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Mar 08 2021

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UN LAVORO DA FEMMINE: CINQUE DONNE CHEF PER RIBALTARE UN PARADOSSO

Come si passa da angeli del focolare a cuoche stellate? La trasformazione non è mai stata facile, ma queste storie raccontano che è possibile e ci fanno sperare in un futuro sempre più egualitario

Esiste uno strano paradosso, che alberga tra i luoghi comuni d’ispirazione culinaria.

Secondo questo bizzarro sofisma, le cucine casalinghe, quelle in cui ci si deve organizzare tra un piano di lavoro sempre troppo piccolo, gli ingredienti rimasti nel frigorifero dall’ultima spesa e i gusti dei famigliari, sarebbero il regno prediletto delle donne. Tutte. Senza distinzione di età, interessi, culto o classe sociale.

Costoro, descritte come angeli del focolare o massaie, quando si muovono nelle loro cucine casalinghe sono considerate artefici di manicaretti impareggiabili, veri e propri miti, come il ragù della nonna, la torta di mele della mamma, la caponata di zia: preparazioni leggendarie che non ammettono rivali.

Tuttavia, quando quelle stesse donne osano abbandonare la dimora del padre alla ricerca di cose come la realizzazione personale, il profitto, l’indipendenza, la creatività, in una cucina professionale, magari quella di un ristorante, magari anche stellato, allora il famoso paradosso cala su di loro e le ridefinisce.

Non sono più cuoche imbattibili, ma fanciulle delicate, per le quali potrebbe essere difficile alzare una pentola o immaginare di creare un piatto d’alta cucina, che mal si adatterebbero ai ritmi di un ristorante e che forse potrebbero cavarsela meglio in pasticceria, dove tra l’altro potrebbero anche assolvere a uno scopo decorativo.

Non sono esempi casuali, ma pregiudizi che per anni hanno trovato posto nell’universo dei cuochi come in quello dei loro commensali. Per fortuna però, negli ultimi anni, seppur con fatica, le cose stanno lentamente cambiando. Oggi, secondo una ricerca di The Fork, il 51 per cento dei ristoratori dichiara di avere una chef donna e il 39 per cento tra gli operatori del settore sostiene di aver aumentato il numero di dipendenti donne presso il proprio locale negli ultimi tre anni.

Oggi, giornata internazionale della donna, abbiamo scelto di raccontare le storie di cinque chef, non solo perché possano essere d’ispirazione, non perché esemplari, non per dire “Se ce l’hanno fatta loro, allora può farlo chiunque”, ma per pareggiare i conti con tutte quelle volte in cui raccontando di cuochi d’eccellenza si è fatto fatica a trovare un nome femminile nel mazzo, o con quelle occasioni in cui l’alta cucina è stata rappresentata solo da baldi uomini. La giornata internazionale della donna serve (anche) a questo, ma la speranza è che presto non se ne senta più la necessità.

Marina Ravarotto

Nata a Nuoro, accoglie presto nella propria vita la passione per la cucina e, dopo aver frequentato la scuola alberghiera, inizia il proprio apprendistato passando da una cucina all’altra, fino ad approdare al resort Valle dell’Erica a Santa Teresa di Gallura dove, al fianco dello chef Mario Tirotto, inizia a mettere a frutto le proprie capacità e percepisce di essere a un momento di svolta. Racconta: «Mi insegnò che dedizione al lavoro, costanza, impegno e fantasia sono le doti che un artista della cucina deve avere. Ed io volevo esserlo».

Oggi Marina Ravarotto è la chef del ristorante ChiaroScuro, inaugurato a Cagliari nel dicembre 2017 insieme a Roberto Petza e Stefano Deidda. Il nome del locale, così come il menu diviso in capitoli come un libro, sono un omaggio a Grazia Deledda, Premio Nobel per la letteratura 1926 e nuorese come Marina Ravarotto.

Nella cucina di ChiaroScuro, la tradizione è perpetuata in modo innovativo, con una reale ricerca di prodotti e preparazioni in via d’estinzione, come il FiIindeu, una pasta di semola la cui preparazione è conservata nella manualità e nell’esperienza di poche donne del nuorese, che la tramandano di madre in figlia. Marina Ravarotto oggi propone nel menu di ChiaroScuro una rivisitazione dell’antica ricetta barbaricina, il filindeu in brodo di pecora,

Ritu Dalmia

Nata a Calcutta, Ritu Dalmia è donna, chef e attivista, una triade che l’ha portata a fare il giro del mondo. Il primo passo, però, la chef di origini Marwari l’ha fatto in India, aprendo un ristorante che serviva cibo italiano, in virtù della convinzione che indiani e italiani abbiano molto in comune, nel modo di vivere la quotidianità e le esperienze gastronomiche. Dopo aver condotto al successo sette ristoranti in India, Ritu Dalmia inizia a pensare fuori dai confini nazionali e oltre la pura ristorazione: conduce due programmi televisivi, “Italian Khana” e “Traveling Diva” in onda sulla rete nazionale indiana, scrive libri e, soprattutto, viaggia.

Sul palco del TedX ha detto: «La cosa che amo di più è mangiare e se possibile mi piace ancora di più viaggiare» .

Quando i suoi pellegrinaggi l’hanno condotta a Milano, però, la chef ha deciso di fermarsi, almeno per un po’, e fondare Cittamani, il suo primo ristorante indiano in Italia, al quale poi è seguito, nel 2019, Spica, locale aperto in collaborazione con la chef Viviana Varese.

Nel frattempo, però, non ha abbandonato né i ristoranti fondati a New Delhi, né le battaglie sociali iniziate in India. Per diversi anni ha partecipato attivamente a proteste e petizioni in patria, sfruttando la propria posizione pubblica per sostenere i diritti sociali e civili e nel 2018 ha potuto festeggiare la sentenza della corte suprema indiana che ha reso la Sezione 377 del Codice Penale – secondo la quale l’omosessualità era punibile con l’ergastolo – incostituzionale.

Oggi, a due anni dall’apertura di Spica, Ritu Dalmia scalpita per ripartire e immagina nuovi ristoranti e prossime sfide, magari a Lisbona o Madrid.

Dominique Crenn

Francese, Dominique Crenn è cresciuta a Versailles, adottata poco più che neonata da una famiglia alla quale deve, a suo dire, l’amore per ogni aspetto della cucina. Da una parte sua madre si impegnò a farle conoscere il gusto rassicurante della gastronomia casalinga, dall’altra il padre le permise di sviluppare l’interesse per la ricercatezza culinaria dei ristoranti stellati. Tuttavia, fu solo dopo una laurea in Economia, con specializzazione in International business, che Dominique Crenn decise di concedersi alla passione per la cucina, ma non in Francia, bensì negli Stati Uniti, dove l’orizzonte gastronomico le sembrava più florido e libero dall’ombra maschilista che alleggiava sui fornelli francesi. Si mise alla prova a San Francisco per alcuni anni, per poi accettare il posto di capo chef presso il ristorante dell’Intercontinental Hotel a Jakarta, in Indonesia.

Nel 1998 tornò negli Stati Uniti e nel 2009 conquistò la sua prima stella Michelin, alla guida del ristorante Luce a San Francisco. Se ne aggiudicherà altre due alcuni anni dopo, nel 2011, per il suo lavoro all’Atelier Crenn, il ristorante fondato in quello stesso anno sempre a San Francisco, diventando la prima donna a ricevere due stelle Michelin negli Stati Uniti. Naturalmente sono arrivate anche le tre stelle, nel 2018, e nello stesso anno se ne aggiudicò una quarta per il Bar Crenn, il suo secondo locale, non lontano dall’Atelier Crenn. Negli anni ha saputo mantenere nella sua cucina sia l’estro creativo che la cura e l’attenzione per il proprio staff.

Se tutto questo non vi ha ancora stupiti, sappiate che ha anche adottato due gemelle figlie dell’ex compagna Katherine Keon e ora punta al matrimonio con l’attrice Maria Bello.

Ana Roš

Classe 1972, cittadinanza slovacca, Ana Roš, alla guida della cucina stellata del ristorante Hiša Franko a Kobarid, si definisce orgogliosamente cuoca autodidatta.

Competitiva sin dalla tenera età, Ana Roš prima di diventare chef è stata una sciatrice professionista, tanto talentuosa da conquistarsi un posto nella nazionale giovanile jugoslava. Dopo gli studi in Scienze Internazionali e Diplomatiche all’Università di Trieste e l’incontro con il sommelier Valter Kramar, suo partner da allora, Ana Roš inizia una carriera diplomatica, ricca di viaggi in cui poter mettere alla prova le sue competenze e le sette lingue che parla correntemente. Si concede una pausa solo per la nascita dei due figli ed è proprio in quel periodo che decide di cambiare strada, rilevare il ristorante dei suoceri e iniziare a muovere i primi passi nella ristorazione, prima come cameriera e poi cuoca, affiancata dalla suocera e dalla cugina.

Sembra la storia di una classica trattoria a guida famigliare, se non fosse che, una volta ai fornelli, Anna Roš inizia a studiare, assaggiare piatti diversi e testare i propri gusti, dimostrando un talento raro, che attira l’attenzione degli appassionati e dei grandi esperti. Propone una cucina territoriale, frutto di una filiera che la chef cura con attenzione, contaminata dal suo personale estro creativo.

Dopo diversi riconoscimenti, tra cui il titolo di miglior chef donna nel mondo, conferitole nel 2017 dalla giuria dei 50 Best Restaurant, nel 2020 Ana Roš si è aggiudicata due stelle Michelin, che hanno reso Hiša Franko il primo ristorante della Slovenia a ricevere una valutazione Michelin.

Eugénie Brazier

Fu la prima donna a ricevere tre stelle Michelin, ma alla fine della sua carriera ne contava ben sei nel suo carnet – ed era il 1939. Eugénie Brazier nacque nel 1895 vicino a Lione e, come capitava spesso all’epoca, a dieci anni era già orfana di madre e fu costretta ad andare a servizio a casa di famiglie altolocate della società dell’epoca. Nel 1914 rimase incinta e partorì un figlio, un fatto che per una ragazza poteva diventare un bell’impiccio se, come Eugénie, non si era protette dal vincolo matrimoniale. Dopo il parto, Eugénie lasciò il figlio in campagna da alcuni famigliari, tornò a Lione e iniziò a lavorare come bambinaia per una famiglia di pastai, i Milliat e poi come cuoca.

Raccontò di aver messo a frutto le conoscenze imparate durante l’infanzia, i consigli di un cuoco incontrato a Lione, quelli di una portinaia e sicuramente un buon gusto tutto suo. Dopo qualche anno nella cucina dei Milliat e pochi altri ai fornelli del Bistrot Fillioux, Eugénie Brazier a 26 anni, aprì il suo primo ristorante, a cui ne seguirà poi un secondo.

Ai tavoli dei suoi locali siederanno clienti del calibro di Marlene Dietrich e Charles de Gaulle, che Eugénie Brazier viziava, così come gli altri commensali, con preparazioni raffinate e prodotti ben ricercati – il ché significava, all’epoca, ricorrere al contrabbando, tanto che nel 1941 la cuoca venne arrestata “per aver fatto troppo ricorso al mercato nero”.

Dopo le sei stelle Michelin, la Mère Brazier ottenne il diploma del Club des cent nel 1954, poi la Legione D’onore – che rifiutò – e infine, anche un doodle nel 2018. Forte: Linkiesta, Gastronomika, Giulia Pacchiarini, 8.03.2021

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