«

»

Feb 08 2023

Print this Articolo

SORPRESA: IL VITELLO TONNATO È STATO INVENTATO A MILANO, LO DICE LA STORIA

La vera genesi del piatto considerato tipicamente piemontese ma la cui ricetta appare per la prima volta nei manuali di autori meneghini nella prima metà dell’800

Avete mai pensato quanto il tonno assomiglia al vitello? Se la risposta è no, sappiate invece che era un’idea piuttosto diffusa all’inizio dell’Ottocento ed è proprio qui che inizia la lunga storia del vitello tonnato. Questa similitudine comincia a circolare soprattutto nei ricettari francesi, tanto che viene ripresa anche dall’illustre Marie-Antoine Carême, e qualcuno deve avere pensato di passare dalla teoria alla pratica.

L’idea in fondo è semplice: prendere del vitello, cuocerlo e metterlo sott’olio, proprio come il tonno. Il primo a riportare questo singolare procedimento è l’italiano Felice Luraschi. Di lui sappiamo poco o niente, a parte che è milanese e si rivolge alla nascente borghesia desiderosa di mettere in tavola piatti gustosi, ma anche attenta a non spendere troppo. Nel 1829 appare il suo Nuovo cuoco milanese economico e fin dal titolo non abbiamo dubbi sulla provenienza geografica delle ricette. Tra queste si trova un inedito «Vitello ad uso tonno» in cui una fesa o noce di vitello viene messa sotto sale per un paio di giorni, quindi cotta con l’aggiunta di poco brodo e lasciata riposare sott’olio per almeno quattro giorni. Al momento del servizio viene tolta dall’olio e condita con un’emulsione di olio e limone (la ricetta completa è riportata alla fine dell’articolo).

Il «Vitello ad uso tonno» viene riportata con piccole varianti da diversi ricettari italiani e francesi, fino a che, nella seconda edizione del manuale di Luraschi del 1853, l’autore introduce un’aggiunta, suggerendo di servire il vitello con una salsa d’acciuga. L’associazione tra questo piccolo pesce salato e la carne di vitello non era una novità e si trova già nei ricettari settecenteschi, ma in questo caso serve ad accentuare la somiglianza tra il vitello e il tonno, non solo dal punto di vista dell’aspetto, ma anche del sapore.

Nel giro di pochi anni il piatto si evolve ulteriormente con l’inserimento del tonno in scatola all’interno della composizione. In questo periodo iniziano a circolare anche le comode lattine sott’olio, il che rende ancora più comodo realizzare la ricetta. Tutto accade per opera di un altro milanese, sicuramente più illustre, ma non per i meriti culinari, bensì per la professione medica. Si tratta del dermatologo Angelo Dubini che all’epoca aveva già al suo attivo diverse pubblicazioni in ambito scientifico, nonché la scoperta di un parassita intestinale da lui battezzato Ancylostoma duodenale. Il suo La cucina degli stomachi deboli esce per la prima volta nel 1857 in maniera anonima perché il prof. Dubini, che si accingeva a diventare primario dell’Ospedale Maggiore di Milano, temeva di essere criticato in ambito accademico. È qui che la ricetta prende per la prima volta la denominazione attuale di «Vitello tonnato» e, una delle tre versioni riportate, utilizza il tonno per insaporire la carne.

Ormai la ricetta è slegata dall’idea di conservare il vitello sott’olio e in questo caso la carne viene stufata in casseruola con burro e cipolla, vino bianco, chiodi di garofano e olio. Una volta cotta e raffreddata si taglia a fette sottili e si insaporisce con una salsa composta da tonno e acciuga tritati, diluiti con il fondo di cottura del vitello, olio e limone. A questo punto lasciamo alla propria sorte del «Vitello ad uso tonno» (ma senza tonno), che riscuoterà ancora qualche successo prima di eclissarsi agli inizi del Novecento, per seguire la parabola più fortunata del «Vitello tonnato».

La ricetta viene ripresa da altri manuali, ma è soprattutto Pellegrino Artusi a decretarne il successo, inserendolo nella Scienza in cucine e l’arte di mangiare bene fin dalla prima edizione del 1891. La ricetta ricalca grosso modo quella del Dubini senza grandi novità, ma a partire dall’edizione del 1900, nell’Artusi appare un’altra ricetta destinata a cambiare il destino del vitello tonnato. Si tratta della «Salsa tonnata» in cui vengono tritati insieme acciughe, tonno, capperi, prezzemolo, tuorli d’uovo sodo, il tutto ammorbidito da olio e succo di limone. Stranamente l’autore non suggerisce di utilizzare questa salsa sul vitello, come sembrerebbe naturale, ma nel «Pollo in salsa tonnata» che non ha avuto grande fortuna, ma ha svolto la funzione di apripista.

Ovviamente la salsa tonnata non è un’invenzione di Artusi (che si limitava a selezionare e perfezionare le ricette di cui veniva a conoscenza), anche se la sua origine è piuttosto oscura. I primi tentativi si possono forse individuare in alcuni precedenti francesi di inizio Ottocento, ma il dubbio però rimane perché gli accenni sono vaghi e non si trovano vere e proprie ricette. Quello che succede dopo invece lo sappiamo: la salsa tonnata viene usata per farcire i pomodori da Ada Boni nel Talismano della felicità del 1927 (ma di nuovo non sul vitello tonnato che recupera la ricetta artusiana) e ancora nel 1935 da Petronilla per farcire le uova sode. In tutti e due i casi la salsa viene arricchita con maionese per renderla più morbida. È proprio con questa composizione di salsa tonnata a base di maionese che incontrerà infine il vitello tonnato in una delle due versioni riportate dal Cucchiaio d’Argento del 1950.

A questo proposito bisogna sottolineare che in passato il «Vitello a tonno» (ovvero la versione senza tonno), aveva già incontrato la maionese, nella ricetta riportata da Il re dei cuochi nel 1880, un’opera anonima che mostra, ancora una volta, un forte legame con la cucina milanese. Il viaggio, infine, si conclude con la pubblicazione nel 1967 delle Ricette regionali italiane di Anna Gosetti della Salda, una pietra miliare per la cucina territoriale del nostro Paese. Qui si trovano due versioni del vitello tonnato: la prima milanese (ovviamente) dove viene lessato e una seconda piemontese dove la carne viene cotta in casseruola come un “arrosto morto”. In entrambi i casi la salsa che lo insaporisce è a base di tonno e maionese.

Ma in tutta la vicenda rimane ancora da chiarire un punto oscuro. Della complessa evoluzione del vitello tonnato, la cosa più strana e inspiegabile è che oggi tutti, e dico tutti, sono convinti che sia una ricetta piemontese, mentre non ci sono dubbi sulla paternità milanese. I primi due autori, Luraschi e Dubini, sono entrambi meneghini DOC, non c’è ombra di dubbio, anzi il manuale di Luraschi è il capostipite di tutti i ricettari milanesi. Da notare che all’epoca erano già in circolazione anche i manuali di cucina piemontesi, ma nessuno di essi riporta la ricetta del vitello tonnato. Se vogliamo mettere anche in mezzo l’Artusi, che come sanno tutti era un forlimpopolese trapiantato a Firenze, l’equazione non cambia. Inoltre diversi testi che riportano le ricette di vitello ad uso tonno o tonnato hanno una decisa impronta lombarda a iniziare dalla Gastronomia moderna di Giuseppe Sorbiatti del 1871, il Re dei cuochi del 1880 che abbiamo ricordato prima, e infine La regina delle cuoche di Leyrer del 1882.

Solo negli anni Sessanta si insinua una doppia ricettazione dove è evidente un prestito gastronomico (o un furto, dipende dai punti di vista) a favore dei piemontesi che per quasi un secolo e mezzo erano stati a guardare. Questa improvvisa sterzata verso Occidente della paternità del piatto è ancora un mistero non facile da interpretare. In ogni caso, se vi piace il vitello tonnato, fatelo nella versione che volete perché, come avrete capito, non ce n’è una più giusta delle altre. Vi lascio qui sotto la prima, tanto semplice quanto gastronomicamente interessante, quella di Felice Luraschi del 1829.

«Prendete una fesa o noce di vitello pulitela, battetela involta in un panno bianco, lasciatela in sale minuto per due giorni, levatela dal sale, e lavatela bene con acqua fresca. Fatela cuocere in poco brodo liscio con una foglia di lauro, cotto levatelo dalla cottura, prontate dell’olio fino quasi bollente, unitevi il vitello lasciandolo un poco a mijouté, indi tenetelo nel detto olio non meno di quattro giorni, quando ve ne dovrete servire levatelo dall’olio mettetelo sopra d’un piatto versandovi sopra un poco d’olio, ed una spremuta di limone mischiata insieme, guarnitelo con fiori della stagione o fatti ad arte».

Ringrazio la dott.sa Cecilia Magnabosco della Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza per l’aiuto nell’individuare questa ricetta   fonte: laRepubblica, IL GUSTO, Luca Cesari. 08.02.2023

Permanent link to this article: https://www.slowfoodvalliorobiche.it/sorpresa-il-vitello-tonnato-e-stato-inventato-a-milano-lo-dice-la-storia/