISIBILE CHE COMPROMETTE L’ARMONIA OCEANICA

Il frastuono prodotto dalle attività umane in mare è raddoppiato negli ultimi 70 anni. È un rumore intenso che compromette la capacità riproduttiva delle specie marine, incrementando la loro predisposizione ad ammalarsi e abbandonare il proprio habitat. E interferisce con l’ecolocalizzazione di cui si servono i cetacei per orientarsi

Un rumore naturale. Immergersi nel mare non è un’esperienza esclusivamente visiva o tattile ma anche uditiva. Suoni di origine fisica come l’infrangersi delle onde, il crepitio del ghiaccio che sprofonda in acqua, la formazione delle bolle e di origine biologica come quelli emessi dagli animali e dai loro movimenti si dipanano nelle ampie distese azzurre del pianeta. Insieme, creano un paesaggio sonoro dai 50 ai 100 decibel.

Ma c’è anche un altro tipo di rumore che dal 1950 al 2000 è quasi raddoppiato a causa, ad esempio, dell’impiego di cannoni ad aria compressa per le indagini sismiche, le trivellazioni dei fondali e il dragaggio. Un problema incrementato dall’aumento del numero di imbarcazioni e delle loro stazze, un ronzio costante di oltre 50mila navi che, si stima, aggiungono tre decibel di rumore marino ogni dieci anni. «Potrebbe non sembrare molto, ma i decibel sono su scala logaritmica coma la scala Richter per i terremoti. Quindi un numero piccolo può fare una grande differenza. Tre decibel significa raddoppiare l’intensità del rumore nell’oceano», spiega la giornalista scientifica Nicola Jones.

Alcuni dei frastuoni causati dall’uomo sono rumori a bassa frequenza che subiscono poca attenuazione e consentono la propagazione a lungo raggio. Per questo, al pari della pesca eccessiva, dell’inquinamento da plastica e della crisi climatica, costituiscono un problema transfrontaliero.

Per molti animali acquatici, dagli invertebrati alle grandi balene, l’udito è il senso più importante e indispensabile per esplorare, interpretare e interagire con gli ecosistemi acquatici. Nell’oceano i segnali visivi scompaiono nel giro di poche decine di metri, quelli chimici dopo centinaia di metri mentre quelli sonori possono coprire migliaia di chilometri. Così, i suoni naturali possono venire corrotti dal rumore oceanico antropogenico.

Gli effetti del frastuono antropico

Questa cacofonia ha degli effetti diretti sulle specie che popolano i mari, compromettendo la loro capacità di trovare prede, localizzare i partner, evitare i predatori e comunicare. Può causare stress cronico, uccidere, ferire e portare a sordità molti cetacei e altri mammiferi marini: recentemente, è stata avanzata una correlazione tra l’esposizione ai sonar marini e alcuni loro spiaggiamenti e decessi.

Un rumore intenso può compromettere la capacità riproduttiva, così come incrementare la predisposizione ad ammalarsi e abbandonare il proprio habitat. Inoltre, interferisce con l’ecolocalizzazione di cui si servono i cetacei odontoceti come delfini e orche per orientarsi e li spinge, perché spaventati da rumori improvvisi, a immersioni repentine che causano emorragie cerebrali e cardiache.

Come riporta il New York Times, il rumore antropogenico è un problema anche per i pesci. Ad esempio, può condannare i pesci pagliaccio (come Nemo) a vagare nell’oceano senza riuscire a trovare la strada di casa oppure spingere vongole e coralli a traslocare. La cacofonia che portiamo nei mari rappresenta un problema anche per uccelli e rettili marini, così come per lo zooplacton, base degli ecosistemi marini, meduse e capesante. Un oceano troppo rumoroso costituisce un pericolo per le specie che lo abitano quanto per noi inserirci in un’arteria autostradale avvolta dalla nebbia.

La prima prova biologica di un’associazione tra l’esposizione al rumore a bassa frequenza delle navi e lo stress cronico nei cetacei è stata raggiunta da Rosalind Rolland dell’Anderson Cabot Center for Ocean Life di Boston. Nel 2001, mentre stava campionando feci di esemplari di balena Eubalaena glacialis ha notato nel materiale analizzato un calo dei metaboliti legati allo stress. In quell’anno, in seguito all’attentato terroristico delle torri gemelle, il trasporto commerciale si era fermato abbattendo l’inquinamento acustico di 6-9 decibel.

Altri studi hanno dimostrato che il rumore delle navi può aumentare i livelli di ormone dello stress anche nei pesci e nei granchi, spingendoli a sacrificare la cura della prole per intercettare segnali di pericolo. Allo stesso tempo, il rumore antropico incentiva le catture accidentali e le collisioni delle specie marine con le imbarcazioni perché impedisce agli animali di individuare le reti da pesca o i natanti.

Abbassare il volume

Tuttavia, nonostante l’inquinamento acustico marino rappresenti una minaccia per la salute degli ecosistemi acquatici tanto quanto il cambiamento climatico e l’acidificazione, esistono delle soluzioni e dei metodi efficaci per mitigare il rischio, come sottolinea Lindy Weilgart, biologa alla Dalhousie University canadese di Halifax. Ad esempio, rendere più silenziose le navi sollevando i motori dal fondo o usando eliche progettate per ridurre la cavitazione, cioè la produzione di minuscole bolle che scoppiano rumorosamente quando esplodono. Una imbarcazione più silenziosa è, peraltro, generalmente anche più efficiente, quindi meno inquinante.

Oppure, ancora, spingere le imbarcazioni ad avvicinarsi ai porti e muoversi in mare aperto più lentamente: come riporta il Guardian, tra il 2007 e il 2013 nel Mediterraneo la riduzione della velocità delle navi da 15,6 a 13,8 nodi ha abbattuto l’inquinamento acustico marino del 50%. Un’altra possibilità è dotarle di motori elettrici, strategia già adottata da molte navi da crociera. Infine, i cannoni ad aria compressa usati nelle rilevazioni sismiche potrebbero essere sostituiti con una struttura vibrante subacquea che dà vita a un impatto sonoro più contenuto.

Soluzioni per ridurre il rumore marino antropogenico esistono. Dobbiamo solo deciderci ad abbassare il volume. Fonte: Linkiesta,  Riccardo Liguori, foto Pixabay 8.02.2021

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