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Lug 19 2022

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EDWARD MUKIIBI: “LA MIA SLOW FOOD GLOBALE, DA RICOSTRUIRE E RINNOVARE”

Il nuovo presidente del Movimento, che sostituisce il fondatore Carlo Petrini: cercheremo soluzioni globali per affrontare le sfide globali

Edward Mukiibi 

Edward Mukiibi è nato nel 1986 sulle sponde settentrionali del lago Vittoria, nell’Uganda centrale. Lo stesso anno in cui Carlo Petrini, in una osteria sulle colline di Langa, fondava l’Arcigola, poi diventata Slow Food. Ed è proprio da Petrini che Edie ha ricevuto il testimone di presidente del movimento, durante l’ottavo congresso internazionale di Slow Food andato in scena all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, davanti ai delegati dei 160 paesi in cui la chiocciola opera per garantire un cibo buono, pulito e giusto per tutti.

Carlo Petrini

Edie, il testimone è pesante: è pronto per questa avventura?

«Da quando è iniziata a delinearsi questa prospettiva, tutti quelli che incontravo mi facevano la stessa domanda: “Edie, sei pronto?”. È del tutto comprensibile, considerato il peso di un leader come Carlin. La mia risposta è al plurale: “Certo, lo siamo”. Ma la vera domanda è: “Voi lo siete?”. Siete pronti per questo cambiamento, per questa transizione? Io sono sicuro di sì, per il futuro di Slow Food e soprattutto per quello di tutti noi».

Quando ha incontrato per la prima volta il movimento?

«Sono stato invitato a partecipare per la prima volta a Terra Madre nel 2008, perché ero un agricoltore e aspirante agronomo impegnato nella mia comunità, a pochi chilometri dalla capitale Kampala. E’ stato in quell’occasione che ho ricevuto la mia prima tessera di Slow Food, firmata da Carlo Petrini. E’ stata una vera e propria esperienza di gioia, apprendimento, networking, ispirazione e rigenerazione che mi ha dato la forza di tornare a casa per fare di più e sviluppare una rete più ampia, efficace e forte, aderendo al movimento. Negli anni l’impegno è cresciuto e nel 2016 sono stato nominato vicepresidente di Slow Food».

Ci racconti qualcosa di lei.

«Ho 36 anni e sono nato e cresciuto a Kisoga, nel distretto di Mukono. Sono un agricoltore come i miei genitori. Sono anche un agronomo tropicale con una laurea in Agricoltura e gestione del territorio conseguita all’Università Makerere di Kampala e un Master in Gastronomia all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Sono un educatore alimentare e agricolo, sono anche consulente del Fondo per l’agroecologia e di Food Tank. Come studente di agraria ho avuto l’opportunità di lavorare a un progetto di promozione delle sementi di mais ibrido nel distretto di Kyankwanzi. La varietà di mais ibrido era considerata resistente alla siccità e, all’inizio del 2007, la siccità ha causato perdite agli agricoltori che l’avevano coltivata e che vi avevano destinato ampi appezzamenti di terreno, perché era meglio piantarla come monocoltura. Quando sono tornato nella comunità per incontrare gli agricoltori, ho potuto percepire la loro delusione, frustrazione e insicurezza. Questo mi ha fatto riflettere su quale sistema di produzione funziona davvero per le comunità africane. Ho iniziato a pensare di lavorare con gli agricoltori per ricostruire un sistema basato sulle risorse locali, sulle conoscenze e sui diversi sistemi agricoli tradizionali, e non sui semi ibridi e le monocolture».

Quali saranno le sue linee guida per Slow Food?

«Credo sia il momento giusto per ricostruire, rafforzare e rinnovare. La mia storia personale mi ha insegnato che ci sono molti contadini, artigiani e altri attivisti di umili origini, provenienti da comunità rurali, il cui lavoro quotidiano dà un significato pratico alla nostra filosofia, traducendo in realtà le idee di Slow Food. Trovare il modo di accogliere nelle strutture della nostra rete tutta questa diversità, entusiasmo e creatività, crea un ordito di conoscenze, competenze ed esperienze, preziose e diverse, che arricchiscono il nostro movimento globale a partire dai livelli locali. La Fondazione partecipativa, ovvero il nuovo statuto che abbiamo adottato dopo il congresso, dà alla nostra rete l’opportunità di rompere i confini sociali e geografici, di diventare più aperta e inclusiva».

Petrini insiste molto nel porre l’accento sul ruolo politico di Slow Food, sulla necessità di dare il proprio contributo da attivisti nella sfida della transizione energetica e di un’alimentazione sostenibile. Come ottenere questo risultato?

«Siamo un movimento di base, composto dai membri delle Condotte e delle Comunità di ogni angolo del mondo, ed è questo a darci la forza vitale per contrastare le abnormi carenze dell’attuale sistema alimentare, con le sue crisi e le sue ingiustizie. È importante dedicare maggiori sforzi e risorse al rafforzamento e alla crescita di questa rete di base interconnessa, attraverso la formazione e il supporto di nuovi leader e attivisti, l’apertura a comunità non ancora parte della nostra rete e la costruzione della nostra base con i membri delle Condotte. È fondamentale aprire le nostre porte, i nostri cuori e le nostre menti alla collaborazione con altri che stanno percorrendo il nostro stesso cammino, creando nuove alleanze anche sul fronte delle campagne da portare avanti. È arrivato il momento di uscire dalle nostre bolle sociali e geografiche per creare legami con chi condivide la nostra stessa visione di un sistema alimentare buono, pulito e giusto e con chi ogni giorno lavora per rigenerare il pianeta».

C’è molta attesa per la nuova edizione di Terra Madre e del Salone del Gusto che Torino ospiterà a settembre al Parco Dora. Che evento sarà?

«L’edizione di quest’anno di Terra Madre è speciale e arriva in un momento in cui il mondo intero è alla ricerca di risposte alle sfide incrociate che stiamo affrontando con il clima, i conflitti e la fame. Le Comunità Slow Food in arrivo a Torino questo settembre offrono azioni concrete nell’ambito delle soluzioni locali estremamente necessarie per superare le sfide globali. Ci ritroveremo a Torino per celebrare le azioni che rigenerano il pianeta e per condividere più idee ed esperienze su come accelerare queste azioni rigenerative di grande impatto in tutto il nostro movimento».

Ma torniamo alle origini del suo rapporto con i prodotti e con la cucina: qual è l’esperienza più memorabile che ha avuto con il cibo?

«Ho avuto tante esperienze legate al cibo a diversi livelli della catena, ma la mia esperienza più memorabile risale a quando avevo 10 anni e vivevo con mia madre e tre delle mie sorelle. Nostro padre era partito per altri studi e mia madre decise un giorno di insegnarmi a cucinare e di aiutarla qualche volta a preparare i pasti in famiglia insieme a mia sorella maggiore. Sapevo come coltivare le cose e nella mia società la cucina era principalmente appannaggio delle ragazze, ma ho sempre ammirato il modo in cui mia madre cucinava i diversi alimenti che avevamo dalla nostra fattoria. Mi ha insegnato a preparare diversi piatti a base di banane e a cucinare verdure sufficienti per tutta la famiglia. Quella è stata la prima volta che ho cucinato un pasto in famiglia e da lì è nata la mia passione per la cucina e l’amore per il cibo preparato localmente».   Fonte: la Repubblica, IL GUSTO, Roberto Fiori, 19.07.2022

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