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Feb 01 2022

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VI PRESENTO L’ARTUSI, L’UOMO CHE HA CUCINATO L’ITALIA

“La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi 

Il ricettario domestico, creato grazie all’aiuto di centinaia di lettrici di tutto il Paese, è considerato la pietra miliare della nostra letteratura gastronomica. Attorno al tema della cucina è stato in grado di creare un vero e proprio valore sociale condiviso

 “Ora che l’Italia è fatta, bisognerebbe unificare le cucine”. Così scriveva Federico De Roberto nel suo romanzo parlamentare L’imperio (libro pubblicato postumo nel 1929). Una frase che rivendica una grande verità storica riportata prima di tutti dallo stesso Massimo D’Azeglio: il fatto che l’unità politica d’Italia non coincise con la formazione di una forte, condivisa e diffusa identità nazionale.

Se per via delle innumerevoli peculiarità regionali, ancora oggi, riteniamo scorretto parlare di un’unica cucina nazionale, il contesto nel 1861 era assai più complesso. Fino ad allora il panorama culinario italiano era sempre stato caratterizzato da una rete di cucine locali, tutte con un’identità ben marcata. La letteratura di genere era scarna e ancora lontana dall’essere strumento divulgativo. Era rappresentata infatti dai cosiddetti ricettari municipali, i quali parlavano essenzialmente a chi cuoco era di professione, fornendo ricette quasi impossibili da replicare nelle umili dimore. Si trattava di testi fortemente influenzati dal modello culinario francese (anche la terminologia scopiazzava un gergo d’oltralpe che tuttora segna il nostro lessico) e dalla diffusione limitata alla zona di origine, essenzialmente per una questione linguistica. Infatti anche per le ricette, la moltitudine di idiomi costituiva un enorme ostacolo verso un’unificazione del Paese in senso lato. Basti pensare che la mancanza di un linguaggio comune, tra le altre cose, rendeva di difficile comprensione anche solo il nome degli ingredienti alla base delle vivande.

Carlo Petrini 

Proprio in questo contesto, nel 1891 venne pubblicata La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene opera simbolo di Pellegrino Artusi. Nato a Forlimpopoli nel 1820, passò buona parte della sua vita a Firenze come mercante di seta e importante imprenditore serico. Da patriota e bongustaio, all’alba dei settant’anni Pellegrino si prese la responsabilità di traghettare la cucina italiana, il suo linguaggio e soprattutto la sua scrittura nella modernità.

Dignitosamente ricco e scapolo, una volta ritiratosi dall’attività lavorativa, Artusi incentrò tutti i suoi interessi sulla cucina, andando a creare quello che lo storico e amico Alberto Capatti definisce come primo blog di ricette italiane. Un vero balzo in avanti per la gastronomia italiana; un successo tangibile anche dal punto di vista editoriale che vide, già sul finire del XIX secolo, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene in quella che noi oggi definiremmo la “top 3” dei libri più venduti, dietro solo a Le avventure di Pinocchio di Collodi e al libro Cuore di De Amicis.

Quest’opera è la prima che codifica il pranzo all’italiana, con le minestre asciutte e in brodo prima del secondo. Inoltre, vengono promosse le carni povere e una cucina genuina (ad esempio il coniglio che prima di Artusi era considerato carne povera) riscuotendo un ampio consenso anche nelle classi meno abbienti.

Ma il valore di quest’opera non è esclusivamente editoriale o limitato entro i perimetri delle cucine degli italiani. Di fatto, Artusi riuscì nell’impresa di unificare l’Italia in campi ben diversi da quelli in cui si spinsero Garibaldi, Cavour e Mazzini. Le armi utilizzate da Pellegrino furono essenzialmente due: la scrittura in un italiano perfetto e comprensibile da tutti e un dialogo costante con le donne italiane (ovvero con chi ha sempre custodito l’arte culinaria nella Penisola), sue principali lettrici e allo stesso tempo coautrici.

Pellegrino Artusi 

La prima edizione, pubblicata a sue spese, era composta essenzialmente da una raccolta di ricette che l’Artusi raccolse negli anni durante i suoi viaggi da commerciante di stoffe e contava 475 preparazioni. Tuttavia, con la diffusione del testo iniziò un fitto scambio di corrispondenza con le lettrici. Grazie all’indirizzo di posta, lasciato coscienziosamente nel frontespizio del libro, a oggi sono state rinvenute circa 1800 lettere arrivate da tutta Italia. Le donne, che si sentirono coinvolte, iniziarono a subissarlo di suggerimenti, precisazioni e proposte (che fece puntualmente preparare dal suo cuoco Francesco Ruffilli o alla sua cameriera, Marietta, con prodotti del mercato di Firenze), consentendogli di ampliare il proprio manoscritto fino alle 790 ricette dell’ultima edizione del 1911. Ecco perché ancora oggi, quello che pare essere un semplice ricettario domestico, è considerato la pietra miliare della letteratura gastronomica italiana. Attorno al tema della cucina Artusi, più o meno consapevolmente, è stato in grado di creare un vero e proprio valore sociale condiviso con tutti i suoi compatrioti.

Non solo questo però. Dedicando gli ultimi 20 anni della sua vita a questa meravigliosa impresa, possiamo dire che Pellegrino Artusi diede il via a quel fenomeno che oggi vede la cucina italiana una delle più apprezzate e ricercate del Pianeta. Sì, perché già all’inizio del XX secolo, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene inizia a viaggiare in tutto il mondo.

Ed ecco che, in un periodo determinante per il nostro Paese come quello post-unitario, con Artusi la gastronomia italiana svela per la prima volta tutti i suoi segreti e la sua complessa identità; contribuendo a “fare gli italiani” (una volta “fatta l’Italia”) e ponendo le basi per diventare una delle culture gastronomiche di maggior rilievo nel mondo anche per via della sua semplicità e genuinità. Questo ci fa capire come la gastronomia, se affrontata con i giusti espedienti e una buona dose di passione, possa risultare anche un importante strumento politico.

Prima di concludere però voglio svelare un’ulteriore peculiarità. Sebbene noi oggi consideriamo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene il punto di partenza della vera identità culinaria italiana, è doveroso sottolineare che, fino all’ultima edizione del 1911, all’interno del testo non viene mai citata la parola tradizione. Fatto curioso per un testo che, nella sua espressione innovativa, modificò per sempre il concetto di tradizionalità all’italiana.  Fonte: IL GUSTO, Carlo Petrini, 30.01.2022

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