«

»

Lug 27 2023

Print this Articolo

TAPPO A VITE: ECCO PERCHÉ MOLTI LO PREFERISCONO AL SUGHERO

Nel mondo del vino la chiusura in alluminio sta crescendo: in Italia rappresenta il 20-25%, frenata dai pregiudizi. Ma molti viticoltori lo prediligono e lo usano anche per i rossi. Il colosso italiano della produzione Guala Closures: “Sostenibile ed efficace, è il tappo del futuro”

Walter Massa

COURMAYEUR. Il sorpasso non è ancora avvenuto. E molto probabilmente ci vorrà ancora un po’ di tempo. Ma il tappo a vite ha premuto il piede sull’acceleratore, lanciando la sfida al più tradizionale tappo di sughero. A livello globale, il mercato dei tappi per il vino conta 30 miliardi di chiusure: di queste, il 37% è rappresentato dai tappi a vite in alluminio, che oggi, rispetto al 2015, sono cresciuti del +9%. Quelli di sughero sono il 54% del totale, ma nello stesso arco temporale sono scesi del – 7% (dati Euromonitor). Un segnale che sta ad indicare come, a dispetto del pregiudizio che molti ancora manifestano verso il tappo a vite, considerato dai più critici poco elegante e non adatto ai grandi vini, la scalata ormai è in atto. Nel nostro Paese permangono forti resistenze. Ma da qualche anno, anche in Italia si sta diffondendo una consapevolezza sempre maggiore degli aspetti positivi del tappo a vite: si sta infatti parlando di una chiusura sostenibile, che ha tutte le carte in regola per conservare, proteggere e far evolvere il vino. È stato dimostrato scientificamente in uno studio, portato avanti a partire dal 1999 dall’ AWRI, Istituto di ricerca specializzato nel vino australiano, in cui è stata analizzata l’evoluzione di un vino sigillato con 14 tipi di chiusure: 2 sugheri, 2 tecnici, 9 sintetici e un tappo a vite. L’esperimento, già dopo circa tre anni, ha portato alla luce forti correlazioni positive tra la quantità di anidride solforosa trattenuta nel vino (indice di una chiusura efficace), la freschezza dei caratteri del frutto e l’assenza di imbrunimento. E in questo senso, il tappo a vite ha dimostrato prestazioni superiori alle altre chiusure, proprio riguardo ai tre parametri (ritenzione di SO2, frutto fragrante e mantenimento del colore chiaro).

 

I tappi a vite in Italia rappresentano il 20-25% delle chiusure totali nel mondo del vino 

Il tappo a vite in Italia

Ma se nel mondo 4 tappi su dieci ad oggi sono a vite, com’è la situazione nel nostro Paese? Inutile negare che nella tradizionalista e romantica Italia le resistenze verso la chiusura di alluminio sono ancora molte, sia da parte dei produttori sia da parte dei consumatori. Se negli Usa, in Sudafrica (e ancora di più in Australia) il tappo a vite per il vino rappresenta il 60% e oltre, nel nostro Paese la percentuale arriva al 20-25%. La maggioranza delle bottiglie in Italia vengono chiuse col sughero, il resto è rappresentato da altri tipi di chiusure (sono il 9% al livello globale) come il tappo in silicone e quello in sughero sintetico. Innegabile appare il fascino ieratico che avvolge il rito della stappatura, momento “patinato” in cui il sommelier sale sul palcoscenico dei tannini e apre il sipario su quel cerimoniale “slow” in cui a vite c’è solo il cavatappi che penetra senza fretta nel sughero morbido ed evocativo, prima dell’atteso finale, quando il tappo viene annusato per verificarne l’integrità e quindi la qualità del vino. Ma proprio questo finale non sempre corrisponde all’happy ending hollywoodiano: il sentore di tappo (dovuto alla presenza nel sughero di una sostanza detta TCA o tricloroanisolo, il cui odore ricorda quello della muffa) coinvolge ancora una percentuale significativa di bottiglie, si stima una media del 5-7% (anche se la tecnologia ha fatto grandi passi in avanti per contrastare questo difetto). E i fautori del tappo a vite mettono anche in evidenza l’aspetto ambientale: per realizzare tappi di sughero bisogna attingere dagli alberi e non sempre questa procedura è del tutto sostenibile, nonostante gli sforzi dei produttori di limitare il più possibile l’ingerenza sulle piante. Detto questo, si arriva all’aspetto tecnico: se infatti il tappo di alluminio difficilmente può competere con quello di sughero sotto il piano del fascino, se la cava più che bene dal punto di vista  della prestazione. La sua neutralità lo rende affidabile sotto il profilo della conservazione della qualità del vino e, grazie alla tecnologia, è stato ormai superato anche quello che fino a qualche anno fa sembrava il vero limite del tappo a vite, cioè il tema dell’evoluzione del vino. All’interno della chiusura, infatti, fra la bottiglia e l’alluminio, ci sono delle membrane, i cosiddetti liner, che permettono la micro-ossigenazione del vino. Che può essere modulata a seconda delle esigenze del contenuto. Caratteristiche e garanzie che stanno convincendo sempre più produttori ad adottare il tappo a vite, che peraltro è anche più economico. Uno dei più convinti sostenitori è il piemontese Walter Massa, principe del Timorasso, sperimentatore di questo tipo di chiusura dal 2010, e trascinatore, tanto da aver dato vita a un’associazione che ha preso, non a caso, il nome di “Svitati”, che riunisce viticoltori (con Massa, Franz Hass, Graziano Pra, Jermann e Pojer e Sandri) che hanno messo da parte il sughero. Per il momento, il tappo d’alluminio è utilizzato per lo più con i vini bianchi. Ma qualcosa si sta muovendo anche nel mondo dei rossi.

Un colosso dei tappi nel cuore dell’Italia

Merito anche e soprattutto di chi i tappi li produce, aziende come AmcorFederfin techAstroGuala Closures. Quest’ultimo, vero colosso del settore, è stato fondato nel 1954 ad Alessandria: 31 stabilimenti in giro per il mondo, 5mila dipendenti, 880 milioni di fatturato, per un totale di 18 miliardi di chiusure prodotte all’anno. Più di 300 modelli, che coprono tutti i mercati e oltre 310 brevetti registrati. “Una realtà internazionale che vuole raccontare ciò che è nel territorio e promuoverlo attraverso i tappi”, come ha spiegato il direttore generale Italia, Emanuele Sansone, in un evento organizzato ad hoc in cima al Monte Bianco, in Valle d’Aosta, in cui si sono riuniti alcuni produttori che sostengono la nuova sfida. “In 14 dei 31 stabilimenti del Gruppo, produciamo chiusure a vite per il mercato del vino, decorate con una gamma infinita di possibilità – spiega Federico Donato, responsabile del business development nel settore vino a livello mondiale di Guala Closures – L’anno scorso abbiamo prodotto 2,5 miliardi di chiusure per il vino. Ne abbiamo oltre 10 tipi, tutti riciclabili al 100%, venduti in più di cento Paesi. Siamo molto attenti alla sostenibilità economica, ambientale e sociale: in Messico e India abbiamo lanciato progetti di forestazione. E in generale, va detto che l’85% dell’alluminio oggi in commercio è riciclato”. Chiusure tecnologiche ch offrono servizi personalizzati: “Sono connesse, leggibili col cellulare e contengono informazioni su produttore, abbinamento, come e dove fare acquisti e così via”, aggiunge Donato.

Da sin., il wine expert Daniele Lucca, i viticoltori Roberto Crosio, Daniela Poggio, Luca Rostagno e Walter Massa sul Monte Bianco all’evento Svitando Svettando organizzato da Guala Closures 

I viticoltori: costa meno ed è sostenibile, ma ci sono ancora pregiudizi

La chiusura col tappo a vite è un atto di coraggio che guarda al futuro e tutela”, sottolinea Sansone. E con lui concordano quei produttori vitivinicoli che hanno fatto questa scelta. Alcuni da anni, come Franz Haas e Jermann, che li sperimentano da trent’anni, o come Walter Massa, che ci investe dal 2010, ma che ci aveva pensato già da fine anni ‘90. Viticoltori che testimoniano non solo sull’aspetto ecologico ed economico, ma anche sulla possibilità di evoluzione del vino. Il primo passo è superare lo scetticismo: “Lavoriamo con il tappo a vite dal 2015 con il Soave Classico, siamo arrivati a questo tipo di chiusura perché abbiamo avuto problemi con altri modelli di tappo  – dice Diego Corradi, export manager dell’azienda agricola Graziano Pra in Veneto –  Per noi l’export rappresenta l’85-87% sulle 400mila bottiglie totali della produzione, lavoriamo in una cinquantina di mercati, e anche per questo abbiamo optato per il tappo a vite, che ora è impiegato per la quasi totalità di produzione del Soave. Oggi proponiamo verticali di Soave e troviamo molte meno resistenze”.

Tra i pionieri del tappo a vite in Italia c’è la Pojer e Sandri di Faedo (Trento), nata negli anni ’60, oggi nell’associazione Gli Svitati con Walter Massa. A testimoniare la funzionalità del tappo di alluminio è il giovane Matteo Pojer: “La svolta per me c’è stata nel 2019, quando sono tornato dagli studi di enologia in Germania: lì nessun Riesling era chiuso col sughero, idem per il Pinot Nero. Ho portato il mio progetto a mio padre e da lì siamo partiti. L’Italia rappresenta il 70% del nostro mercato, è ancora difficile scardinare la nomea che questo tappo si porta dietro. Ma qualcosa sta cambiando e noi ogni anno portiamo a casa una nuova referenza chiusa con tappo a vite, siamo arrivati a oltre il 70%”. È più facile proporlo alle nuove  o alle vecchie generazioni? “In generale,  con gli enologi si fa meno fatica – risponde Pojer – Chi ha una formazione tecnica lo capisce, non ci sono prese di posizioni forti”.

Non è facile proporre cambiamenti, soprattutto se si gestisce un’azienda giovane. Ma i viticoltori sono noti per la resilienza. Ne è un esempio Francesca Poggio, produttrice nel Gavi, vicepresidente delle Donne del Vino: “Ho una piccola azienda, nata con me 20 anni fa, frutto di sacrificio, volontà e tanta passione. Ho sempre creduto nel tappo a vite perché sono una persona pratica: nel nostro lavoro è importante andare avanti, far capire che, anche se facciamo un mestiere atavico, sappiamo essere all’avanguardia”.

Ma fra le due chiusure, cosa cambia nel sapore? Sottolinea questo aspetto Luca Rostagno, enologo dell’azienda Matteo Correggia di Canale d’Alba (Cuneo): “Questa chiusura esalta la freschezza, la salinità, la dinamicità, l’anima del Roero. La sperimento dal 2009 e non torno indietro: oggi siamo al 100% tappo a vite in azienda”. E c’è chi ci tiene a sfatare anche un altro pregiudizio, quello che i tappi di alluminio siano usati solo da grandi aziende per grandi quantità di bottiglie. Roberto Crosio ha una piccola cantina familiare gioiello, in un territorio circoscritto, dove “non è facile innovare”, quello di Caluso dove si produce Erbaluce. “Venti anni fa i miei mi hanno regalato una vigna – racconta il produttore – Ho iniziato nel 2000, poi nel 2012 sono andato in Australia. Lì ho lavorato in una piccola realtà, dove facevano solo vini chiusi con tappo a vite: ebbene, sono tornato a casa entusiasta di quest’esperienza. E se avessi avuto ancora qualche dubbio, mi è passato quando, due anni fa, sono stato a una degustazione in cui ho provato un Matteo Correggia chiuso con tappo a vite. A quel punto mi sono innamorato definitivamente di questa chiusura. Così ho iniziato l’avventura. All’inizio non è stato facile: le mie bottiglie con tappo di alluminio le vendevo tutte in Norvegia, le poche che lasciavo in Italia non riuscivo a cederle. Allora ho capito che dovevo cambiare approccio, chiudere col tappo a vite l’etichetta più pregiata e puntarci al massimo: è stato allora che ho cambiato il nome del cru da Prima Vigna a Prima Vite”.  

A sottolineare gli aspetti positivi del tappo a vite rispetto al sughero, dal punto di vista tecnico e ambientale, è lo stesso Walter Massa. La premessa è che nel vino la presenza di anidride solforosa è importante perché ha funzione antiossidante e antisettica. “Noi col tappo a vite possiamo usare meno solforosa di quella che serve col tappo di sughero. Nei Vigneti Massa, con il tappo sughero dal 2005 vado in bottiglia con meno di 50 milligrammi al litro (sui 200 che è il limite massimo permesso in Europa e i 120 mg dei sedicenti biologici). Ora, con i tappi vite vi faccio bere meno di 40 mg/litro di solforosa. Di cui 20/ 25 naturalmente prodotti e 15 aggiunti. Grazie alla tecnologia, possiamo rivolvere molti problemi. Come quello dell’evoluzione del vino”. C’è chi sostiene che il tappo a vite non permetta quella micro-ossigenazione garantita invece dal sughero, che fa evolvere il vino nel vetro della bottiglia. Ma non è così: “In realtà – aggiunge Massa – il tappo a vite è dotato di liner, delle membrane che fanno passare l’ossigeno in modo ponderato e studiato”.

Marco Caprai

Tra i grandi produttori italiani che ha puntato sull’alluminio, c’è anche Marco Caprai, imprenditore simbolo della viticoltura umbra a Montefalco, molto impegnato nel binomio tecnologia/sostenibilità: “Ad oggi il tappo a vite lo utilizziamo per i vini più internazionali e di fascia più alta, cercando così di fare anche un’opera di informazione. Mi riferisco a etichette come Chardonnay, Sauvignon e Cuvée Secrete”.

La Cuvée Secrete di Caprai 

Tappo a vite e vini rossi

Abbiamo visto come molti dei grandi vini bianchi italiani siano chiusi con alluminio, ma che dire del vino rosso?

Sui rossi di pronta beva quella in alluminio è un’ottima chiusura – dice l’enologo e docente Gianpiero Gerbi – In realtà anche sui vini da lungo affinamento si stanno facendo prove e i risultati sono incoraggianti, ma il fascino del sughero su questi vini è ancora forte”.

Un Pinot Nero di Franz Haas: un grande vino rosso chiuso con tappo a vite 

Prosegue su questo aspetto Massa: “Siamo pronti con le chiusure anche per i grandi vini rossi. La ricerca ci ha messo in condizioni di avere membrane con porosità diverse che microdosano il passaggio di ossigeno nella bottiglia in una quota definita giornaliera, in modo e misura perfetta, studiata. In questo modo è possibile che il vino rosso abbia la sua evoluzione in bottiglia”. Ma il consumatore è pronto? “Sul mercato sarà più difficile da sdoganare i tappi a vite sui grandi rossi quali Barolo, Amarone e Monleale perché nell’immaginario collettivo accade ancora spesso che si pensi a vino bianco come secondo vino. Tutto starà a svitare piano per fare tanto rumore e per fare scena – ironizza ma non troppo il produttore – perché il vino rosso ha bisogno del tappo a vite come quello bianco. Cambierà il mondo e cambierà il modo di bere perché ad oggi ci sono troppo bottiglie chiuse con il sughero deviate e difettose”.   Fonte: laRepubblica, IL GUSTO, Lara Loreti, 18.07.2023

 

 

 

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/tappo-a-vite-ecco-perche-molti-lo-preferiscono-al-sughero/