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Ago 22 2023

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GIORNATA MONDIALE DEL PINOT NERO

IL PINOT NERO: PARADIGMA DELL’ORIGINE DELLA VITICOLTURA EUROPEA

Ci sono voluti quindi quasi 1.500 anni per arrivare alle tipologie di Pinot nero che vengono coltivate attualmente nei nostri vigneti  

Columella, nella sua opera “De Re Rustica” descrive un vitigno selezionato dai Celti di Allobrogia, a foglie rotondeggianti, che sopporta il freddo, il cui vino si conserva con l’invecchiamento e che ama i terreni magri per la sua elevata fertilità.

Non è difficile riconoscere nella descrizione del georgico latino e nei tratti morfologici del Pinot nero attuale, i molti caratteri comuni alle viti selvatiche ancora presenti nell’isola di Ketsch sul Reno.

Queste analogie non erano sfuggite agli ampelografi tedeschi dell’800, che avevano identificato in queste viti appese agli alberi, per la forma rotondeggiante della foglia, le ridotte dimensioni delle bacche e dei grappoli, i semi senza becco, gli ancestrali del Pinot nero. Ma era stato quel sapore particolare di lampone e di fragola del mosto, che lo fa avvicinare a quello di alcune viti americane, a suscitare interrogativi e dubbi. Questi sono stati chiariti solo recentemente attraverso l’analisi del DNA che ha individuato nel Pinot nero i geni che codificano per gli esteri antranilici, responsabili del sapore foxy, anche se nel Pinot sono sotto espressi e quindi la loro presenza è molto ridotta.

LE ORIGINI. Probabilmente la proto-coltivazione del Pinot può essere fatta risalire al III-IV secolo dopo Cristo, come appare da un documento di ringraziamento all’imperatore Costantino del 312, da parte degli abitanti della città di Autun, dove viene citato un vigneto famoso per la sua qualità, nel pagus Arebrignus, nella Cote de Nuits. Tralasciando la dotta dissertazione con la quale Gaston Roupnel nel 1932 descrive il paesaggio rurale della Borgogna durante la presenza romana, alcuni particolari delle modalità di coltivazione di quel vigneto ci aiutano a risalire alle varietà coltivate, che come era consuetudine allora, non venivano mai citate. Il termine cepage con il quale si nomina il vitigno in francese deriva da cep, ceppo, pianta, indicazione generica di una vite.

Il vigneto aveva caratteristiche molto diverse da quelle che conosciamo oggi. Dava l’impressione di essere abbandonato, tale era l’aspetto di una inestricabile vegetazione costituita da piante molto vecchie disposte senza alcun ordine e moltiplicate per propaggine. Non è difficile riconoscere in questa descrizione un esempio singolare di viticoltura detta “per protezione”, dove le viti selvatiche nate spontaneamente in luoghi selvaggi venivano sottoposte ai primi processi di domesticazione. Questa viticoltura caratterizzava il medio bacino del Reno, l’Alsazia ed il Baden, patria di origine di una famiglia varietale che Levadoux, famoso ampelografo francese della prima metà del ‘900, definiva dei “Noirien”.

Ma la storia della rinascita della viticoltura francese inizia circa cinquanta anni prima del documento di ringraziamento a Costantino, con la ricostruzione operata da Probo e con l’introduzione da parte delle sue legioni di nuovi vitigni da oriente, dalla Pannonia e dalla Croazia.

Questi vecchi vigneti semiabbandonati della Borgogna vengono allora rivitalizzati non con lo spianto delle vecchie viti, ma attraverso l’impianto di nuove talee di varietà chiamate genericamente a causa della loro origine, Heunisch (da Hunnisch, unni, dal nome degli abitanti di quelle regioni ad est della Pannonia).

In Francia l’Heunisch è chiamato Gouias ed in Svizzera Gwass, con la stessa fonetica sgradevole.

 GLI ORDINI MONASTICI. Alla caduta dell’Impero Romano segue un periodo di decadenza economica e politica e solo con il governo dei Franchi e di Carlo Magno, che assegna le terre coltivabili e da bonificare agli ordini monastici, benedettini e certosini in primis, si assiste al recupero dei vecchi vigneti ed alla creazione di nuovi con il materiale genetico che si era originato spontaneamente da seme.

In particolare, il convento di Beze nel VII secolo e quelli certosini nel XII hanno avuto un ruolo determinante nella creazione dei vigneti pionieri su suoli di diversa fertilità.

Questa accelerazione nei processi di selezione dei semenzali per opera degli ordini religiosi individua una popolazione di individui chiamati nei documenti del XII-XIII secolo con il nome generico di plant, che veniva aggettivato con il nome della sua provenienza geografica con “auvernat” o “orleanais”.

Più tardi anche con il nome di “Pineau”. Il termine plant fu usato sia in Borgogna che in Champagne fino alla ricostruzione postfillosserica e la distinzione tra le diverse tipologie varietale era fatta in base al colore dei tralci: Plant gris con grappoli piccoli a maturazione tardiva che davano un vino non di grande qualità e Plant dorè a foglie intere, di buona produzione ma che a causa della precocità di maturazione forniva vini migliori. L’opera dei monaci nella selezione e diffusione del nuovo vitigno nato per caso è quindi provvidenziale ed il Pinot nero, sebbene con altri nomi, vede finalmente la luce. La viticoltura episcopale ed ecclesiastica medioevale estende la coltivazione del Pinot nero al di fuori dei clos conventuali ed i Duchi di Borgogna, in particolare Filippo l’Ardito e Filippo il Buono tra il XIV e XV secolo lo proteggono dalla concorrenza “sleale “del Gamay.

IL XIV SECOLO. In questo secolo compare il termine di “Pynos” usato da E. Deschamps nella ballata della “Verdure des Vins” e poco tempo dopo in uno scritto borgognone si parla di Pinoz al plurale, per indicare la grande famiglia varietale. Da allora le citazioni si moltiplicano e Champagne e Borgogna si contendono il luogo di origine del vitigno.

L’OTTOCENTO. L’Ottocento con lo sviluppo degli studi ampelografici, mette in evidenza una caratteristica originale di questo vitigno: la sua grande variabilità intravarietale che consente di identificare e descrivere più di cinquanta tipologie di Pinots, differenti per la morfologia fogliare, per colore della bacca, del succo, della produttività, della precocità e per il nome del selezionatore.

Come in un libro di storia, dove fantasia e realtà si mescolano senza possibilità di essere distinte, con un salto di quasi duemila anni, si giunge ai nostri giorni e con l’apporto della genetica molecolare, attraverso l’analisi del DNA, si scoprono non solo le origini ma anche il contributo che il Pinot nero ha avuto nella creazione di altri vitigni europei. Infatti il Pinot nero è il risultato di un incrocio spontaneo tra il Traminer (noto in passato con il nome di Savagnin) ed un Pinot ancestrale. Il Pinot quindi, messo a contatto con queste varietà provenienti da oriente, ha dato origine allo Chardonnay e con lui altri quindici vitigni della regione borgognona tra quali i più importanti sono il Melon ed i Gamay.

Tracce genetiche di Pinot sono riscontrabili anche nello Syrah, nel Marzemino, nel Lagrein, nel Teroldego.

Per comprendere il ruolo che ha avuto il Pinot nella formazione di molti vitigni europei, molto interessante appare uno studio condotto nel 2004 in otto vigneti storici vicini al Heidelberg, in Germania, che presentavano viti dall’età variante tra 60 e 200 anni e che raccoglievano più di 60 varietà delle quali alcune molto rare.

Vicino a vitigni come l’Honigler ungherese, il Primitivo italiano, l’Elbling bleu (incrocio tra Schiava e Riesling) sono stati identificati molti vitigni senza un nome, tutti frutto di un incrocio con il Pinot.

Per la sua ampia diffusione sia in Francia che all’estero assume molte denominazioni come Morillon nei dintorni di Parigi, Burgunder e Clevner in Germania, Borgogna in Italia.

 IL PINOT NERO CHE CONOSCIAMO OGGI NON È PERÒ QUELLO DELLE ORIGINI. Le forme primitive, anteriori al X sec., erano poco produttive e venivano chiamate Noble de Touraine e Salvagnin noir del Jura (è evidente il richiamo alla tipologia morfologica del Traminer). Con lo sviluppo della viticoltura mercantile avvenuto verso il 1700, dopo la piccola glaciazione, vengono selezionate forme più produttive e con maggior ricchezza di colore chiamate Auvernal, Cortalloid (con il richiamo semantico allo Chardonnay).

Solo nel XVIII e XIX secolo in Borgogna prima ed in Champagne poi compaiono le tipologie che conosciamo oggi e che vengono classificate in vari gruppi alle soglie dell’arrivo della fillossera:

  • gruppo dei Pinots neri cosiddetti tipo
  • gruppo dei mutanti cromatici (grigio o Rulaender, bianco, tete de negre, teinturier, ecct)
  • gruppo delle selezioni fatte dai viticoltori (Liebault, Giboudot, de la Malle, Crepet, ect)
  • gruppo dei Pinots espressione di luoghi di selezione e coltivazione (d’Ervelon, Trepail, du Valais, Mariafeld, Waedensvil, ect)
  • gruppo dei Pinots dalla particolare caratteristica morfologica (cioutat, a limbe cotonneaux, cendre, double, meunier, ect)
  • gruppo dei Pinots precoci ottenuti da seme per autofecondazione.

In Champagne fino al secolo scorso il Pinot era chiamato Vert dorè o Plant dorè dal colore degli apici e dei germogli giovani.

Ci sono voluti quindi quasi 1.500 anni per arrivare alle tipologie di Pinot nero che vengono coltivate attualmente nei nostri vigneti. Come diceva J. Guyot riferendosi alla selezione del Pinot nero: “La religione del vitigno ha preceduto quella del cru.”

STORIA DEL PINOT NERO IN ITALIA

In Italia e nel Tirolo meridionale, l’Istituto Agrario di S. Michele lo introduce nei suoi vigneti nella seconda metà dell’800 ma malgrado la sua elevata capacità di accumulare zuccheri, non ha una grande diffusione presso i viticoltori, per la precocità di maturazione, troppo distante da quella delle altre varietà allora coltivate, ma soprattutto per la produttività incostante. Anche la sua vinificazione non era scevra da inconvenienti.

In Italia malgrado sia un vitigno più adatto alle regioni temperato-fresche, ha avuto una diffusione lungo tutta la Penisola fino alla Sicilia a partire dalla fine del 1800, in coincidenza della ricostruzione post fillosserica per la sua produttività e per l’elevato tenore zuccherino. La valutazione delle sue doti enologiche fu sempre molto sommaria perché di norma veniva vinificato assieme ad altre varietà ed a causa delle sue precocità di maturazione nelle regioni meridionali o comunque negli ambienti più caldi, maturava troppo velocemente e subiva l’assalto degli uccelli o quello del marciume grigio. Inoltre, la sua produttività appariva molto inferiore a quella dei vitigni italiani in un periodo dove prevaleva la cultura della produzione su quella della qualità.

Per questi motivi la sua diffusione nel nostro Paese subisce una drammatica contrazione tra le due Guerre e la sua coltivazione si attesta solo in Oltrepò pavese, in Trentino-Alto Adige e marginalmente in Friuli e Veneto orientale.

Degna di nota per l’eccellenza della qualità, è una piccola produzione nel pescarese, retaggio della presenza bonpartista nelle Marche.

L’Oltrepò pavese rappresenta oggi la zona italiana che presenta la maggiore superficie di Pinot nero, con circa 2.000 Ha, ma che lo vinifica soprattutto in bianco per la presa di spuma.

I tenori elevati di argilla accompagnati da buone presenze di calcare attivo e le quote altimetriche dei vigneti, sono alla base della produzione di vini-base con buona freschezza, pH bassi e profumi eleganti

Il clima temperato del Trentino –Alto Adige, simile in alcuni meso climi (esposizione ad Ovest, altitudini 300-400 mslm, presenza di brezze di monte che consentono buoni sbalzi termici tra giorno e notte, ect), a quello più continentale della Borgogna, consente una produzione di Pinot neri vinificati in rosso comparabile per complessità e finezza a quella francese. Purtroppo, mancano quei tenori di argilla che fanno di quei vini dei modelli irraggiungibili.   Fonte: Il Sommelier, Attilio Scienza, 18.08.2023

 “IL PINOT NERO E’ UN CAVALLO DI RAZZA CHE PUOI DOMARE MA MAI POSSEDERE”

Franz Haas Senior & Junior

Intervista a Maria Luisa, moglie e compagna di Franz Hass, progenitore di una viticultura di qualità in Alto Adige

Questa frase di Franz Hass sul Pinot Nero ci ha molto colpiti. Si tratta, infatti, di un vitigno fra i più nobili, sfidante sia in allevamento che in vinificazione, particolarmente sensibile alle caratteristiche delle zone di produzione. Ci ha colpito perché chi l’ha citata è sicuramente riuscito a domarlo, ma in una zona, in qualche modo, inaspettata.

Franz Haas, recentemente e improvvisamente scomparso, è sicuramente il progenitore di una viticoltura di qualità in Alto Adige,  legata per passione sua a questo difficile e magnifico vitigno: per scoprirne alcuni aspetti, ne abbiamo parlato in una recente intervista con la signora Maria Luisa, moglie e compagna in questa splendida avventura.

Una vita, quella di Franz Haas, dedicata al Pinot Nero;  “notti insonni per me ne fece poche, ma ne perse molte per questo difficile vitigno, un po’ come era lui” esordisce con tenerezza Maria Luisa.  Mai soddisfatto, mai contento, sempre alla ricerca del vino perfetto, soprattutto con il Pinot Nero, un vino con l’anima, come definito dal caro amico Francesco Arrigoni, pure lui mancato anni fa”.
Galeotta fu una bottiglia di Romanée-Conti assaggiata da Franz Haas che divenne misura di riferimento, elemento di quella continua insoddisfazione che ha contraddistinto il suo percorso nel confrontarsi poi con questo vitigno.

 Aveva un grande rispetto Franz Haas per questo vitigno nobile che trattava con grande attenzione, approfondendo e studiando il passato, in primis le esperienze dei grandi produttori di Borgogna, ma anche guardando al futuro con mente innovativa. Al suo rientro in azienda negli anni ’80 iniziò subito a portare dei cambiamenti, togliendo le vigne a pergola sostituendole con impianti a guyot per ricercare la massima qualità per il Pinot Nero.  Tra il 1999 e il 2000, anche percependo le prime avvisaglie dei cambiamenti climatici, e per necessità aziendali di acquisire più uve la scelta audace di giocare altre possibilità su campi coltivati fino ad allora a foraggio, a 1150 metri di altitudine (i vigneti più alti dell’Alto Adige), molto soleggiati di giorno e con escursioni termiche notturne importanti, ideali quindi per impianti di Pinot Nero.

“Il figlio ancora più matto del padre, dicevano di Franz“ci racconta ancora Maria Luisa. Un altro impegno importante fu quello per il riconoscimento della DOC Alto Adige per quanto riguardava l’alta quota, un percorso irto di difficoltà burocratiche con la Provincia, e poi, più recentemente, la scelta del tappo a vite, un vero “giro di vite” con un lungo studio e ricerche iniziate nel 1996 che portarono alla scelta di adottare questa modalità di chiusura

Maria Luisa ci racconta un aneddoto risalente al 2015,  quando in famiglia con la compagnia di qualche appassionato maniacale di questo indomabile vitigno,  si assaggiarono alla cieca alcune bottiglie di diversi Pinot Nero, fra cui una magnum di Franz Haas Schweizer del 1995: “ne ricordo ancora l’eleganza, il profumo del sottobosco con i suoi piccoli frutti; Franz all’assaggio disse che se fosse stato altoatesino avremmo capito come farlo; quando furono scoperte  le bottiglie, la commozione fu evidente. Ho ancora il ricordo netto di quel vino, per me uno dei migliori assaggiati fin’ ora, aveva vent’anni di vita, ma dalla vivacità del colore e dall’intensità del profumo e del gusto, potevi dargliene sei, sette al massimo”.

Molte furono nel tempo le prove di coltivazione di nuovi cloni, di vinificazione, di affinamento, sul sito ufficiale si dice che sono 592 i Pinot Neri vinificati: una ricerca quasi maniacale di perfezione che si legava al suo rispetto per il territorio, lavorando i vigneti in modo naturale, solo con sostanze organiche per preservare quello che la natura offriva.

Chiediamo a Maria Luisa quale sia stata la lezione, l’insegnamento che Franz Haas ha lasciato a chi porta avanti la sua opera: “Sicuramente la continua volontà di ricerca, l’onestà nella bottiglia, il rispetto del territorio e il rispecchiarne il vitigno stesso. Fu un grande ricercatore, sensibile, come dimostra anche il progetto “Vino e salute”.

Chiudiamo questo ricordo curiosi di conoscere i progetti per il futuro della Franz Haas. “Continueremo Wine ID, il progetto interdisciplinare di ricerca in collaborazione con l’Università di Bolzano sulla “carta di identità del vino” dedicato al Pinot Nero, con l’obiettivo di prevenire la contraffazione e di monitorare qualità e autenticità dei prodotti. Così come il progetto sullo sviluppo di nuove vigne in altitudine, sopra Rovereto dai 750 metri in su: ma la scomparsa di Franz è ancora troppo recente, abbiamo bisogno di ricostruire i pezzi di un grande puzzle per valorizzare e portare avanti il suo lavoro con la stessa squadra che assieme negli anni abbiamo costruito”.   Fonte: Il Somellier, Patrizia Loiola 18/08/2023

PINOT NOIR: L’ANIMA LIQUIDA DELLA BORGOGNA

Chambertin

Esiste una zona del pianeta in cui dà origine ai rossi “più stupefacenti del mondo”, come li definisce Armando Castagno, massimo esperto della materia. Si trova in Borgogna, nella Cote d’Or, meglio ancora, nella Cote de Nuits.

Misterioso, eclettico, sublime, capriccioso. Questi sono solo alcuni degli aggettivi che vengono accostati al pinot noir, vitigno diffuso in tutto il pianeta, sogno proibito o bestia nera di produttori e appassionati.

Non perdona, il pinot noir.

In climi caldi tende a sovramaturare, perdendo così anche la più piccola particella di eleganza. Diventa una creatura alcolica, svilita nei profumi, che passano dalle note di frutta e spezie dolci tanto desiderate, a quelle dell’interno di un pollaio, ovviamente orribili e non ricercate.

In climi troppo freddi si annacqua, diventa vegetale, gracile, inconsistente.

Esiste una zona del pianeta in cui dà origine ai rossi “più stupefacenti del mondo”, come li definisce Armando Castagno, massimo esperto della materia. Si trova in Borgogna, nella Cote d’Or, meglio ancora, nella Cote de Nuits.

Sul come il pinot noir sia arrivato in Borgogna, è ormai opinione comune che sia merito della mania di espansione dei Romani. Prima i Galli invasori portarono a casa qualche pianta di vite, ma è dopo che le legioni di Cesare espugnarono Alesia, che il vino si sostituì alla birra, tipica bevanda della terra dei Celti.

I secoli che seguono sono ricordati come l’epoca delle abbazie e dei monaci, periodo fondamentale per la formazione dell’odierna viticoltura borgognona. Risale al 640 d.C. la donazione all’Abbazia di Bèze, e la successiva recinzione, del primo clos (vigneto recintato), il Clos de Bèze, un appezzamento di vigneti nella zona di Gevrey, già noti per il loro pregio.

Ne seguiranno molte altre, con la convinzione, peraltro giustificata, che la qualità del vino dipenda più che altrove dal singolo pezzo di vigna.

Nel 1395 il pinot noir cominciò a manifestare la supremazia sul più rustico gamay, che ne subì le conseguenze sotto forma di espianti e confino nella zona di Digione. Il mercato del gamay restò quello locale mentre al nobile pinot saranno riservati il mercato di lusso e le corti straniere.

Attraversa così i secoli questo vitigno aristocratico, tra Rivoluzione Francese e fillossera, sempre consolidando il legame con il territorio, il protagonismo del terroir e del climat, che trascende la proprietà, il marchio e il vitigno stesso.

Non si può capire il pinot noir in Borgogna senza capire il concetto di climat, parola difficile da tradurre in italiano.

Climat designa uno speciale appezzamento di vigne conosciuto da secoli con lo stesso nome. A esso si associano una storia, un’umanità, particolari qualità nel vino, che la caratterizzano da sempre. È un concetto in cui si fondono elementi naturali, climatici e umani, come il terroir, ma con una storia ancora più specifica. Attualmente i climats della Cote d’Or sono 1247, alcuni mitici, e tutti Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Ma torniamo al pinot noir. All’inizio di questo racconto ho dichiarato che il suo luogo di elezione è la Cote de Nuits, quella fascia di terre antichissime che da nord a sud si estende per 20 km da Digione a Beaune, con al centro Nuit-Saint-Georges. È orientata a est e non supera mai gli 800 metri di larghezza, per un totale di 1500 ettari vitati. Alcuni climats sono diventati oggetto di culto nel mondo vinicolo… e alcune bottiglie oggetto d’investimento.

Come mai? Come sono i migliori pinot noir della Cote de Nuits?

Hanno colore leggero e scintillante, profili olfattivi che vanno dalle note fruttate e agrumate, a quelle balsamiche, di mentuccia e incenso. Hanno grande potenzialità d’invecchiamento e si ritiene che la china evolutiva sia in procinto di scendere quando cominciano i sentori di terriccio, funghi, muschi. La loro grandezza si trova nel sorso: intenso e di facile beva allo stesso tempo, con tannini appuntiti ma mai ruvidi, grande intensità salina e snellezza del centro bocca.

Ma la grande forza del pinot noir di Borgogna è quella di saper leggere e trasmettere il terreno da cui deriva. Tanto che il pinot noir non deve essere riconosciuto come pinot noir, ma come espressione del climat di provenienza. Esiste persino un verbo, pinoter, che è un dispregiativo per definire i vini che sanno di pinot noir…

Da ciò possiamo capire facilmente che il pregio dei migliori pinot noir di Borgogna è la trasparenza espressiva che esalta il terroir.

IL SISTEMA DELLE APPELLATIONS

Prima di parlare delle appellations della Cote de Nuits, da cui derivano i più famosi e significativi vini da pinot noir della categoria, è doverosa una breve parentesi sulla classificazione.

Si precisa che il pinot noir è prodotto con grandi risultati anche nella sottostante Cote de Beaune, nonostante le vigne a sud di Beaune siano più vocate e più usate per donare grandissimi vini bianchi da uve chardonnay.

Il pinot noir di Borgogna può avere le seguenti menzioni in etichetta:

  • Bourgogne: appellation régionale, che contiene in realtà 23 denominazioni. Sono i vini base, a volte compare il vitigno in etichetta, ma non per questo vanno trascurati: capita di trovare buone bottiglie a prezzi competitivi. Una curiosità è data da un vino radicato nella tradizione contadina, il Bourgogne passetoutgrain (letteralmente significa “passi ogni acino”), in cui è concesso anche l’uso del gamay.
  • Villages: salendo di un gradino si trovano le 44 appellations Villages, che definiscono una provenienza delle uve più circostanziata, nel comune della denominazione, e rappresentano circa 1/3 del vino prodotto.
  • Premier Cru: si sale di un gradino pur restando dentro nell’appellation comunale e ci si riferisce a 640 climats, che danno circa il 10% del vino prodotto.
  • Grand Cru: sono denominazioni a sé stanti. 33 appellations in cui in etichetta compare solo il climat di provenienza e rappresentano l’1,4% della produzione. Tra di essi ci sono i nomi di vigneti leggendari.

LE APPELLATIONS DELLA COTE DE NUITS

Da nord a sud, ecco un vademecum delle zone del pinot noir in Cote de Nuits:

  • Marsannay: è l’unica denominazione in cui ancora non sono presenti dei Premier Cru anche se alcune parcelle sono in fase di studio. I rossi di Marsannay si possono classificare come i più profumati e agili, sostenuti da croccante freschezza acida.
  • Fixin: denominazione in via di scoperta, al momento non del tutto sfruttata e valorizzata. I terreni sono profondi e ricchi di scheletro come a Gevrey, i vini sono considerati i “cugini rustici” dello Gevrey-Chambertin. Tannini profondi e molta attitudine all’invecchiamento. Ci sono sei climats classificati Premier Cru.
  • Gevrey-Chambertin: appellation grande, quasi 450 ettari, e di origini antichissime, i cui terreni sono plasmati da cinque gole (combes) che hanno portato detriti, sassi e acqua. Terra di rossi profondi e carichi di energia, annovera ben 9 Grand Crus tra le sue vigne. La vigna più prestigiosa, lo Chambertin, dal 1847 fa parte della toponomastica del comune!
  • Morey-Saint-Denis: denominazione piccola, famosa per la presenza di 4 Grand Crus particolarmente famosi, e con caratteristiche tradotte nel calice parecchio diverse tra loro. Anche qui la vigna di Saint-Denis è accostata al nome del comune.
  • Chambolle-Musigny: terra di vini sottili e minerali, data la scarsa presenza di argilla a tutto vantaggio delle rocce calcaree. Due Grand Crus e 24 Premier Crus che donano finezza e sensualità al pinot noir. Musigny è considerato il vigneto più desiderato dai produttori (e il suo nome fa parte del comune).
  • Vougeot: caratterizzato dalla presenza del Clos de Vougeot, Grand Cru ampio 50 ettari. Le sue caratteristiche sono eterogenee, le vigne in alto danno vini che ricordano la finezza delle zone circostanti. Scendendo, i terreni si fanno più argillosi e i vini più vigorosi e meno eleganti, senza che questa caratteristica di minor pregio abbia ripercussioni sul prezzo degli stessi…
  • Vosne Romanée: fascia centrale con 8 Grand Crus, che presenta terreni poco profondi ma diversificati per composizione (argille, calcare, marne, fossili), che creano le condizioni ideali per dare complessità ed eleganza al pinot noir. I vini hanno finezza e trama tannica complessa, equilibrio e intensità, longevità e prezzi che li rendono destinati a pochi. Sono tra i rossi più famosi e contesi del mondo.
  • Nuit-Saint-Georges: denominazione a sud della Cote de Nuits, non rivendica Grand Cru al suo interno e dà rossi solidi e vigorosi, austeri e scuri, divenuti celebri nel mondo per queste caratteristiche.

I CLIMATS MITICI

Sogniamo un po’. Cinque fra i vigneti di pinot noir più celebrati del mondo.

  • Chambertin-Clos de Béze (15,40 ha): esiste dall’anno 630 d.C. e da allora ha mantenuto intatti i suoi confini. Di questo vigneto è stato scritto che “sta al vino come la Bentley sta all’automobile” (Patrick Essa). Rispecchia il carattere forte di Gevrey ma accosta una delicatezza che proviene dall’apertura perfetta verso est, dall’essere in mezzo a due combes, dalla ventilazione ottimale. 
  • Clos de Tart (7,53 ha): ha questo nome da 900 anni, da quando le Suore Bernardine lo ricevettero in dono e lo “battezzarono”. Siamo nella zona più a sud di Morey-Saint-Denis, dà il vino più profondo della Cote de Nuits ed è vinificato en monopole dall’omonima azienda.
  • Musigny (10,85 ha): è il vigneto più desiderato dai produttori della Borgogna, secondo la risposta che hanno fornito alla domanda “se poteste scegliere una parcella da ricevere in regalo, dove la vorreste?”. Qui il pinot noir ha assoluta eleganza, con sentori di violetta, arancia sanguinella ed erbe balsamiche. Banditi i profumi tostati e animali.
  • La Tache (6,06 ha): vigna mitica, monopolio del Domaine de la Romanée-Conti, in cui si producono dalle 15.000 alle 20.000 bottiglie all’anno. Già nel 1800 La Tache era definito il vino più completo di Borgogna e anche ora presenta un bouquet sontuoso e orientaleggiante, mitigato dal sorso armonioso e vellutato.
  • Romanée-Conti (1,81): definito la perla della Borgogna, è monopole del Domaine che da esso ha preso il nome. Nasce qui il pinot noir più costoso del mondo. Affido alle parole di chi ha avuto il privilegio di incontrare questo vino la riflessione su di esso. “Romanée-Conti è un souvenir lasciato dagli dèi su questo quadrato di terra: la meravigliosa traccia di una perfezione senza tempo”. (Richard Olney)  

Fonte: Il Sommelier, Silvia Parcianello 18/08/2023

 “IL PINOT NERO IN OLTREPÒ PAVESE: IL SUD DEL NORD”

La storia del Pinot nero in Oltrepò secondo alcuni ampelografi risalirebbe addirittura all’epoca dei Romani portato in zona dal sud della Francia.

In realtà è solo nella seconda metà del XIX secolo che si assiste verosimilmente all’approdo del vitigno in questa zona così come in tutta la penisola e in Sicilia. In Italia al di fuori dell’Oltrepò la coltivazione del Pinot nero viene sostanzialmente abbandonata quasi subito: utilizzata come uva da taglio con le uve autoctone, la sua maturazione precoce, i danni provocati dagli animali e l’essere un vitigno, sì poliedrico, ma anche difficile e caparbio, scoraggiano la gran parte dei produttori.

E’ invece, come in altre zone come il Trentino, l’Alto Adige e la Franciacorta che in Oltrepò che trova il suo habitat ottimale. Ricordiamoci che ci troviamo sul 45° parallelo, il “Parallelo del vino” lo stesso che attraversa l’Oregon, Bordeaux e il Piemonte ed è di fatto la terza zona al mondo per questa varietà dopo Champagne (13000 ettari) e Borgogna (11000 ettari). Attualmente il territorio vanta circa 3000 ettari vitati a Pinot nero sugli oltre 13000 complessivi.

Dal punto di vista pedoclimatico, non a caso questo territorio è chiamato “il Sud del Nord”: siamo nella parte più meridionale della Lombardia. Siamo nell’ambiente ideale per la coltivazione di questo vitigno: colline con suoli argillosi e umidi, la presenza di fiumi e grandi sbalzi di temperature soprattutto nei mesi più caldi dell’anno.

Il Pinot nero è declinato in tutte le versioni possibili: Metodo Classico, Metodo Classico Rosé e il Cruasé. E la declinazione in rosso. E’ indubbio che risulta molto più avvincente quando diventa base per spumanti. Più distante e disomogeneo invece il risultato della vinificazione in rosso.

In Oltrepò il Metodo Classico non supera le 600mila bottiglie, contro i 18 milioni del Franciacorta e i 9 del Trentodoc. La produzione di Champagne, lo ricordiamo, si aggira intorno ai 330 milioni di bottiglie annue. Una piccola produzione quindi ma di tutto rispetto dal punto di vista qualitativo. I metodi classici prodotti sono sempre più raffinati ed eleganti.

La spumantistica in Oltrepò. La vocazione di questo territorio per la spumantistica risale alla metà del 1800. È proprio a Rocca de’ Giorgi, infatti, nel 1865, che per opera del Conte Carlo Giorgi di Vistarino vengono effettuati i primi impianti e pochi anni dopo, insieme a Carlo Gancia, iniziano ad essere elaborati e commercializzati i primi “Champagne italiani”.

Sulla scia di questo progetto, l’Ing Domenico Mazza di Codevilla raggiunge ottimi risultati dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo tanto che una delle sue bottiglie vincerà il Primo premio all’Esposizione Nazionale di Milano del 1894. Nel 1907 nasce la Società Vinicola Italiana di Casteggio (SVIC) e tra gli anni ’30 e’50 vengono fondate la Cantina Sociale La Versa e l’azienda Malpaga.

Nel 1970 nasce la DOC Oltrepò Pavese ed inizia una nuova era per la spumantistica locale. L’anno successivo nasce il Consorzio Volontario dei vini DOC dell’Oltrepò pavese che nel 2007 acquisisce la DOCG. Negli ultimi dieci anni sono stati condotti profondi studi sul territorio della Docg soprattutto in termini di zonazione.

Alto e basso Oltrepò. Una prima distinzione è tra basso e alto Oltrepò; il Pinot Nero per i rossi è protagonista nella prima fascia, tra i 150-250 metri; salendo troviamo i terreni ideali per le basi spumante.  Le differenti vocazionalità territoriali prevedono proprio una distinzione tra aree adatte alla vinificazione a base spumante e zona più idonee alla vinificazione in rosso per la varietà Pino nero. Le aree più indicate per le basi spumanti (UT1, UT2 e UT5) sono caratterizzate da aree alte e fresche, più piovose, con maggiori sbalzi termici e suoli con tessitura fine. Le altezze si sviluppano tra i 200 e i 500 metri sul livello del mare, le pendenze zono moderate e le esposizioni sono est/ovest. A queste unità si sovrappongono zone a duplice altitudine (UT2) più calde e assolate e versanti orientati a sud/ovest. Le unità UT4 e UT6 sono invece quelle più vocate per la vinificazione in rosso: suoli con una tessitura più sciolta e meno fertile, con capacità di allentamento delle acque in eccesso. Le altitudini sono comprese tra i 100 e i 300 mt, i versanti esposti a sud/ovest e con pendenze che si fanno più sostenute.

La storia del Pinot nero in Oltrepò è ancora in evoluzione: un territorio variegato che insieme ad un vitigno così particolare ha trovato un connubio perfetto. E del resto produrre un Pinot nero eccellente è il sogno di molti enologi: come diceva Miles nel famoso film Sideways: “Al Pinot Nero servono cure e attenzioni…e solo il più paziente e amorevole dei coltivatori può farcela, è così. Solo chi si prende davvero il tempo di comprendere il potenziale del Pinot sa farlo rendere al massimo della sua espressione. E inoltre, andiamo… oh, i suoi aromi sono i più ammalianti e brillanti, eccitanti e sottili e antichi del nostro pianeta”. Come non essere d’accordo con lui?   Fonte: Il Sommelier, Remo De Fabritiis 18/08/2023

 

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