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Feb 22 2022

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“MENU FISSO” – IL DIBATTITO

Ho visto il futuro dei Ristoranti, e il suo nome è “Menu fisso”

Qualche consiglio non richiesto? Spingere di più sulle prenotazioni digitali con penali a chi non si presenta. Oppure lavorare in maniera più precisa sui due turni serali. Ma soprattutto eliminare liste e carte, scommettendo radicalmente sul menu fisso

Indignazione, black-out dinner, bollette esorbitanti postate sui social e giù commenti.

Ma per far fronte all’aumento delle spese ristoratori hanno in mano armi più concrete ed efficaci di qualche facile hashtag o delle cene di protesta a lume di candela? All’ineluttabile incremento dei costi fissi, ogni azienda prima di alzare definitivamente bandiera bianca dovrebbe valutare attentamente se ci sono spazi di ottimizzazione per rendere sostenibile ciò che non sembra più esserlo. Per quanto riguarda una significativa fascia di luoghi della ristorazione (non tutti, ma molti), questo lavoro riorganizzativo ancora non è stato fatto e dunque i margini di miglioramento sono lì, alla portata. Margini che potrebbero lenire, se non annullare, l’angoscia per i rialzi energetici. Alcune soluzioni appaiono anzi semplici, fattibili in poco tempo. Basterebbe cambiare un po’ la mentalità e l’approccio, uscire dalla mistica del “si è sempre fatto così” e provare ad approcciarsi con spirito ‘didattico’ nei confronti dei consumatori: “cari clienti, o ci veniamo incontro oppure la ristorazione come la conoscevamo non sarà nelle condizioni di esistere più”. Insomma, porre in essere piccole azioni a correttivo dello status quo, e stringere un patto col pubblico all’insegna dell’onestà, della trasparenza, del mutuo beneficio. Vediamo come.

Mangiare su due turni e prenotazioni solo in digitale. 

Un pezzetto significativo di questo indispensabile patto clienti-ristoranti riguarda gli orari. Vogliamo davvero restare l’ultimo paese occidentale dove chiedere ai commensali di disporsi su due turni serali equivale ad un insulto? Organizzare un turno alle 19 e uno alle 21.30 significa nella gran parte dei casi riuscire a lavorare di più a parità di costi, di affitto, di personale. Si tratta di un passo in avanti culturale da compiere insieme: imprenditori e clienti. Non è vero che le persone non sono disposte, devono solo abituarsi alla novità. Ma bisogna partire e occorre farlo tutti assieme, i casi isolati sono destinati a soffrire e ad essere percepiti per ostili rigidità e non per quello che realmente sono: un necessario cambiamento di paradigma. Un altro passo riguarda le abitudini con cui si riserva un tavolo: la digitalizzazione è ancora marginale (la vecchia telefonata genera inefficienze e costi di gestione) così come è marginale la quota di ristoratori che, come avviene ormai dovunque nel resto del mondo, richiede la carta di credito al momento della prenotazione per poi applicare penali a chi non si presenta senza disdire nei tempi pattuiti. Siamo sicuri che i costi generati dai “no show” (il costume di prenotare e poi non presentarsi) siano così inferiori ai costi dell’aumento dell’energia? “Eh, ma i nostri clienti sono abituati così, non hanno piacere di lasciare il numero di carta quando prenotano”. Ecco, questa risposta – questa mentalità – rischia ormai di essere un problema enormemente più impattante della bolletta da migliaia di euro.

Una delle soluzioni potrebbe essere lavorare sempre su due turni in modo da aumentare i coperti  

Eliminare la carta. Scommettere sul menu fisso. 

Ma c’è una riforma ancor più piccola, ancor più facile, ma ciononostante addirittura più efficace. L’eliminazione delle carte, dei lunghi menu con tante, troppe, inefficienti, costose, laboriose scelte. Non è più tempo. Soprattutto non è più sostenibile. I menu lunghi con una scelta magari di sei antipasti, sei primi, sei secondi devono essere un’eccezione alla regola se davvero si vuole lasciare che una ristorazione di qualità sopravviva. E vale per tutte le fasce, dall’osteria all’alta cucina. Lasciamo per un attimo da parte i costi che genera la gestione del magazzino vini e concentriamoci solo sulla parte di cibo. Passare da una carta articolata ad un menu fisso appare avere solo vantaggi per tutti, eppure è una svolta che in pochissimi hanno intrapreso, spaventati dalla reazione di un pubblico sempre guardingo, abituato a fidarsi poco, non avvezzo ad affidarsi, tendente a vivere alcune regole come imposizioni più che come opportunità. Anche qui uno shift culturale da fare tutti insieme per un beneficio condiviso: ci saranno attriti e assestamenti, poi tutti si troveranno su un terreno comune, finalmente fertile per fare impresa in maniera sana. Ma quali sono questi benefici condivisi? Proporre menu fissi significa per il ristoratore poter organizzare il lavoro in maniera più precisa coi fornitori; avere bisogno di meno personale in cucina (che tra l’altro continua ad essere difficilissimo da reperire, per i motivi che abbiamo elencato in un articolo alcuni mesi fa); disporre di merce sempre fresca, acquistata al minuto; significa non solo generare meno sprechi ma anche avere necessità di spazi infinitamente minori per lo stoccaggio freddo che è la zavorra più energivora in un ristorante. Benefici economici e ambientali dunque. Per non dire di quanto questo semplifichi il lavoro in sala riducendo la complessità della scelta e quindi garantendo al singolo operatore di poter gestire più tavoli a parità di tempo. Anche in sala come in cucina, dunque, potrebbe essere necessario meno personale.

La svolta del menu fisso. Una sfida per la comunicazione. 

Si diminuisce la scelta per il cliente, certo. Ma occorrerà spiegargli che questo è un beneficio anche per lui. Gli si offre in cambio di spendere un po’ meno e di mangiare cibo che viaggia mediamente di meno, acquistato just in time e dunque sempre fragrante, non conservato a lungo nelle celle frigorifere. Sono cambiamenti complicati da far digerire, è innegabile, ma poi diventano naturali oltre che irreversibili. La grande maggioranza della fascia di ristorazione media e alta dovrebbe farsi carico di introdurre questa piccola necessaria innovazione e occuparsi degli oneri in termini di disseminazione e comunicazione: i clienti saranno senz’altro disposti a mettersi in ascolto e i più capiranno, ma bisogna iniziare a fare e a spiegare. 

Certo, lamentarsi sui social pubblicando lo scatto con l’ultima utenza del gas aumentata del 130% è più facile che impegnarsi a percorrere contromisure, governare le obiezioni, lasciarsi alle spalle le evidenti assurdità e storture di un settore che può restare in vita solo se cambia, si evolve, si adegua alle circostanze e risponde ai requisiti dei tempi.  Fonte: IL GUSTO, Massimiliano Tonelli, 21.02.2022

Il Menu fisso? No grazie, vade retro!

La risposta sagace di Guido Barendson alle previsioni, pubblicate su ilGusto.it, di Massimiliano Tonelli sul futuro della ristorazione. Una lettera accorata a un collega, che apre un altro punto di vista sulle possibili soluzioni all’attuale crisi ristorativa

 “Menu fisso per tutti”, propone Massimiliano Tonelli, uno slogan che mi fa subito pensare a quel genio di Antonio Albanese e al suo mitico ‘Chiù pilo pe’ tutti’. No, il futuro non è questo, non il mio! Condivido la assoluta necessità di trovare soluzioni per alleggerire i termini della crisi economica e finanziaria che assedia molti ristoratori, al pari – ahinoi – di tante altre categorie professionali e sociali del nostro Bel Paese. Da anni mi batto per consentire ai patron il diritto di chiedere una carta di credito a garanzia della prenotazione, contro la becera piaga dei ‘no show’, i tanti che bloccano un tavolo – magari in quattro o sei – e poi non si presentano, alcuni senza avere nemmeno il garbo di avvertire con un semplice colpo di telefono. 

Chi è abituato a viaggiare – e a prenotare on line – non si scandalizza certo se gli viene chiesto di scegliere uno slot, un orario che varia dalla prima alla terza serata, ma che una volta selezionato non può essere cambiato. Ben venga!  Quanto alla riduzione dell’offerta, è nei fatti: lentamente e inesorabilmente i ristoratori e i cuochi si rendono conto che economicamente non è sostenibile proporre carte delle pietanze che contengano decine di piatti. E gli stessi clienti sono d’accordo, rendendosi conto che al fardello dell’imprenditore si aggiunge il loro, quello dei consumatori, consapevoli che più lungo è il menu più difficile la piena soddisfazione. 

Ma caro Massimiliano, non mi cadere anche tu preda della Sindrome di Stoccolma. Mi spiego: quando ero in giro come inviato, prima di Repubblica, poi per Tg5 e Tg2, incontravo regolarmente diplomatici italiani, alcuni dei quali preda di Stoccolma, che dopo aver passato troppo tempo nella stessa capitale, tendevano a farsi più interpreti delle ragioni e delle esigenze dei governi presso i quali erano accreditati, anziché preoccuparsi innanzitutto di rappresentare i nostri interessi nazionali. 

Ora, io capisco la tua passione e conosco la tua capacità professionale, ma ti supplico, non lasciare mai – nemmeno un istante – la tua veste di Guardiano del Tempio enogastronomico! Bene preoccuparsi e simpatizzare per chi si trova in difficoltà, ma sempre nel rispetto e nella coerenza dei ruoli. Per un Critico del tuo rango, accettare – anzi teorizzare – la necessità del menu fisso equivale ad abdicare alle tue responsabilità. Io in un posto dove non posso scegliere ciò che mangio, non vado! E se passa questo principio, torniamo all’epoca dell’Unione Sovietica, dove se non volevi mangiare lo storione bollito, lo storione bollito dovevi mangiare. Un conto è andare incontro alle esigenze economiche dei ristoratori, un altro conto è immiserire le capacità loro e al tempo stesso togliere ogni incentivo ai cuochi, che smetterebbero di correre contro se stessi. E tu, caro Massimiliano, ti divertiresti davvero a sapere che il menu è fisso, e che non puoi mai godere della scoperta di un nuovo talento, prigioniero anche lui di Stoccolma? Fonte: IL GUSTO,  Guido Barendson, 22.02.2022

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