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Feb 10 2022

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CARLO PETRINI; È IL GRAN GIORNO DEI LEGUMI, L’ITALIA NE VADA FIERA

Il fondatore di Slow Food celebra la giornata mondiale dedicata all’alimento: “Nel nostro Paese non c’è zona che non abbia un suo legume rappresentativo

Carlo Petrini

I fedeli lettori di questa rubrica staranno sbuffando: ancora legumi. Sì parlo nuovamente di legumi e, non è una minaccia ma una promessa, ne parlerò ancora. Si tratta di un prodotto troppo importante per la nostra salute e per l’ambiente, fonte di economia anche per le zone marginali. Centralità riconosciuta dalla Fao che ha voluto dedicare una giornata, il 10 febbraio, ai legumi proprio per aumentare la consapevolezza dei loro benefici per la salute e per contribuire a sistemi alimentari sostenibili. Per fortuna sempre più cittadini si stanno indirizzando su questo alimento. I dati diffusi qualche giorno fa dalla Coldiretti, indicano una crescita dei consumi nel 2020 che si attesta attorno al 15% (valori che vanno dal +12% per i ceci al +28% per i fagioli). Un dato che si può leggere da diverse angolature: maggiore attenzione alla dieta personale e ricerca di cibi più salutari, più sensibilità ambientale e anche la necessità di avere in dispensa alimenti a di lunga durata e facili da conservare.

Vorrei, ora, focalizzarmi su due dei numerosi benefici dei legumi in tutte le loro innumerevoli espressioni utilizzando le parole della Fao: “I legumi sono una fonte di proteine a buon mercato […]. I legumi sono anche ricchi di nutrienti, fornendo quantità sostanziali di vitamine e minerali che sono importanti per una buona salute, contribuendo a una migliore nutrizione” e “I legumi possono essere fondamentali per aumentare la resilienza dei sistemi agricoli e fornire una vita migliore agli agricoltori in ambienti con scarsità d’acqua, poiché hanno una bassa impronta idrica e possono tollerare meglio la siccità e le emergenze climatiche rispetto ad altre colture alimentari. I legumi sono, quindi, uno strumento essenziale per affrontare il cambiamento climatico”. La prima non ha bisogno di molte spiegazioni, ormai tutti i dietologi riconosco il valore nutrizionale dei legumi e molti cuochi ne esaltano le virtù organolettiche riscoprendo vecchi piatti della nostra ricca tradizione gastronomica che li vede protagonisti da nord a sud, ma anche inserendoli in ricette rivisitare.

Veniamo al secondo aspetto. Senza scomodare stregoni o scienziati è dimostrato che i legumi hanno la capacità di fissare l’azoto atmosferico al terreno e migliorare il ricambio del fosforo, giocando così un ruolo fondamentale nel trasmettere in modo naturale nutrienti ai terreni. Vengono usati in agricoltura biologica anche come integratori di altre colture. Quindi suoli più fertili e minor chimica. In definitiva un ambiente migliore e falde meno inquinate. A proposito di acqua, i legumi hanno un’impronta idrica bassa. Un aspetto da non trascurare per una risorsa sempre più scarsa. Inoltre questa caratteristica permette agli agricoltori che vivono in zone con scarsità d’acqua, di trovare una fonte di reddito importante. Sicuramente i legumi sono una coltivazione che, rispetto ad altre, meglio sa adattarsi ai cambiamenti climatici, contribuendo non poco a mitigarli. Proprio per le sue capacità di resilienza vengono coltivati nella maggior parte dei Paesi del mondo. Sono sicuramente un prodotto in cui la biodiversità è esaltata al massimo. Un alimento che non si può declinare al singolare perché ci sono molte varietà di fagioli, ceci, lenticchie, piselli e così via.

L’italia di slow beans

Questa biodiversità è ben rappresentata in Italia dove non c’è zona che non abbia un suo legume rappresentativo (anche se secondo i dati istat i legumi di 3 piatti su 4 che consumiamo vengono dall’estero, perché, nonostante la crescita della domanda, diminuiscono gli ettari coltivati). E, girando l’Italia, mi riferiscono i coordinatori del progetto Slow Beans (una rete italiana di produttori, cuochi e attivisti che lavorano per difendere, valorizzare e diffondere la biodiversità leguminosa coltivata) che se ne scoprono sempre di nuove. Tipologie conservate casualmente in uno scantinato da anni e ripiantate dando vita a legumi che in quella determinata zona crescono in maniera perfetta, offrendo al consumatore un prodotto straordinario. I progetti di Slow Food per la difesa e tutela della biodiversità (Arca del Gusto e Presìdi) stanno seguendo, in tutto il mondo, oltre 320 tipologie diverse di legumi. A questi, per l’Europa, bisogna affiancare tutti quelli che si fregiano dell’appellativo di Dop e Igp e i numerosi che non rientrano i nessuna di queste categorie. Insomma non c’è che l’imbarazzo della scelta. Vorrei intraprendere con voi un piccolo (piccolo veramente) viaggio alla scoperta di qualche legume in angoli poco conosciuti di questa nostra Italia. Partirei dal Sud con i fagioli di Cortale, un piccolo paese immerso nel verde situato in provincia di Catanzaro, nella parte più stretta della Calabria, tra i due mari. Nella famosa “inchiesta Jacini”, svolta per conto del governo alla fine dell’Ottocento, il senatore Stefano Jacini scriveva: “Si coltivano, con risultato tale da permetterne l’esportazione nei paesi vicini, le patate ed una quantità di fagioli bianchi, chiamati volgarmente rognone, che sono di sapore squisito e di facile cottura”.

Ci spostiamo poco più a Sud ed entriamo nel magnifico parco delle Madonie, dove da due secoli negli orti di Polizzi Generosa si coltiva un fagiolo bicolore chiamato badda, palla in dialetto. Un fagiolo sapido, con note erbacee e perfino salmastre, che con la cottura acquisisce una giusta cremosità, senza sfaldarsi. Sempre in Sicilia, nelle campagne a nord di Caltanissetta, si alterna alla coltivazione del grano duro quello della lenticchia di Villalba (dal nome del comune dove è più diffusa). Di antica origine apprezzata per le sue dimensioni e per le qualità organolettiche (un elevato contenuto di ferro e proteine, un basso tenore in fosforo e potassio). Risaliamo la Penisola sino a Laverino, un paese di cento abitanti nelle Marche, sui monti al confine con l’Umbria. Qui troviamo un fagiolo dal sapore delicato e dalla buccia sottilissima, che consente una rapida cottura. Ci spostiamo di pochi chilometri, e raggiungiamo il versante umbro degli Appennini, dove a Civita di Cascia troviamo un legume interessante e poco conosciuto: la roveja. Simile a un pisello, non patisce climi rigidi e non ha bisogno di molta acqua, è molto proteico, in particolare se consumato secco, ha un altro contenuto di carboidrati, fosforo, potassio e pochissimi grassi. In Piemonte, nel canavese, in provincia di Torino, viene coltivato un altro legume: la piattella canavesana di Cortereggio (dal nome del piccolo borgo fondato dai romani vicino al torrente Orco). Tradizionalmente si seminava insieme al mais, così il fagiolo poteva avvitarsi attorno al fusto robusto della meliga. Al confine con l’Austria, nell’estremo nord del Friuli, a 1200 mt, sui prati attorno a Sauris si coltiva il “paon”, la fava di Sauris. Una leguminosa di grande versatilità in cucina che se tostata e macinata diventa un’ottima farina per fare pane o polenta (unita ai cereali). Questo breve tour è un vero e proprio assaggio della biodiversità legata ai legumi e un invito a scoprire angoli incantevoli della penisola.  Fonte: IL GUSTO, Carlo Petrini, 10.02.2022

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